steel00
00martedì 6 maggio 2008 02:49
Spero vi piacce questo breve racconto che ho scritto di getto questa sera. Fatemi sapere i vostri giudizi.


SVET

Luca si svegliò quella mattina con più male alla testa del solito, non aveva mai sofferto di mal di testa prima del fatto. Da qualche tempo tuttavia una sorta di emicrania nervosa non gli dava tregua. Il risveglio era divenuto un rituale doloroso e bestiale, tutto ciò da cui l’oblio del sonno lo portava via tornava a reclamare il suo lauto pasto di dolore e tristezza. Le sue giornate erano pigre, noiose, avvolte da un senso di inutilità superato solo dall’ancor più soverchiante senso di colpa. Non che prima del fatto fosse tutto radicalmente diverso, ma almeno poteva dire che la sua vita aveva una direzione, ma il fatto aveva cambiato tutto. La vita di Luca si era trovata ad affrontare questo inatteso spartiacque e nulla era più stato come prima, ma nulla era realmente cambiato semplicemente gli occhi di Luca si erano aperti sulla penosità di un’esistenza fatta di debolezza, meschinità, noia e codardia.
La sveglia segnava le 11, era tempo di mettersi in piedi, a mezzogiorno in punto i genitori sarebbero rincasati e guai se avessero scoperto che anziché passare le mattine a studiare per gli esami universitari Luca non faceva altro che poltrire. Sapeva bene in realtà che prima o poi sarebbe stato scoperto ma pensarci era troppo fastidioso così Luca finiva per non preoccuparsene, “perché vivere alla giornata quando si può addirittura vivere al minuto” questo divenuto il suo motto. Luca infatti non sapeva come avrebbe trascorso la fredda giornata invernale che gli si presentava davanti, probabilmente “non” l’avrebbe trascorsa come tutte le altre. Aprì la finestra per fare entrare un po’ d’aria nell’umido e viziato ambiente costituito dalla sua stanza da letto, ne entrò in realtà poca in quanto una fitta e sgradevole coltre di nebbia impediva la circolazione anche solo di uno spiffero.
Luca scese stancamente al piano di sotto ed accese i fornelli, alle 11 e mezza in punto avrebbe dovuto buttare la pasta e preparare il pranzo per i suoi genitori che per mangiare disponevano di una pausa assai breve.
Non passava istante che non pensasse al fatto, era sempre lì come una spada di Damocle, un pensiero fisso che non se ne sarebbe mai più andato. Era passato ormai un mese dal tragico episodio ma Luca sentiva il dolore avvinghiarlo come una catena di spine ogni istante in cui la sua mente era libera. Cercò quindi di tenersi occupati con altri pensieri, ma non c’era nulla a cui pensare, quello stesso nulla rappresentato dalla nebbia che filtrava dalle finestre della cucina. Ormai anche la vergogna era passata, nella testa di Luca c’era solo una grande voglia di sprofondare nell’oblio più cupo e di dimenticare, dimenticare tutto e poi dimenticare persino di avere dimenticato, azzerare la coscienza fino a perdere ogni residuo di soggettività. Il pranzo si consumò nel solito clima teso e svogliato, nessuno parlava, nessuno pensava, nessuno esisteva. Il pomeriggio cominciò senza cominciare, ossia senza discontinuità rispetto alla mattina, ogni percezione era distorta dal clima di solitudine e vergogna che aleggiava nell’aria. Era solo l’una e mezza, Luca quel giorno non aveva nessuna voglia di lavare i piatti, tanto con i suoi avrebbe potuto usare la solita patetica scusa degli impegni di studio. Sapeva che alle 16 puntuale come ogni giorno lo avrebbe colpito l’abbiocco pomeridiano, ma il problema di ogni pomeriggio era arrivare a tale ora, l’agognato momento in cui avrebbe potuto mettere da parte il dolore causato dallo stato di coscienza, poteva finalmente tornare nella condizione di non esistenza per qualche momento, poteva raggiungere quell’annullamento che gli era caro come nient’altro al mondo. Svogliatamente indossò la giacca a vento ed uscì per una passeggiata, il centro commerciale che da poche settimane era stato aperto nella sua via era la principale meta del suo bighellonare pomeridiano, non perché fosse interessato allo shopping o avesse hobby da coltivare ma semplicemente perché quel luogo lo aiutava a fare passare il tempo più velocemente. Per lui quel luogo costituiva uno scivolo verso l’annullamento, un aiuto a giungere all’agognata ora in cui il fatto gli avrebbe dato pace. Quel giorno tuttavia il tempo sembrava avere poca voglia di scorrere a dovere, Luca portò gli occhi all’orologio, erano appena le 14.10, Luca si sedette in una panchina e cercò di programmare le tappe del suo penoso pomeriggio. Alle 14.30 una pizzetta calda da Pizza Corner, alle 15 un giro da Media World per controllare la presenza di qualche cd interessante, alle 15.30 partenza verso casa, e alle 16 finalmente avrebbe avvertito le proprie palpebre appesantirsi dolcemente.
