prima parte
Seduta al tavolino del solito pub all'angolo si specchiava nella vetrata. Pioveva anche quel giorno di quasi dieci anni prima. C'era qualcosa nell'aria quel mercoledì, qualcosa di pesante e opprimente. Ricordava ogni dettaglio, le immagini si erano fissate nitide nella sua mente. Ricordava la luce bianca riflessa dai muri spogli della sua casa nuova, le finestre erano tutte insolitamente spalancate, come se anche l'edificio avesse lasciato spirare la sua anima al di fuori, l'impressione era quella di stare in un posto sconosciuto, non più una casa,la sua casa, ma solo un insieme di mura e mobili. Non c'era nessuno. Sua madre non le aveva nemmeno preparato il pranzo, come faceva di solito. Trovò la porta della camera da letto dei suoi genitori aperta, vi entrò facendo attenzione a non far rumore, come se temesse che da un momento all'altro la volta potesse crollarle addosso. Il letto era fatto, le lenzuola lilla erano lisce, sembrava che nessuno avesse mai dormito in quel luogo, su uno dei cuscini freddi erano adagiati dei fogli di carta, lilla anche quella. Fogli scritti. Scritti di una calligrafia nervosa e spezzata, da una mano tremante, da un respiro rotto. La calligrafia di suo padre. Avrebbe voluto scappare da quel luogo, andarsene correndo più veloce che poteva da quell'aria irrespirabile, ma quei fogli la chiamavano, ed era una chiamata a cui non avrebbe potuto non rispondere. Chiuse gli occhi. Li riaprì. Lesse poche righe. Ricordava ancora la forza con la quale si sbattè la porta alle spalle poco dopo. Corse nella pioggia, piangendo come non aveva mai pianto. Sentiva il dolore sbocciarle nelle vene, in ogni sua piega, lo sentiva penetrarle le ossa, scavarle la schiena e incendiarle il petto. Fu quel giorno che scoprì quanto fosse piccola e fragile. Fu quel giorno che piano piano iniziò a costruire la corazza che mai più avrebbe abbandonato.
Mentre la pioggia rigava la sua immagine riflessa il suo sguardo fu catturato da un movimento al suo fianco. Una ragazza sui 25anni o poco più, alta, dai lunghi capelli neri ondulati e la fronte ampia di chi non ha preoccupazioni le sorrise.
"Piacere sono Michela, la sua segretaria mi ha preso l'appuntamento, avrei voluto accordarmi con lei di persona ma mi ha detto che era molto occupata"
Continuava a sorridere, sembrava una di quelle modelle bellissime della pubblicità dei biscotti.
"Piacere, Sara Rossi. Non si preoccupi mi fido della mia segretaria, e prendermi appuntamenti è il suo lavoro" Nel tono di Sara c'era la solita venatura di ironia che sembrò turbare la bella interlocutrice.
"Quindi immagino che sappia perchè ho chiesto di vederla"
"Suppongo di si, ma vista l'assurdità della sua richiesta, vorrei me la spiegasse meglio lei"
"Vorrei che leggesse il mio libro. So che non è il suo lavoro, e sappia che ho già spedito il manoscritto a diverse case editrici e da alcune è anche stato accettato in previsione della pubblicazione. Ma è il suo parere che voglio. Amo i suoi libri. Amo il suo mondo"
"Io..."
Avrebbe dovuto riderle in faccia, era così assurda come situazione. Eppure quella ragazza incredibilmente diversa da lei la ispirava, aveva qualcosa che la colpiva, era come ammaliata da quel sorriso ingenuo e da quegli occhi scuri e rotondi. E poi Sara pensava che solo sua madre e sua sorella leggessero i suoi romanzi. Perchè no?
"E va bene. Ma non ringraziarmi, sarò estremamente oggettiva nel darti un giudizio"
Il sorriso della ragazza si allargò ulteriormente e le brillarono gli occhi
"Tenga"
"Sono molto impegnata ultimamente, avrò bisogno di tempo"
"Ecco il mio numero, mi chiami quando vuole, grazie mille!"
Sara guardò il bigliettino rimasto sul tavolino, la ragazza se ne era già andata. Chissà dove.