SCOTLAND YARD

Stefano Starano
00martedì 29 aprile 2008 13:19
racconto in tre parti - parte 1^
Io sono stato ricercato da Scotland Yard.
La storia risale all’agosto 1971, quando io e quel mio cugino andammo in vacanza a Londra. Alloggiavamo in una pensioncina di un paesino a pochi chilometri dalla capitale.
Andavamo spesso a casa della signora Ernestina, amica di parenti di San Giorgio a Cremano, che ci ospitava a pranzo. La figlia, Annamaria, era del tutto inglese. Quando non andavamo a Londra, Annamaria ed Elain, la sua amica, ci portavano il pomeriggio in giro per pub, bar, chiese e a ballare.
Io parlavo molto con tutte e due ma, per rispetto nei confronti di mio cugino più grande (vitto, alloggio, trasporto in treno e divertimenti, pagati da mio padre), quando ballavamo o stavamo in Bus, io stavo “vicino” a Elain (lui aveva “scelto” Annamaria, la più carina delle due).
Una sera, al rientro – fuori la sua villetta, – fui così trasportato dalla freschezza e dalla genuinità anglosassone di Elain, che la baciai. In realtà “ci” baciammo, perché il sentire era reciproco. I suoi stavano dormendo, io non volevo lasciarla. Ci baciammo di nuovo, stavolta lei fu più “intensa”. Io salii di giri. Non avevo “quasi” mai avuto una ragazza (una sola, e m’aveva piantato dopo nemmeno due mesi – senza “averci mai fatto niente” – intenda chi può). Diciamo che non avevo conosciuto donna in senso biblico. Nonostante ciò non nutrivo nessuna intenzione precisa (anche perché se premedito qualcosa vengo assalito da tremori, mi si blocca il tronco, batto i denti, quindi tutto era – per forza – spontaneo) ma non riuscivo ad accettare che la cosa finisse lì. Arrivai a baciarla anche dentro la sala d’ingresso della casa, buia. Non accese la luce.
I richiami allarmati, urlati sottovoce da mio cugino e Annamaria, mi fecero tornare bruscamente alla realtà. Non potevo rischiare, soprattutto non era giusto far rischiare Elain di essere beccata in flagranza di reato dai suoi cattolicissimi genitori. Con un immane sforzo di volontà e profondissimo dolore, mi staccai da lei – incarnazione della dolcezza celeste in terra – e ci demmo appuntamento per il giorno dopo (il dolore di cui avanti è da intendersi in senso fisico: rimasi tanto eccitato quella sera che ebbi dolori al basso ventre per un paio di giorni, ed ero troppo orgoglioso per “provvedere da me”). Avremmo avuto più tempo. Queste cose, chissà perché, succedono sempre alla fine. E la fine fu.
Non so perché, ma la presenza di mio cugino mi pesava. A casa della signora Ernestina mi ripigliava dicendo che ero inopportuno parlando troppo dell’Italia (ma Ernestina era avida di notizie, era il suo paese natale!) e chiedendo sempre aiuto ad Annamaria per tradurre cose divertenti da una lingua all’altra. Poi diceva che si stava facendo troppo tardi (ma non stavamo in vacanza?).
Ma il colmo fu il giorno dopo, quando, bisognosi di ragazze (almeno io), con la bellissima aria di rinnovamento rivoluzionario in una grande capitale europea come Londra dei primissimi anni ‘70, sulla scia dei Beatles, dei Rolling Stones e del ‘68 francese, ci vennero incontro due ragazze alte e bionde che ci chiesero indicazioni per Piccadilly Circus. Da tener presente che noi non avevamo ancora deciso l’itinerario per quel giorno. Non mi limitai a dare loro l’informazione, mi sembrò naturale chiedere di dove fossero. Erano danesi (quanto amavo quel popolo i cui giovani sono i più aperti al dialogo). Io dissi loro che eravamo di Napoli. Non potrò mai dimenticare con che tono piacevolmente incredulo, con quali occhi pieni di meraviglia, risposero “Naples?”.
“Yes,” confermai, “we come from Naples!” e lo dissi indubbiamente nella peggiore forma d’inglese, come fossimo stati a Napoli e non “di” Napoli. Ma tant'è, capirono lo stesso.
Chiesi a mio cugino se non era più opportuno accordare il nostro itinerario con il loro, in virtù del fatto che non avevamo ancora deciso dove andare – e, soprattutto, in virtù delle “loro virtù”.
Niente, decise che dovevamo andare altrove: Hide Park. Cxxxo, un parco! Allora feci due cose, in un negozio comprai il casco per moto che volevo, e ad Hide Park mi feci fotografare a cavallo di una sedia a sdraio con indosso il casco.
Poi adocchiai una bruna con una minigonna spaventosa e tacchi alti, e dissi a mio cugino che andavo ad abbordarla, che mi aspettasse lì senza muoversi.
Le chiesi il mezzo più veloce per andare a Victoria Station. Nel giro di venti minuti stavo già sul treno per l’Italia. Per oltre due giorni fui “ricercato” da Scotland Yard (famosa per il suo acume e la prontezza a capire); seppi poi che si diede molto da fare nel vano tentativo di cercarmi, le ricerche furono estese a tutto il Regno Unito, finché i miei, presentatomi a casa, avvisarono la signora Ernestina che ero a Napoli.
Ed è così che sono rimasto “schedato” nei loro archivi come “Persona indesiderata, responsabile di aver provocato disordine e disservizio fra le Forze dell’Ordine di Sua Maestà Britannica”.
Stefano Starano
00martedì 29 aprile 2008 13:23
racconto in tre parti - parte 2^
Così mi ritrovai di ritorno da Londra, solo come un cane perché mi ero fatto due pxxxe di mio cugino più grande (che fungeva da tutore alle spalle di mio padre che aveva pagato la vacanza in Inghilterra – compreso viaggio e sfizi – a entrambi, pur di farmi stare in compagnia).
Il viaggio in treno era piuttosto lungo dato che il tunnel sotto la Manica avrebbero avuto intenzione di realizzarlo solo alcuni decenni più tardi. Diciamo un giorno e mezzo di viaggio, all'incirca.
Era quasi ora di cena, mi avviai verso la carrozza ristorante. Mi ci volle un bel po', il treno era lungo. Il cameriere mi fece accomodare, non c’era ancora nessuno. Finalmente arrivò una giovane signora, molto giovane. Bionda, capelli corti, abito bianco – giacca e pantaloni – sobria ma elegante. Doveva essere anche ricca. Vagò un po' per i tavoli poi si fermò, guardò indifferente a destra, poi a sinistra, e si sedette. Casualmente era il tavolino dove stavo seduto anch’io. Fu logico attaccar discorso.
Era americana (chi lo avrebbe detto) e si chiamava Rebecca. Nome interessante, mi ricordava un personaggio di Diabolik (quelli sul retro della copertina che cambiano ad ogni numero) e glielo dissi. Lei mi disse di rimando che considerava il mio nome interessante. Anche il mio volto lo era, disse. Il discorso scivolò in confidenze sempre più strette: si parlava di noi, del nostro passato, degli interessi comuni; le dissi pure in uno slancio di sincerità che aveva dei seni piccoli (ma a me piaceva, solo che questo non glielo dissi).
Alla fine del pasto ci alzammo e, continuando a parlare, lei si fece accompagnare. Mi disse che aveva una stanza da letto riservata solo per lei, cioè nel vagone letto; io non avevo nemmeno la cuccetta, me n’ero andato via da Londra come un ladro nella notte, senza valigia, portandomi però il casco da motociclista. Era importante perché un mio amico era in coma: lo aveva sempre indossato, tranne quella volta. Io avevo una lambretta 125 truccata, (cioè portata a 150 di cilindrata) e non mi decidevo mai a comprarlo. A Londra lo feci.
Col casco in mano attraversai praticamente tutto il treno, quella benedetta camera da letto non arrivava mai. Nel frattempo, seguendola da dietro nei corridoi, pregustavo la notte col pensiero di lei, di Rebecca. Che femmina, una signora donna! Dio mio, stare una notte con una donna vera, in una stanza tutta per noi... Stavo quasi per abbracciarla, mi controllai.
Finalmente, dopo un’eternità, giunse la porta dello scompartimento Wagon Lits; lei estrasse la chiave dalla borsetta, entrò e – dicendomi buona notte in americano con un sorriso – mi chiuse la porta in faccia. Per poco non cadevo all’indietro.