Di fronte a lui scorrevano coppie di fidanzati, famigliole con figli in spalla, gruppi di ragazze dirette di gran carriera alla ricerca del negozio di trucchi più fashion, ma improvvisamente fu folgorato da un’apparizione davvero sorprendente. Era lei! Sì, la sagoma era inconfondibile, Luca sbiancò quasi fino ad avvertire sintomi di svenimento. Possibile che fosse tornata? La vide entrare nel negozio di libri nel quale era solita soffermarsi alla ricerca dell’ultimo best-seller di Stephen King o Francesco Conti, era una grande fan della saga di Black Biker, aveva letto tutti e 5 i libri, Luca invece non li sopportava ed ogni volta che lei provava a parlargliene si arrabbiava tantissimo. Luca inizio a girare freneticamente tra gli scaffali nel timore che se ne fosse già andata o peggio ancora che non fosse mai apparsa. Poi la vide, stava parlando con una commessa, Luca era paralizzato da un misto di terrore e vergogna, non osava avvicinarsi a lei. Lei poi uscì, Luca inizio a pedinarla ma non passò molto prima che la perdesse di vista, al ritrovò poi all’uscita. Le si fece vicino nei pressi della scala mobile e le disse: “ehi Svet, come mai sei qui”, immediatamente si sentì il peggior stupido del mondo per non avere saputo trovato nulla di meglio da dire. Lei non gli rispose e rimase ferma a fissarlo per poi posargli un dolce bacio sulla guancia come era solita fare tempo addietro, poi se ne andò come era venuta. Luca rimase di stucco, terrorizzato e spaventato al tempo stesso, nella sua mente solo una domanda si faceva sempre più martellante: “Svet, eri tu o era il fatto?”. “Può la dolcezza di due occhi che non esistono più farmi del male?”. Quella maledetta dolcezza che aveva perso per sempre ma che non era mai riuscito a godersi quando ne era in possesso. Luca si incamminò verso casa col cuore che batteva all’impazzata ed una spiacevole sensazione di essere seguito, era come se sapesse che lei era lì, che quegli occhi dolci lo avevano preso di mira. Erano ormai le 16.30 ma Luca non aveva sonno, aprì la porta ed entrò in casa di soppiatto, non ebbe il coraggio di proseguire verso la camera da letto perché sapeva che Svet era lì, non se n’era mai andata, era sempre rimasta lì per lui. Ma inaspettatamente se la vide comparire alle spalle, stranamente non ebbe paura, anzi un insolito senso di tranquillità lo avvolse come un abbraccio. “Come sei entrata?” domandò Luca, “beh, non hai ancora chiuso la porta” fu la pronta risposta della ragazza. Luca si accorse di avere lasciato la porta aperta alle sue spalle, provvise a subito a porvi rimedio. “Svet, io non capisco e so che anche tu non capisci” dichiarò Luca. La ragazza non disse nulla ma guardandolo dritto con quei penetranti occhi azzurri gli dimostrò di sapere tutto. La tenue luce del tramonto cominciava a filtrare la nebbia e Luca aggiunse timidamente: “e così sembra che stia uscendo il sole, strano ormai è sera e poi oggi è stata una tale giornata di merda”. Svet non si toglieva dalla faccia quel buffo ma rassicurante sorriso dolce: “guarda che siamo a maggio, e oggi è stata una giornata soleggiata”. Luca la guardò con aria stupita, “la nebbia era solo nel tuo cuore” aggiunse poi lei. Luca si affacciò alla finestra e scorse il tiepido sole di maggio filtrare attraverso le tende chiare, e si ricordò che l’inverno era finito, “ma in fondo cosa sono le stagioni se non una percezione”, pensò tra sé e sé. Si girò nuovamente verso Svet ma la ragazza era scomparsa, Luca non se ne preoccupò troppo, sapeva che sarebbe tornata presto.
