Piergiorgio Welby: lotta d’un poeta per il diritto di morire.

Cobite
00domenica 10 dicembre 2006 09:31


Lettera aperta al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Da Piergiorgio Welby, Co-Presidente dell’Associazione Coscioni

Caro Presidente,
scrivo a Lei, e attraverso Lei mi rivolgo anche a quei cittadini che avranno la possibilità di ascoltare queste mie parole, questo mio grido, che non è di disperazione, ma carico di speranza umana e civile per questo nostro Paese.

Fino a due mesi e mezzo fa la mia vita era sì segnata da difficoltà non indifferenti, ma almeno per qualche ora del giorno potevo, con l’ausilio del mio computer, scrivere, leggere, fare delle ricerche, incontrare gli amici su internet. Ora sono come sprofondato in un baratro da dove non trovo uscita.
La giornata inizia con l’allarme del ventilatore polmonare mentre viene cambiato il filtro umidificatore e il catheter mounth, trascorre con il sottofondo della radio, tra frequenti aspirazioni delle secrezioni tracheali, monitoraggio dei parametri ossimetrici, pulizie personali, medicazioni, bevute di pulmocare. Una volta mi alzavo al più tardi alle dieci e mi mettevo a scrivere sul pc. Ora la mia patologia, la distrofia muscolare, si è talmente aggravata da non consentirmi di compiere movimenti, il mio equilibrio fisico è diventato molto precario. A mezzogiorno con l’aiuto di mia moglie e di un assistente mi alzo, ma sempre più spesso riesco a malapena a star seduto senza aprire il computer perchè sento una stanchezza mortale. Mi costringo sulla sedia per assumere almeno per un’ora una posizione differente di quella supina a letto. Tornato a letto, a volte, mi assopisco, ma mi risveglio spaventato, sudato e più stanco di prima. Allora faccio accendere la radio ma la ascolto distrattamente. Non riesco a concentrarmi perché penso sempre a come mettere fine a questa vita. Verso le sei faccio un altro sforzo a mettermi seduto, con l’aiuto di mia moglie Mina e mio nipote Simone. Ogni giorno vado peggio, sempre più debole e stanco. Dopo circa un’ora mi accompagnano a letto. Guardo la tv, aspettando che arrivi l’ora della compressa del Tavor per addormentarmi e non sentire più nulla e nella speranza di non svegliarmi la mattina.
Io amo la vita, Presidente. Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude. Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso – morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita – è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. Il mio corpo non è più mio ... è lì, squadernato davanti a medici, assistenti, parenti. Montanelli mi capirebbe. Se fossi svizzero, belga o olandese potrei sottrarmi a questo oltraggio estremo ma sono italiano e qui non c’è pietà.

Starà pensando, Presidente, che sto invocando per me una “morte dignitosa”. No, non si tratta di questo. E non parlo solo della mia, di morte.

La morte non può essere “dignitosa”; dignitosa, ovvero decorosa, dovrebbe essere la vita, in special modo quando si va affievolendo a causa della vecchiaia o delle malattie incurabili e inguaribili. La morte è altro. Definire la morte per eutanasia “dignitosa” è un modo di negare la tragicità del morire. È un continuare a muoversi nel solco dell’occultamento o del travisamento della morte che, scacciata dalle case, nascosta da un paravento negli ospedali, negletta nella solitudine dei gerontocomi, appare essere ciò che non è. Cos’è la morte? La morte è una condizione indispensabile per la vita. Ha scritto Eschilo: “Ostico, lottare. Sfacelo m'assale, gonfia fiumana. Oceano cieco, pozzo nero di pena m'accerchia senza spiragli. Non esiste approdo”.