Anni dopo, quando ero più adulto, ricordai le mie parole sul treno.
“Hai i seni piccoli”, e non le avevo detto che mi piaceva.
misterx78
00martedì 29 aprile 2008 20:10
Ma cosa avevi combinato di così grave?
misterx78
00martedì 29 aprile 2008 20:14
Ma stai facendo la pubblicità a qualche corso di Inglese? [SM=x142947]
Apparte gli scherzi... mi sa che dopo quella porta in faccia i dolori al basso ventre si saranno intensificati...
Ci dovevi proprio tenere visto che dopo anni ci hai ripensato! Chissà che bella americana!!! :-p
Stefano Starano
00martedì 29 aprile 2008 21:31
Purtroppo
Purtroppo era bella sì... bionda, volto da incanto, snella, estremamente signorile, socievole, irrangiungibile...
Ahimé... però poi ho attaccato bottone con una inglese nel mio scompartimento (a sei) diretta a Firenze, e di notte ho cercato di comunicare prendendo la sua mano nella mia (lei era riluttante, poi ha ceduto) e tracciavo le lettere con un dito nel suo palmo: chissà cosa ha capito...
Stefano Starano
00martedì 29 aprile 2008 21:40
Ero scomparso
Ero scomparso senza motivo, nessuno aveva notizie di me e mi hanno cercato in tutto il Regno Unito.
In treno da Londra ci voleva (nel 1971) almeno un giorno e mezzo, poi l'autobus per arrivare a casa. Solo dopo i miei hanno potuto avvisare i miei zii e loro poi hanno comunicato con Londra (non esistevano i cellulari).
Quindi, avendo procurato falso allarme con disservizio, le Forze dell'Ordine compresi i Servizi Speciali (Scotland Yard) mi hanno denunciato. Sono stato "bandito" dal Regno Unito che non faceva parte dell'Unione Europea (ci voleva il passaporto). Ero come un extracomunitario che aveva commesso un reato.
All'epoca questo era grave.
Non sono mai più andato in Inghilterra.
auroraageno
00mercoledì 30 aprile 2008 09:44