La sera non fece parola con i suoi genitori dell’accaduto, o meglio, non fece parola di nulla, ormai aveva perso ogni capacità di dialogare. Luca mangiò con poco appetito, e dopo neanche dieci minuti già si alzò da tavola e corse a chiudersi in camera, sebbene avesse saltato la consueta dormita pomeridiana non si sentiva per nulla assonnato, anzi la tiepida sera primaverile che faceva seguito al pomeriggio invernale sembrava invitarlo ad uscire di casa. Uscì a fare due passi fino ad un parco presente a poche centinaia di metri da casa, erano ormai le otto ma il sole era già alto. Sapeva che in quel parco c’era il fatto ad aspettarlo ma decise lo stesso di andargli incontro, arrivò fino al tombino che sgorgava nelle fogne. “Chissà dove terminano queste fogne”, si domandava Luca, quando all’improvviso senti una mano posarsi sulla sua spalla, era Svet. “Sapevo che saresti tornato qui Luca” gli disse in tono dolce la ragazza. Luca scoppiò a piangere e singhiozzare come un bambino, sembrava incapace di trattenersi. “Svet potrai mai perdonarmi, può esistere perdono per un essere vile come me?”, gli tornò alla mente tutto il tempo passato con la ragazza. Da quando l’aveva conosciuta sul quel marciapiede assieme ad altre connazionali rumene ed avevano cominciato a frequentarsi. Svetlana si chiamava, giunta in Italia in cerca di una futuro migliore che di certo non aveva trovato. A Luca piaceva dilettarsi con le prostitute, ma con lei era diversa, la dolcezza dei suoi occhi era come un laccio che si avvolgeva al suo cuore, avevano finito per innamorarsi. Lui ricorda ancora il timore che Svet provò il giorno in cui si recarono insieme dalla polizia, la dolcezza e l’apprensione con stringeva la sua mano mentre insieme salivano le scale del commissariato. I pomeriggi che lei passava a piangere tra le sue braccia mentre gli raccontava la triste storia della sua vita. Ma soprattutto Luca ricordava i loro litigi, inizialmente rari ma poi sempre più frequenti ed aspri, lei voleva essere presentata ai genitori di Luca, lui non sapeva come dichiarare che non avrebbe potuto portare a casa una ragazza rumena. Lei sembrava non capire, non poteva capire un ragionamento appartenente ad un mondo a lei estraneo. Tutto sembrava concatenato ad arte per giungere a quella drammatica sera, durante la quale Luca la spinse giù nel tombino in un impeto di isteria, provocandone la morte sul colpo. Sapendo che nessuno avrebbe notato né pianto la sua scomparsa Luca decise di non dire nulla, ma il senso di colpa per quel fatto aveva cominciato ad assalirlo ogni giorno di più.
Ora lei era lì, il suo spirito, i suoi sentimenti, i suoi sguardi tutto era ancora lì. “Svet, sei stata la sola luce che i miei occhi abbiano visto, senza te non ho potuto vedere altro che nebbia, perdonami, perdonami, perdonami” gridò Luca senza smettere di singhiozzare. Svet gli posò un dito sulle labbra e con l’altra mano gli accarezzò i capelli, “amore io non ti condanno, sei un essere umano e sbagliare è nella tua natura”. “Ma come…” cercò di abbozzare una risposta Luca ma lo spirito della ragazza lo interruppe nuovamente: “anche se è stato per poco tempo mi hai dato l’amore che non ho ricevuto in un’intera vita, non ti condanno per quello che hai fatto, è valsa la pena conoscerti nonostante tutto”. Una folata di vento spazzò l’aria del crepuscolo e Svet si dissolse nella luce del tramonto, Luca tuttavia non riusciva a darsi pace. “Un uomo come me non può non deve vivere” pensò Luca mentre raccoglieva dal terreno un sasso acuminato, Luca si porto il sasso ai polsi e pensò con tutta l’intenzione di porre fine ai suoi giorni: “ora non farò più del male a nessuno, è finita”. Improvvisamente una voce lo interruppe, dietro a lui comparve il custode del parco, “ragazzo che fai qui, ormai è notte devo chiudere” tuonò l’uomo. “Sì, mi scusi” rispose Luca, “ora me ne vado”.
ELIPIOVEX
00martedì 6 maggio 2008 14:00
Il racconto è interessante hai dato quel pizzico di suspance che basta al lettore per proseguire fino alla fine e sapere cos'è questo fatto, anche se si intuisce qualcosa di tragico.
C'è qualche errore di battitura da rivedere anche se niente di gravissimo [SM=x142888]
Ti consiglio invece in futuro di leggere bene le righe che scrivi di presentazione dei tuoi testi perché è un brutto biglietto da visita se sporcato da errori.

Spero vi piaccia questo breve racconto che ho scritto di getto questa sera. Fatemi sapere i vostri giudizi.

Stefano Starano
00sabato 10 maggio 2008 15:59
il mio giudizio
ok
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