L’approdo esiste, ma l’eutanasia non è “morte dignitosa”, ma morte opportuna, nelle parole dell’uomo di fede Jacques Pohier. Opportuno è ciò che “spinge verso il porto”; per Plutarco, la morte dei giovani è un naufragio, quella dei vecchi un approdare al porto e Leopardi la definisce il solo “luogo” dove è possibile un riposo, non lieto, ma sicuro.
In Italia, l’eutanasia è reato, ma ciò non vuol dire che non “esista”: vi sono richieste di eutanasia che non vengono accolte per il timore dei medici di essere sottoposti a giudizio penale e viceversa, possono venir praticati atti eutanasici senza il consenso informato di pazienti coscienti. Per esaudire la richiesta di eutanasia, alcuni paesi europei, Olanda, Belgio, hanno introdotto delle procedure che consentono al paziente “terminale” che ne faccia richiesta di programmare con il medico il percorso di “approdo” alla morte opportuna.
Una legge sull’eutanasia non è più la richiesta incomprensibile di pochi eccentrici. Anche in Italia, i disegni di legge depositati nella scorsa legislatura erano già quattro o cinque. L’associazione degli anestesisti, pur con molta cautela, ha chiesto una legge più chiara; il recente pronunciamento dello scaduto (e non ancora rinnovato) Comitato Nazionale per la bioetica sulle Direttive Anticipate di Trattamento ha messo in luce l’impossibilità di escludere ogni eventualità eutanasica nel caso in cui il medico si attenga alle disposizioni anticipate redatte dai pazienti. Anche nella diga opposta dalla Chiesa si stanno aprendo alcune falle che, pur restando nell’alveo della tradizione, permettono di intervenire pesantemente con le cure palliative e di non intervenire con terapie sproporzionate che non portino benefici concreti al paziente. L’opinione pubblica è sempre più cosciente dei rischi insiti nel lasciare al medico ogni decisione sulle terapie da praticare. Molti hanno assistito un famigliare, un amico o un congiunto durante una malattia incurabile e altamente invalidante ed hanno maturato la decisione di, se fosse capitato a loro, non percorrere fino in fondo la stessa strada. Altri hanno assistito alla tragedia di una persona in stato vegetativo persistente.
Quando affrontiamo le tematiche legate al termine della vita, non ci si trova in presenza di uno scontro tra chi è a favore della vita e chi è a favore della morte: tutti i malati vogliono guarire, non morire. Chi condivide, con amore, il percorso obbligato che la malattia impone alla persona amata, desidera la sua guarigione. I medici, resi impotenti da patologie finora inguaribili, sperano nel miracolo laico della ricerca scientifica. Tra desideri e speranze, il tempo scorre inesorabile e, con il passare del tempo, le speranze si affievoliscono e il desiderio di guarigione diventa desiderio di abbreviare un percorso di disperazione, prima che arrivi a quel termine naturale che le tecniche di rianimazione e i macchinari che supportano o simulano le funzioni vitali riescono a spostare sempre più in avanti nel tempo. Per il modo in cui le nostre possibilità tecniche ci mantengono in vita, verrà un giorno che dai centri di rianimazione usciranno schiere di morti-viventi che finiranno a vegetare per anni. Noi tutti probabilmente dobbiamo continuamente imparare che morire è anche un processo di apprendimento, e non è solo il cadere in uno stato di incoscienza.

Sua Santità, Benedetto XVI, ha detto che “di fronte alla pretesa, che spesso affiora, di eliminare la sofferenza, ricorrendo perfino all'eutanasia, occorre ribadire la dignità inviolabile della vita umana, dal concepimento al suo termine naturale”. Ma che cosa c’è di “naturale” in una sala di rianimazione? Che cosa c’è di naturale in un buco nella pancia e in una pompa che la riempie di grassi e proteine? Che cosa c’è di naturale in uno squarcio nella trachea e in una pompa che soffia l’aria nei polmoni? Che cosa c’è di naturale in un corpo tenuto biologicamente in funzione con l’ausilio di respiratori artificiali, alimentazione artificiale, idratazione artificiale, svuotamento intestinale artificiale, morte-artificialmente-rimandata? Io credo che si possa, per ragioni di fede o di potere, giocare con le parole, ma non credo che per le stesse ragioni si possa “giocare” con la vita e il dolore altrui.
Quando un malato terminale decide di rinunciare agli affetti, ai ricordi, alle amicizie, alla vita e chiede di mettere fine ad una sopravvivenza crudelmente ‘biologica’ – io credo che questa sua volontà debba essere rispettata ed accolta con quella pietas che rappresenta la forza e la coerenza del pensiero laico.