Questo tuo racconto profuma di fresco e di avventato (alla fine).
Bello... Cara gioventù!

[SM=x142888] [SM=g27817]

aurora

Stefano Starano
00mercoledì 30 aprile 2008 18:59
A quell'età
A 17 anni, nel 1971, era tutto diverso.
Facevi quel che il cuore ti suggeriva.
Io ho 17 anni.
Stefano Starano
00mercoledì 30 aprile 2008 19:01
racconti in tre parti - parte 3^ ed ultima
Gennaro Scognamiglio mi ha salvato la vita.
Gennaro aveva sedici anni e stava con una nostra amica, Ada Ricciardi. Aveva un Motomorini 50, di quelli che si possono guidare senza patente già a 14 anni. All’epoca non era d’obbligo indossare il casco ma lui lo indossava sempre, anche quando mangiava – dicevano gli amici – e anche quando dormiva.
Un giorno d’estate del 1971, a via Libertà, la strada principale di San Giorgio a Cremano che porta con una ripida salita fino all’ingresso del casello autostradale della Napoli-Salerno, Gennaro con un amico stava fermo a parlare. Le ragazze stavano lì accanto sul marciapiede. A qualcuno venne voglia di gelato, il bar stava poche decine di metri più giù. Decisero di andarci. Le ragazze e l’amico si avviarono a piedi, Gennaro li avrebbe raggiunti con la moto non potendola lasciare incustodita sul marciapiede. Però non accese il motore, inutile in discesa e per pochi metri. Stava a motore spento e per questo non indossò il casco. Ad un certo punto si dovette “allargare” a causa di una signora col carrozzino che percorreva la strada parallela al marciapiede. Gennaro non poteva fare altro che sorpassarla. Stava a motore spento e per questo ci mise più tempo, troppo tempo. Una Mini Morris, anzi, per essere più precisi il modello Mini Cuper (di quelle giallo-arancione che avevano quelli più “capitalisti” fra i giovani) giunse a 90 Km/k a portar via quella giovane vita, l’unica volta che non aveva il casco. L’unica e l’ultima volta.
Io ero partito per l’Inghilterra dopo due giorni, lo sapevo in coma ma il viaggio era prenotato, anche il treno. Eppoi lì c’era una vecchia signora, amica di parenti, che ci aspettava. Me lo immaginavo – al mio ritorno – venirci incontro tutto fasciato sorreggendosi con due stampelle. Roba da ridere, sicuro! Al ritorno lo ritrovai al cimitero. Mi dissero che dopo altri due giorni era morto senza mai risvegliarsi dal coma.


