alberto_58
00domenica 10 febbraio 2008 21:58
- Il pranzo non era male -
pensava Tommy.
-Addirittura il sigaro e pure il vino, che qui non ne capiscono niente. Questa volta era buono.-
Il sole del pomeriggio illuminava a festa la sua tavola.
Sulla parete immagini di santi, una foto di suo padre e sua madre, con lui in mezzo all’età di tredici anni, vestito da uomo, la berretta storta sulla testa, faccia seria.
A fianco una cartolina della statua della Libertà. Sorrise. Come lo guardava seria quella donna, anche la prima volta che era sbarcato in America, ricordava. Era emersa dal mare scuro e freddo, comparsa in mezzo alla nebbia, la fiaccola alzata.
“Guarda Tommasino, guarda! Siamo in America!”
Suo padre e sua madre erano commossi, avvinghiati assieme agli altri sulla ringhiera ghiacciata della nave, in quel sottoponte di poveracci, partiti dall’Italia due mesi prima.
- Allora mi chiamavo Tommasino, adesso mi chiamano Tommy. Ho fatto grandi progressi. -
Sorrideva, gustando un pezzo di formaggio.
Quanto freddo e quanta fame durante quel viaggio! E quel camerone dove gli uomini dormivano separati dalle donne, quella puzza insopportabile, buio, odore di nafta, il cappottino che non lo riparava dal freddo, che non toglieva quasi mai.
Cercava sempre la mamma nella camerata delle donne, dove raramente poteva accedere, perché aveva tredici anni e doveva stare con gli uomini. L’oceano infinito urlava intorno a loro, nero come il cielo, i marinai urlavano contro di loro “Questo è il vostro ponte! Non oltrepassate la ringhiera!”
A volte, la sera, qualcuno suonava la fisarmonica, nel locale dove si mangiava e sembrava una festa. Anche il pane e la zuppa sembravano più caldi e più buoni.
Adesso Tommy non aveva più fame. Mise la camicia nuova, posata sul letto, bianchissima. Gli stava un po larga.
Tra poco sarebbe venuto padre Leone. Era delle sue parti, combinazione! Gli parlava dell’infinito, in dialetto, ed era bello sentirlo. I pensieri si accavallavano nella sua testa, metà in inglese, metà in dialetto. L’aveva imparato presto l’inglese, chi poteva immaginarlo, su quella nave! Suo padre era preoccupato, era analfabeta e anche sua madre.
“Non vi preoccupate, penserò io a voi!” diceva loro Tommasino, senza staccare lo sguardo dalla statua della Libertà, che li fissava severa. Sembrava guardare lui, in particolare. Severa.
Il profumo di quella terra nuova! Le urla degli uomini che indicavano dove andare! I fischi delle navi! Qualcuno parlava come loro, mentre li spintonavano, le valigie che cadevano a terra, avevano una strana cadenza. L’accento americano.
“Sono venuto anche oggi, Tommy.”
Padre Leone lo chiamava con il nome americano.
“Allora possiamo anche andare.” Rispose Tommy con un leggero sorriso al prete e a quelli che lo accompagnavano.
“Le mani, Tommy.”
Disse un uomo.
“Eccole.”
E furono chiuse da catene.
“Il Signore è il mio pastore : nulla mi mancherà…”
cominciò a pregare padre Leone lungo il corridoio, indossata la stola viola.
Dalle finestre delle celle sporgevano dita bianche, immobili, si intravedevano sguardi scuri.
“Good luck, Tommy!” disse qualcuno.
“Anche se camminassi in una valle oscura, non temerei alcun male…”
Tommasino guardò estasiato la porta in fondo al corridoio spalancarsi da sola davanti a lui, su una sala illuminata a giorno.
Delle persone stavano sedute in un angolo buio. Guardavano.
Al centro una sedia robusta, sopra, sospesa, una corona di ferro attaccata a un filo.
Era per lui.
- Oh padre! Oh madre!
Voi non potevate sapere cosa aspettava vostro figlio in America..!-
“… e rimarrò nella casa del Signore per lunghi anni.”
“Amen…”
Amen, Tommasino.