Sono consapevole, Signor Presidente, di averle parlato anche, attraverso il mio corpo malato, di politica, e di obiettivi necessariamente affidati al libero dibattito parlamentare e non certo a un Suo intervento o pronunciamento nel merito. Quello che però mi permetto di raccomandarle è la difesa del diritto di ciascuno e di tutti i cittadini di conoscere le proposte, le ragioni, le storie, le volontà e le vite che, come la mia, sono investite da questo confronto.

Il sogno di Luca Coscioni era quello di liberare la ricerca e dar voce, in tutti i sensi, ai malati. Il suo sogno è stato interrotto e solo dopo che è stato interrotto è stato conosciuto. Ora siamo noi a dover sognare anche per lui.

Il mio sogno, anche come co-Presidente dell’Associazione che porta il nome di Luca, la mia volontà, la mia richiesta, che voglio porre in ogni sede, a partire da quelle politiche e giudiziarie è oggi nella mia mente più chiaro e preciso che mai: poter ottenere l’eutanasia. Vorrei che anche ai cittadini italiani sia data la stessa opportunità che è concessa ai cittadini svizzeri, belgi, olandesi.

Piergiorgio Welby

Citato da: http://www.lucacoscioni.it/node/7131


[Modificato da Cobite 22/12/2006 17.38]

[Modificato da Cobite 25/12/2006 12.25]

Cobite
00venerdì 22 dicembre 2006 08:46
Morto Welby alle 23,59 di mercoldì 20 dicembre 2006



Staccata la spina: morto Welby
Cappato e Riccio interrogati

di Orlando Sacchelli

Roma - È morto Piergiorgio Welby. Un medico gli ha staccato la spina praticando l'eutanasia. ll decesso è avvenuto alle 23.59 di mercoledi. L'annuncio è stato dato da Marco Pannella dai microfoni di Radio Radicale. I particolari sono stati rivelati nel corso di una conferenza stampa indetta dall'Associazione Luca Coscioni, di cui Welby era co-presidente. "Welby ha accettato la sedazione per via venosa - rivela Mario Riccio - medico anestesista dell'ospedale maggiore di Cremona e membro della Consulta di Bioetica di Milano -. Così gli abbiamo somministrato un cocktail di medicinali. L'operazione è durata quaranta minuti. Contemporaneamente abbiamo staccato il respiratore. Tengo a precisare che le due operazioni sono avvenute simultaneamente". Negli ultimi istanti della sua vita nella stanza di Welby erano presenti familiari e amici: la moglie Mina, la sorella Carla, il segretario dei Radicali italiani Rita Bernardini, Marco Pannella e Marco Cappato.

Sessanta anni, Welby, malato da lungo tempo, lo scorso settembre Welby si era rivolto al Presidente della Repubblica chiedendo il riconoscimento del diritto all'eutanasia. Giorgio Napolitano aveva risposto dicendo di auspicare un confronto politico sull'argomento. Due mesi dopo, però, le condizioni del malato si erano notevolmente aggravate. Il 16 dicembre 2006 il tribunale di Roma aveva respinto la richiesta dei legali di Welby di porre fine all'accanimento terapeutico, dichiarandola "inammissibile", per via del vuoto legislativo su questa materia. Secondo il giudice esiste il diritto di chiedere l'interruzione della respirazione assistita, previa sommministrazione della sedazione terminale, ma è un "diritto non concretamente tutelato dall'ordinamento".