La storia

Quel primo di settembre del 1971 si crepava letteralmente dal caldo. E afoso per di più. Il barbiere, discreto sui fatti di tutti, mi sconsigliò l’uso del casco.
“Fa perdere i capelli” mi disse. Di certo con quel caldo non mi sarei messo nemmeno un fazzoletto bianco sulla testa. Ma Gennaro era morto perché solo una volta non l’aveva portato.
Andai a casa, poco dopo mi citofonò Carmen. Carmen Galdi era indubbiamente un’amica ma anche una bella ragazza. Mi chiese se volevo accompagnarla a portare dei documenti a Torre del Greco. Erano pochi chilometri, con la Lambretta sarebbe stata una piacevole passeggiata al vento, e con una bella ragazza dietro che ti stringe per mantenersi. Faceva anche equitazione, le gambe sapeva stringerle. Potevo andare sicuro, accettai.
“Ma che fai con questo casco in testa, non senti caldo?” mi stava dicendo. Non risposi a parole ma mentalmente, “una sola volta...”.
Mi fermai sotto il portone, lei entrò. Due ragazze ferme anch’esse su una Vespa 50 guardavano e mandavano risolini. Le sentivo mentre dicevano fra di loro “ma guarda quello, che crede, di avere un’Honda 750?”. Io fremevo, stavo per mandare al diavolo loro e il casco. Ma no, ricordai “per una sola volta...”
Carmen tornò e ce ne andammo. Sulla via del ritorno lei tornò alla carica.
“Ma dai, su, toglietelo ‘sto casco. Non ti piace sentirti libero?”. Io zitto.
“Ti prego, fallo per me!”
E ancora: “Vedrai che dopo starai meglio!”
“Ma non ti dà fastidio?”. Sempre zitto.



La fine della storia

A un certo punto una Fiat 500 stava uscendo dalla fila di auto parcheggiate, feci per evitarla e dovetti accelerare per essere sicuro di allargarmi a sufficienza quando, troppo tardi, m’accorsi che non si limitava ad uscire dalla fila per immettersi sulla via, ma stava facendo inversione di marcia.
Mi ritrovai il suo fianco di fronte alla mia massima velocità. Ricordo il mondo rovesciato, ovvero l’asfalto stava sopra, il cielo sotto. Non avevo il coraggio di muovermi, non sapevo quale parte del corpo fosse rimasta intera. Mi sentii sollevare sotto le braccia. Quando mi rialzai capii che stavo bene.
La visiera del casco era andata in frantumi ma mi aveva salvato gli occhiali e forse la vista. Il casco aveva due macchie, una dello stesso blu della 500 ed una gialla come la Lambretta. Mi dissero che avevo urtato anche contro un tombino. Mi aveva salvato! In mezzo a questa felicità di essere vivo e intero, un ricordo come una lama di coltello. Carmen!
“La ragazza, dov'è la ragazza?” urlavo. Mi guardavano senza rispondere.
“La ragazza, come sta?” insistei.
“Sta bene, sta bene”.
“Ma non la vedo!”
Stava al di là dell'auto e della Lambretta. Aveva sorvolato entrambi i mezzi atterrando con le mani in avanti e i piedi in aria, e ricadendo su un fianco.
L’allenamento a cadere da cavallo l’aveva salvata! Ma a me chi mi aveva salvato? E fu così che ricordai Gennaro Scognamiglio, l’amico che per una volta, una sola volta, non aveva portato il casco. La volta che morì.
ELIPIOVEX
00mercoledì 30 aprile 2008 21:19
Ho gradito questo racconto. Una lezione di vita anche per i giovani d'oggi.
Quante storie si potrebbero scrivere di ragazzi morti perché non portavano il casco!

