Roma, la Stalingrado d'Italia!

florentia89
00domenica 1 giugno 2008 16:57
La città più protetta ... del mondo!
I forti romani

Esaminando il fervore di opere civili e pubbliche realizzate nel quindicennio del Duce, 1925 – 40, che cambiò l’Italia in generale e Roma in particolare, oltre Milano. Torino, Genova, Venezia, Bari e smetto, altrimenti menzionerei l’intero volume dei comuni, nel quale vidi concretizzarsi la “furia” creatrice di menti e volontà eccelse, mi è venuto di paragonarlo ad un altro quindicennio di opere che ebbe la mia città, cioè Roma, per la quale avrete capito sono incavolato per come venne aggredita e sconvolta nel 1870 dai politicanti, burocrati, militari, del nord e non solo. Non intendo trattare questo problema, lo farò a parte, pur se resta per me che il vero unificatore d’Italia sia stato il Duce, non altri, o almeno ci abbia provato. Andiamo indietro di centotrentanni. I piemontesi sono a Roma, pur se Vittorio Emanuele ci stia malvolentieri, e ben precisano “a Roma siamo e resteremo”.
La città conquistata dall’armata di Cadorna è un centro di dimensioni dell’odierna Brescia, di estensione però più ampia in quanto è mezza città e mezza campagna, con ville, orti e tenute all’interno del suo nucleo, e con duecentoventimila abitanti che non brillano in quanto a spirito “bellico”, tanto che il papa, se ha voluto qualche reparto di difesa serio, ha dovuto ricorrere agli svizzeri e agli zuavi francesi, un tipo di Legione Straniera vaticana.
La mia definizione di Roma, espressa per provocazione come la Stalingrado anomala italiana, non è per l’azione di occupazione sabauda, in quanto in sarebbe pur divenuta la Capitale d’Italia, ma per quanto venne dopo. Ne parlo con cognizione, sia dopo essermi documentato, che svolte ricognizioni in più luoghi.
I nordisti, col loro re francese per tre quarti, si sono appena installati in città e già nel 1871, senza pericoli di attacchi da parte di alcuno, specie ora che la Francia è stata tolta di mezzo dai prussiani, l’Austria si sta leccando le ferite, il sud che pensa “Piemonte o Spagna purché se magna”, pensate si dedichino allo sviluppo di quel popolo liberato dalla tirannia papale? Non ci si crederà, ma con gli infiniti problemi di allora uno dei primi progetti non sarà rivolto a case per il popolo, lotta all’indigenza, all’arretratezza, bensì a munire la modesta città di 23 forti di prima linea, da costruire a cinque chilometri dalle mura aureliane, ognuno con fronte di 250 metri, oltre quindici batterie di seconda linea, a due chilometri dalle mura, più strade militari, polveriere, magazzini, casermaggi, con le mura Aureliane che avrebbero costituito la terza linea di difesa, la più seria.
E per non sottovalutare questi tentativi di difendere poco più di un borgo, si consideri che per ogni forte erano previsti cinquanta-sessanta cannoni, nonché un presidio di sette-ottocento soldati! Qualche forte minore avrebbe avuto un fronte di soli 180 metri, 30-40 cannoni e cinquecento uomini! I forti dovevano distare fra loro due chilometri così, dato il loro numero e l’area di competenza, avrebbero potuto pure unirli e chiudere la città in un anello di ferro e fuoco.
Aggiungo la pletora delle strutture e degli addetti ai servizi, magazzini, sanità, caserme. Se i sovietici settanta anni dopo si fossero riferiti per Stalingrado agli intendimenti dei generali piemontesi, col cavolo i tedeschi avrebbero messo piede in città.
Si dirà, era un progetto. E’ vero, ma repetita juvant. A questa idea, studiata per cannoni che tiravano a un paio di chilometri, senza rigatura, inutili rispetto le esigenze venture, seguirono altri piani sempre più impegnativi, finché nel 1877 ci sarà il progetto del generale De Giorgis. Così Roma sarebbe stata in grado finalmente di difendersi dai saraceni e dai turchi (infatti escludendo francesi, austriaci, spagnoli e altri, rimanevano solo loro, o le loro anime, potrei aggiungere, perché no? i cartaginesi di Annibale).
