racconti in tre parti - parte 3^ ed ultima
Gennaro Scognamiglio mi ha salvato la vita.
Gennaro aveva sedici anni e stava con una nostra amica, Ada Ricciardi. Aveva un Motomorini 50, di quelli che si possono guidare senza patente già a 14 anni. All’epoca non era d’obbligo indossare il casco ma lui lo indossava sempre, anche quando mangiava – dicevano gli amici – e anche quando dormiva.
Un giorno d’estate del 1971, a via Libertà, la strada principale di San Giorgio a Cremano che porta con una ripida salita fino all’ingresso del casello autostradale della Napoli-Salerno, Gennaro con un amico stava fermo a parlare. Le ragazze stavano lì accanto sul marciapiede. A qualcuno venne voglia di gelato, il bar stava poche decine di metri più giù. Decisero di andarci. Le ragazze e l’amico si avviarono a piedi, Gennaro li avrebbe raggiunti con la moto non potendola lasciare incustodita sul marciapiede. Però non accese il motore, inutile in discesa e per pochi metri. Stava a motore spento e per questo non indossò il casco. Ad un certo punto si dovette “allargare” a causa di una signora col carrozzino che percorreva la strada parallela al marciapiede. Gennaro non poteva fare altro che sorpassarla. Stava a motore spento e per questo ci mise più tempo, troppo tempo. Una Mini Morris, anzi, per essere più precisi il modello Mini Cuper (di quelle giallo-arancione che avevano quelli più “capitalisti” fra i giovani) giunse a 90 Km/k a portar via quella giovane vita, l’unica volta che non aveva il casco. L’unica e l’ultima volta.
Io ero partito per l’Inghilterra dopo due giorni, lo sapevo in coma ma il viaggio era prenotato, anche il treno. Eppoi lì c’era una vecchia signora, amica di parenti, che ci aspettava. Me lo immaginavo – al mio ritorno – venirci incontro tutto fasciato sorreggendosi con due stampelle. Roba da ridere, sicuro! Al ritorno lo ritrovai al cimitero. Mi dissero che dopo altri due giorni era morto senza mai risvegliarsi dal coma.
La storia
Quel primo di settembre del 1971 si crepava letteralmente dal caldo. E afoso per di più. Il barbiere, discreto sui fatti di tutti, mi sconsigliò l’uso del casco.
“Fa perdere i capelli” mi disse. Di certo con quel caldo non mi sarei messo nemmeno un fazzoletto bianco sulla testa. Ma Gennaro era morto perché solo una volta non l’aveva portato.
Andai a casa, poco dopo mi citofonò Carmen. Carmen Galdi era indubbiamente un’amica ma anche una bella ragazza. Mi chiese se volevo accompagnarla a portare dei documenti a Torre del Greco. Erano pochi chilometri, con la Lambretta sarebbe stata una piacevole passeggiata al vento, e con una bella ragazza dietro che ti stringe per mantenersi. Faceva anche equitazione, le gambe sapeva stringerle. Potevo andare sicuro, accettai.
“Ma che fai con questo casco in testa, non senti caldo?” mi stava dicendo. Non risposi a parole ma mentalmente, “una sola volta...”.
Mi fermai sotto il portone, lei entrò. Due ragazze ferme anch’esse su una Vespa 50 guardavano e mandavano risolini. Le sentivo mentre dicevano fra di loro “ma guarda quello, che crede, di avere un’Honda 750?”. Io fremevo, stavo per mandare al diavolo loro e il casco. Ma no, ricordai “per una sola volta...”
Carmen tornò e ce ne andammo. Sulla via del ritorno lei tornò alla carica.
“Ma dai, su, toglietelo ‘sto casco. Non ti piace sentirti libero?”. Io zitto.
“Ti prego, fallo per me!”
E ancora: “Vedrai che dopo starai meglio!”
“Ma non ti dà fastidio?”. Sempre zitto.
La fine della storia
A un certo punto una Fiat 500 stava uscendo dalla fila di auto parcheggiate, feci per evitarla e dovetti accelerare per essere sicuro di allargarmi a sufficienza quando, troppo tardi, m’accorsi che non si limitava ad uscire dalla fila per immettersi sulla via, ma stava facendo inversione di marcia.
Mi ritrovai il suo fianco di fronte alla mia massima velocità. Ricordo il mondo rovesciato, ovvero l’asfalto stava sopra, il cielo sotto. Non avevo il coraggio di muovermi, non sapevo quale parte del corpo fosse rimasta intera. Mi sentii sollevare sotto le braccia. Quando mi rialzai capii che stavo bene.
La visiera del casco era andata in frantumi ma mi aveva salvato gli occhiali e forse la vista. Il casco aveva due macchie, una dello stesso blu della 500 ed una gialla come la Lambretta. Mi dissero che avevo urtato anche contro un tombino. Mi aveva salvato! In mezzo a questa felicità di essere vivo e intero, un ricordo come una lama di coltello. Carmen!
“La ragazza, dov'è la ragazza?” urlavo. Mi guardavano senza rispondere.
“La ragazza, come sta?” insistei.
“Sta bene, sta bene”.
“Ma non la vedo!”
Stava al di là dell'auto e della Lambretta. Aveva sorvolato entrambi i mezzi atterrando con le mani in avanti e i piedi in aria, e ricadendo su un fianco.
L’allenamento a cadere da cavallo l’aveva salvata! Ma a me chi mi aveva salvato? E fu così che ricordai Gennaro Scognamiglio, l’amico che per una volta, una sola volta, non aveva portato il casco. La volta che morì.