una nota finale: io nel 71 non ero nemmeno nata! [SM=x142839]
Stefano Starano
00mercoledì 30 aprile 2008 22:30
Il casco che serve a salvare vita e stroppiature
Una mia coetanea di 14 anni, nipote di Giovanni Leone, Presidente della Repubblica, nel 1967 ebbe in regalo dal padre un Trotter (motorino) perché aveva superato brillantemente gli esami di terza media: doveva frequentare il miglior Liceo Classico della città.
Uscì finalmente col suoTrotter per una delle vie più panoramiche di Napoli. Degli amici sul marciapiede opposto la salutarono, lei per risponderli o per fare inversione prende in peno una Fiat 850 che viaggiava a 120 Km/h. Era guidata da uno studente universitario che rimase in stato di shok.
La sua testa si spappolò: morta.
L'amico del CASCO INGLESE morì dopo quattro giorni di coma per l'unica volta che non aveva indossato il casco e non aveva nemmeno 16 anni.
Un amico in motocicletta fece un incidente ad un incrocio da giovane: oggi parla con voce fioca (che non si capisce niente se non stai con l'orecchio vicino la sua bocca), deve andare a controllo periodicamente in Francia perché potrebbe morire soffocato e cammina rigido in un certo modo.
Potrei citare altri casi da cimitero o da ospedale con conseguenze permanenti.
fiordineve
00lunedì 12 maggio 2008 01:05


I ricordi dei tuoi amici morti per non aver usato il casco fa passare in secondo piano la storia inglese.
Forse sarebbe stato meglio dividere in due topic i racconti-ricordi.

Qui, da noi, nessuno si sognerebbe mai di non usare il casco, sembra che ci siano agenti ovunque e non parliamo poi delle telecamere.
Arrivano certe multe che ti devi vendere la casa.



Ocio, eri davvero imbranato , vai a Londra e ti lasci sfuggire ogni eventuale "conoscenza biblica" che ti capita.

Spero che tu abbia rimediato in seguito. [SM=x142832] [SM=x142832] [SM=x142832] [SM=x142832] [SM=x142832] [SM=x142832] [SM=x142832]
Stefano Starano
00lunedì 12 maggio 2008 23:13
in verità
In verità non ho "rimediato" in seguito... perché troppo "rispettoso della donna (pur avendo avuto delle occasioni "ravvicinate" che avrebbero potuto benissimo concludersi con un dato di fatto).
La faccenda del casco è stata vissuta nel 1971 quando nessuno portava iol casco a volte nemmeno sull motociclette vere e proprie.
Io, quando ero vigile nel 1987, ho fatto multe contemporaneamente ad una stessa moto per non avere il casco, per non avere il casco il secondo passeggero, per aver permesso al secondo passeggero di non aver indossato il casco, per essere passato ad un incrocio con velocità, per essere passato allo stesso incrocio con il rosso e per non essersi fermato all'alt del vigile.
All'epoca le multe erano molto più basse e l'importo totale era di circa 500.000 lire, ma io il mio dovere l'avevo fatto. Oggi a Napoli si organizzano veri e propri posti di blocco della Polizia Municipale in cui vengono sequestrati decine di motorini. L'unico difetto è che questi posti di blocco vengono effettuati troppo di rado.
Infine devo ribadire che il mio amico indossava "SEMPRE" il casco, tranne quella fatidica volta che stava spostandosi accosto il marciapiede a motore spento per qualche decina di metri.
fiordineve
00martedì 13 maggio 2008 02:24
In verità non ho "rimediato" in seguito... perché troppo "rispettoso della donna


Non intendevo immediatamente dopo, dal momento che hai una figlia, presumo tu l'abbia concepita con una donna "conosciuta biblicamente". [SM=x142897] [SM=x142914] [SM=x142914] [SM=x142895]


Ironia, ragazzo mio, fatti un sorriso ed ammetti di aver conosciuto il sesso. [SM=x142840] [SM=x142880] [SM=x142892]
Stefano Starano
00martedì 13 maggio 2008 21:04
insisto, persisto e ribadisco
No, non ho avuto "occasioni" dopo.
Mia moglie si era innamorata di me, forse io un po' meno - come succede sempre nelle coppie dove uno traina e l'altro è trainato (un amico mio diceva che c'è un "up" e un "down") e dopo fu naturale il seguito.
Ma non sono mai stato un dongiovanni.
fiordineve
00giovedì 15 maggio 2008 01:52


Cavoli, l'unico donnaiolo l'ho sposato io, allora? [SM=x142818] [SM=g27825]

What a luck. [SM=x142828] [SM=x142827] [SM=x142831]



Stefano Starano
00giovedì 15 maggio 2008 15:30
non esattamente.
Stefano Starano
00giovedì 15 maggio 2008 15:35
gli altri sono donnaioli e riescono con le donne e i matrimoni
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