Nelle ultime settimane si era acceso il dibattito sull'eutanasia, dividendo le coscienze dei cittadini e dei politici. E' di ieri il parere del Consiglio Superiore della Sanità: "Le cure che lo tengono in vita non sono accanimento terapeutico".
Affetto da una terribile malattia degenerativa, la distrofia muscolare amiotrofica, da tempo Welby non poteva più parlare né compiere movimenti ed era costretto a stare su un letto attaccato a una macchina per respirare. La "lotta d’un poeta per il diritto di morire quando vuole": è così che il New York Times aveva scelto, ieri, di raccontare la sua storia. "Molti pazienti la cui sopravvivenza dipende da una macchina - scriveva il quotidiano statunitense - non sono coscienti e non hanno la possibilità di dire se vogliono vivere o morire ma Welby è ancora pieno di parole, dure e toccanti, parole che potrebbero cambiare il modo in cui l’Italia pensa all’eutanasia e alle altre scelte a disposizione dei malati terminali per porre fine alla propria esistenza. E mentre il lungo dramma di Welby - scriveva ancora il New York Times - sembra avviarsi all’ultimo atto, praticamente ogni giorno le prime pagine dei giornali riportano la cronaca delle questioni politiche, etiche e religiose che il suo caso rappresenta".

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Citazione da: Il giornale.it (http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=143326&START=2005)






Deb
00venerdì 22 dicembre 2006 13:42

l'eutanasia é da sempre una questione spinosa e da affrontare sotto molteplici aspetti...

mi piacerebbe aprire la discussione ma temo che possa degenerare... se tu Giancarlo sei d'accordo, esprimerò i miei pensieri in merito anche per prima...

[SM=x142886]
Cobite
00venerdì 22 dicembre 2006 17:26
Scusami Deb, ma quella di Welby non può proprio chiamarsi eutanasia nonostante l'articolo del giornalista, ma diritto ad una morte naturale.


"Ma che cosa c’è di “naturale”
in una sala di rianimazione?
Che cosa c’è di naturale
in un buco nella pancia
e in una pompa che la riempie
di grassi e proteine?
Che cosa c’è di naturale
in uno squarcio nella trachea
e in una pompa che soffia l’aria nei polmoni?
Che cosa c’è di naturale
in un corpo tenuto biologicamente in funzione
con l’ausilio di respiratori artificiali,
alimentazione artificiale,
idratazione artificiale,
svuotamento intestinale artificiale,
morte-artificialmente-rimandata? "


Piergiorgio Welby da lettera al presidente


Giancarlo

[Modificato da Cobite 25/12/2006 12.29]

Cobite
00venerdì 22 dicembre 2006 18:02
Piergiorgio Welby è morto come voleva
La Consulta di Bioetica, appreso della morte di Piergiorgio Welby, esprime la propria solidarietà alla famiglia e a tutti coloro che gli sono stati vicini e lo hanno aiutato a uscire dallo stato di tortura in cui è stato posto da una situazione senza cuore e poco rispettosa della ferma volontà personale. La Consulta di Bioetica è vicina al socio Mario Riccio che si è recato al capezzale di Welby e lo ringrazia per la sensibilità mostrata.


È inoltre raccapricciante e inaccettabile il parere del Consiglio Superiore di Sanità che ieri ha ritenuto non fosse accanimento terapeutico quello operato su Welby, non essendoci imminenza di morte. Il ragionamento fatto dal CSS parte da una definizione inadeguata e non considera che a decidere della proporzionalità delle cure può essere solo l’interessato, ossia il paziente. Il criterio dell’imminenza della morte ci sembra del tutto inappropriato per la definizione di accanimento terapeutico: sulla scorta della definizione del CSS i cittadini corrono il rischio di rimanere in balia di una medicina disumana che opera in base a un rigurgito di vitalismo medico che pensavamo dimenticato.

Rinnovando la solidarietà a Welby, la Consulta di Bioetica auspica che l’esempio fornito serva per una riflessione che aumenti la libertà di scelta delle persone sofferenti.