Tralascio i dettagli, dico solo che Roma si trovò coinvolta in un quindicennio di lavori militari che terranno conto dei cannoni “rigati” dalle gittate a sei-sette chilometri, e dei proiettili esplodenti.
Col progetto De Giorgis dovevano nascere diciannove forti e diciannove batterie, tutti e tutte dell’ultima generazione Questi lavori nel quindicennio dal 1877 al 1892 vennero in ampia parte conclusi, assieme a opere aggiunte, consentendo così alla Capitale di respingere i pirati o di difendersi dalle zanzare delle paludi vicine.
Avremo così le maxistrutture dei forti di Monte Mario, Trionfale, Braschi, Boccea, Aurelia Antica, Bravetta, Portuense, Ostiense, Ardeatina, Appia Antica, Casilina, Prenestina, Tiburtina, Pietralata, Monte Antenne, nonché le batterie di Tevere, Appia Pignatelli, Porta Furba, Nomentana, più altre cosette maggiori e minori per fortuna non ancora terminate. Tutte assolutamente inutili, mai impiegate o un colpo sparato (beh! ci fucilarono un po’ di gente), costate a suo tempo milioni e milioni, quando una stanza in un hotel di lusso costava due lire a notte (ho con me la guida Hachette del 1906), quando con quel fiume di soldi potevano rivoltarci Roma.
Mi chiedo quanto siano costati la pletora dei progetti di questa faraonica necessità difensiva, dei teams di militari, civili, progettisti, ingegneri, geologi, studiosi, burocrati, amministrativi.
Poi quando nel 1943 e 1944 Roma avrebbe avuto bisogno di uno straccio di difesa, i “forti” non serviranno a niente.
Tornando all’inizio ribadisco che più di centanni or sono Roma ebbe il suo periodo alla Stalingrado, guai ai turchi, ai saraceni, ai punici, ai barbari (non ne aggiungo altri, non ne ho) che avessero pensato di togliere la capitale ai montanari del nord, che in casa loro forse non parlavano ancora l’italiano.
Mi sarebbe piaciuto vedere poi l’esito se qualche malintenzionato avesse avuto l’idea di attaccarci sul serio..
Duce, quello della fine del 1800 fu un’inutile quindicennio di sprechi in un momento di abissale povertà pubblica e privata, da non paragonare in alcun modo al tuo quindicennio, quando rivoluzionasti si’ l’Italia (belle queste rivoluzioni), ma soprattutto desti seriamente a Roma un volto moderno, avanzato, non da milite spaccone di Plauto.
Ecco perché ho terrore, per modo di dire (di norma non l’ho per nessuna cosa) in merito ai paesi che pensino di risolvere i loro problemi con interventi dei militari.
Non dico con questo che non possa averne stima e considerazione, ma facciano il loro mestiere e non sognino impossibili piani di offesa e difesa da nemici magari immaginati, spendendo fiumi di denaro pubblico da loro non sudato, e tirato fuori dalle nostre tasche.
Per completare il pensiero non posso sottacere che il nuovo corso sabaudo di cose ben fatte ne fece anch’esso e in buona misura, però il livello del tempo del Duce non venne mai raggiunto. Così, mi ripeto e non mi pesa, spero idem per chi legge, per me l’unità d’Italia cercò di adfferontarla seriamente il Duce, e la portò molto avanti.
Prima fu solo un matrimonio non sentito, imposto dai saccenti lombardo-piemontesi di allora. Accanto ove abito oggi ho potuto visitare ciò che resta del Forte Ardeatino. Credo che nessuno sappia a cosa si riferiscano quei residui di megastrutture, penseranno trattarsi di cose di Giulio Cesare, o dei granai vicini dell’imperatore Nerva.
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