Maurizio Mori Presidente della consulta di bioetica

Data:
21 Dicembre, 2006 - 18:00

Citazione da www.lucacoscioni.it/node/7801

[Modificato da Cobite 22/12/2006 18.04]

Cobite
00sabato 23 dicembre 2006 15:35
Data di pubblicazione: 22/12/2006 18:24:07

Vicariato di Roma

Ufficio stampa e comunicazioni sociali

COMUNICATO STAMPA

22 dicembre 2006


In merito alla richiesta di esequie ecclesiastiche per il defunto Dott. Piergiorgio Welby, il Vicariato di Roma precisa di non aver potuto concedere tali esequie perché, a differenza dai casi di suicidio nei quali si presume la mancanza delle condizioni di piena avvertenza e deliberato consenso, era nota, in quanto ripetutamente e pubblicamente affermata, la volontà del Dott. Welby di porre fine alla propria vita, ciò che contrasta con la dottrina cattolica (vedi il Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2276-2283; 2324-2325). Non vengono meno però la preghiera della Chiesa per l’eterna salvezza del defunto e la partecipazione al dolore dei congiunti.

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Citazioen da: www.romasette.it/modules/AMS/article.php?storyid=122


Cobite
00sabato 23 dicembre 2006 15:59
Re:



Vicariato di Roma

Ufficio stampa e comunicazioni sociali

COMUNICATO STAMPA

22 dicembre 2006


In merito alla richiesta di esequie ecclesiastiche per il defunto Dott. Piergiorgio Welby, il Vicariato di Roma precisa di non aver potuto concedere tali esequie perché, a differenza dai casi di suicidio nei quali si presume la mancanza delle condizioni di piena avvertenza e deliberato consenso, era nota, in quanto ripetutamente e pubblicamente affermata, la volontà del Dott. Welby di porre fine alla propria vita, ciò che contrasta con la dottrina cattolica (vedi il Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2276-2283; 2324-2325). Non vengono meno però la preghiera della Chiesa per l’eterna salvezza del defunto e la partecipazione al dolore dei congiunti.

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Sono davvero allibito davanti a questo assurdo comunicato!!!

Vorrei proprio sapere come si può paragonare al suicidio la richiesta di una morte NATURALE da parte di chi non riusciva neppure muovere un muscolo per porre fine all'accanimento terapeutico a cui era soggetto contro la sua stessa volontà.

Con la logica del vicario di Roma, anche papa Woityla diventa un suicida da condannare!!! [SM=g27812]

Ma per favore!!! [SM=x142859] [SM=x142859] [SM=x142859]

Giancarlo cobite


"
Sua Santità, Benedetto XVI, ha detto che
di fronte alla pretesa, che spesso affiora,
di eliminare la sofferenza,
ricorrendo perfino all'eutanasia,
occorre ribadire la dignità inviolabile della vita umana,
dal concepimento al suo termine naturale


Ma che cosa c’è di “naturale”
in una sala di rianimazione?
Che cosa c’è di naturale
in un buco nella pancia
e in una pompa che la riempie
di grassi e proteine?
Che cosa c’è di naturale
in uno squarcio nella trachea
e in una pompa che soffia l’aria nei polmoni?
Che cosa c’è di naturale
in un corpo tenuto biologicamente in funzione
con l’ausilio di respiratori artificiali,
alimentazione artificiale,
idratazione artificiale,
svuotamento intestinale artificiale,
morte-artificialmente-rimandata? "


Piergiorgio Welby da lettera al presidente




[Modificato da Cobite 25/12/2006 12.27]

ELIPIOVEX
00sabato 23 dicembre 2006 21:21
La malattia che lo aveva colpito era tremenda, senza speranza: ti vedevi morire un po' alla volta colto da atroci sofferenze. Quando ho letto che faticava a respirare anche con il respiratore mi è venuta in mente l'allergia che mi aveva preso quest'estate. Piccolissima cosa, che però mi dava l'angoscia per quel senso di soffocamento causato dalla tosse continua. Allora ho pensato a lui che ogni giorno, sempre di più si sentiva soffocare, oltre al senso di impotenza per non riuscire più a fare qualsiasi cosa che una persona "normale" può fare.
Ha chiesto di morire nel sonno, sentendo un po' meno male.
Sono cristiana e credente anche se non più molto praticante e non mi sembra che abbia fatto niente di abominevole.
Io credo che sia importante migliorare le condizioni di vita per le persone gravemente ammalate. Perché se sono perseguitati da atroci sofferenze è logico che desiderino con tutte le proprie forze di morire e niente altro. Perché la loro vita è solo caratterizzata da dolore e sofferenza, perché dovrebbero desiderare di continuare in quel calvario?

Buon Natale caro Welby, sarà sicuramente un buon Natale, perché non stai più soffrendo.
Cobite
00domenica 24 dicembre 2006 10:10

perché dovrebbero desiderare di continuare in quel calvario?



Hai usato l'espressione "calvario", e mi viene in mente che Gesù è stato appeso alla croce meno di tre giorni e si dice che dopo due giorni già fosse morto.
Allora io mi chiedo se sarebbe stato pietoso se i romani avessero infilato un tubo in gola e uno in pancia a Gesù appeso alla sua croce, così da rinviare di anni la sua morte.

Ebbene, era proprio questa la situazione di Welby e non gli rimaneva neppure la speranza di poter guarire.

Se capitasse a me preferirei certamente morire di morte naturale, come ha scelto Welby, piuttosto che vivere sotto una tortura da girone dantesco per soddisfare l'arroganza di chi che sia.

[SM=g27834] Giancarlo cobite



[Modificato da Cobite 24/12/2006 16.38]

fiordineve
00giovedì 28 dicembre 2006 04:25
Welby, procedimento per medico


«NON LO RIFAREI» -


Oggi Riccio aveva affermato che «il caso Welby è particolare,se altri pazienti dovessero chiedermi di fare la stessa cosa, direi di no ma non perché sono pentito».

«Non lo rifarei perché il mio lavoro è prettamente ospedaliero», aveva affermato Riccio a «Radio Popolare» poco prima dell'incontro con il presidente dell'Ordine dei medici di Cremona. «Si è trattato di un caso particolare che ho seguito e approfondito e poi ho voluto portare a termine i miei convincimenti», ha aggiunto il medico. Vado a parlare con il presidente del mio ordine con animo molto sereno», aveva concluso.


27 dicembre 2006



http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2006/12_Dicembre/27/welby.shtml



fiordineve
00giovedì 28 dicembre 2006 04:31


NON LO RIFAREI!!!

Perchè no? Se è convinto dell'idea che la dolce morte sia legittima perchè "non aiutare altri malati terminali, che soffrono, ad evitare il dolore?

Forse è come ho sempre pensato io, la fama ( [SM=g27825] ) fa gola; altrochè aiuto umanitario.
Forse è pentito e la coscienza rimorde ( [SM=g27816] )? Trovo disparità di vedute: a me la sofferenza all'altro l'eutanasia........ naaaaaaaaaaa non ci siamo, dottore. [SM=g27826] [SM=g27816]


Cobite
00giovedì 28 dicembre 2006 07:37
Re:

Scritto da: fiordineve 28/12/2006 4.31


NON LO RIFAREI!!!

Perchè no? Se è convinto dell'idea che la dolce morte sia legittima perchè "non aiutare altri malati terminali, che soffrono, ad evitare il dolore?

Forse è come ho sempre pensato io, la fama ( [SM=g27825] ) fa gola; altrochè aiuto umanitario.
Forse è pentito e la coscienza rimorde ( [SM=g27816] )? Trovo disparità di vedute: a me la sofferenza all'altro l'eutanasia........ naaaaaaaaaaa non ci siamo, dottore. [SM=g27826] [SM=g27816]





Semplicemente perchè il caso Welby non è eutanasia, ma un caso particolare di accanimento terapeutico portato avanti a causa di un vuoto legislativo. Un medico per una volta ha fatto in modo che la natura riprendesse il suo corso e ha alleviato le sofferenze terminali al malato.
Quel medico quindi non rifarebbe la stessa procedura su altri pazienti che non conosce a fondo, ma non è affatto pentito di averla fatta su Welby.
In fondo Welby non ha chiesto altro che quello che ha chiesto Papa Woityla quando ha detto : " Lasciatemi andare al Padre", ovvero l'interruzione di sistemi artificiali che allungavano l'agonia senza dare speranza oggettiva di vita.



Giancarlo cobite
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