Piccole cose di brava gente
Ciao Giovanna,
Mi fa piacere che hai gradito la prima parte del mio racconto e mi fa piacere che mi hai rivelato il tuo nome.
Dal racconto hai capito che mi chiamo Pasquale; spero tanto che questo mio romanzetto ti appassionera', come spero che altri utenti mi invieranno i loro commenti.
Eccoti la seconda puntata.
Ciao Giovanna
Pasquale
Per caso ci guardammo negli occhi …..
Subito notai uno sguardo stanco e sincero. Eravamo al crepuscolo e la pioggia battente non mi lasciava vedere bene quell’ancora giovane volto, ma mi colpi’ quel suo sguardo.
Gli occhi erano chiari e lucidi e quello sguardo sicuro e diretto, mi dicevano che la donna era una persona sincera e di nobile animo ma delle piccole rughe precoci mostravano, senz’ombta di dubbio, che quella donna soffriva, non era felice.
Lei continuo’ a guardarmi interdetta poiche’ io ne’ parlavo, ne’ partivo, finalmente dissi:
Signora, piove , vuole salire? Puo’ ripararsi un po’ in attesa del pullman....
Lei mi chiese : e’ sicuro? Posso salire?
Ma certo, risposi, si accomodi pure. Lei entro’. Era in forte imbarazzo ed io per metterla a suo agio dissi: Senta, preferisce che io mi parcheggio ed attendiamo il suo pullman.... o preferisce che sia io ad accompagnarla alla sua abitazione?
E lei: Scusi lei e’ quello che di tanto in tanto si vede ai telegiornali?
Si, sono io.
E non le da fastidio che io sono nella sua auto?
Assolutamente no, dissi, perche’?…
Lei : Signore lei non mi conosce e non credo che lei sarebbe contento se qualcuno mi vedesse nella sua auto.
Capii. A questo punto volevo solo andar via di la’ perche’ non volevo che qualcuno ci vedesse e potesse riferire a mia moglie di questo incontro e dissi :
Senta, mi dica lei dove abita e mi fara’ piacere darle un passaggio; e’ inutile restare qui in attesa di un pullman magari in forte ritardo.
Io abito all’estremo est dell’isola, lei disse. Ed io, bene e’ sulla strada di casa mia, (mentii, io ero ad un angolo di strada dal portone di casa mia)ed incalzai: via si parte e me ne andai di li’; nessuno mi aveva notato.
Prendemmo l’autostrada ed io pensavo, una ragazza cosi’ giovane e bella perche’ doveva essere una prostituta, certamente aveva avuto qualche corteggiatore prima ancora che iniziasse questo triste lavoro.
Fortemente intelligente, lei mi leggava nel pensiero e disse : Io sono figlia di padre ignoto.
Ecco! La solita triste storia di innocenti esseri umani crudelmente puniti dalla ridicola ed ipocrita mentalita’ della nostra vecchia e stupida generazione.
Parlando di se’ stesso, il Grande Maestro Eduardo DEFilippo disse :
«Mi ci volle del tempo per capire le circostanze della mia nascita perché a quei tempi i bambini non avevano 1a sveltezza e la strafottenza di quelli d'oggi e quando a undici anni seppi che ero "figlio di padre ignoto" per me fu un grosso choc. La curiosità morbosa della gente intorno a me non mi aiutò certo a raggiungere un equilibrio emotivo e mentale.
Così, se da una parte ero orgoglioso di mio padre (il padre di Eduardo De Filippo era Eduardo Scarpetta ndr), della cui compagnia ero entrato a far parte, sia pure saltuariamente, come comparsa e poi come attore, fin dall'età di quattro anni [...], d’altra parte la fitta rete di pettegolezzi, chiacchiere e malignità mi opprimeva dolorosamente.
Mi sentivo respinto, oppure tollerato, e messo in ridicolo solo perché "diverso". Da molto tempo, ormai, ho capito che il talento si fa strada comunque e niente lo può fermare, ma è anche vero che esso cresce e si sviluppa più rigoglioso quando la persona che lo possiede viene considerata "diversa" dalla società.»
Ricordandomi di queste parole dell’immenso Eduardo, dissi a me stesso: Certamente e’ piu’ facile per gli uomini reagire e lottare con forza contro queste assurde condanne della societa’.
La donna che chiamiamo Giovanna spontaneamente inizio’ a raccontarmi la sua triste storia :
Mio nonno, disse, era un benestante per eredita’ ma, ahime’ beveva e giocava sia per vizio che per passione.
In pochi anni brucio’ tutti i suoi averi e per pagare i suoi debiti di gioco, costrinse mia nonna con minacce e con violenze a prostituirsi. Il giorno del suo quindicesimo anniversario mia madre dopo essere stata sonoramente picchiata, fu costretta a darsi al suo primo cliente portato in casa da suo padre e cosi’ fu per sempre la vita di mia madre, continuo’ Giovanna.
Io dissi ma il suo accento non e’ nord-americano...
La mia famiglia e’ di Castellammare di Stabia, lei replico' ed iniziammo a parlare in italiano. Giovanna continuo’: fu li’ che io iniziai ad andare a scuola.
Nel cortile di scuola, notavo che molte mamme mi evitavano ed anche la maestra cercava di tenermi in disparte; io pur non capendo il perche’, accettavo la situazione poiche’ mi sentivo bene a stare in mezzo a tante bambine come me, anche se esse mi escludevano sempre dai loro giochi.
Io ero contanta di essere a scuola, perche’ la mamma dormiva la mattina quando io uscivo per andare a scuola e mi lasciava sola la sera mentre io terminavi i compiti di scuola; quando lei rientrava io gia’ dormivo, ero sempre sola e la nostra casa consisteva in una sola cameretta al pian terreno in un vicoletto di Castellammare ed io avevo sempre paura la sera perche’ era sempre tutto buio intorno a me.
A scuola, invece, era bello tutto era luminoso, i bambini giocavano e ridevano e correvano ed erano contenti; anch’io ero contenta perche’ con il mio pensiero, correvo, giocavo e ridevo con loro.
Io studiavo, studiavo molto perche’ volevo essere brava come tutte quelle bambine che dicevano la poesia imparata a memoria e la maestra diceva a loro: «brave».
Io pure recitavo la poesia a memoria e facevo in modo esatto i calcoli alla lavagna ma a me la maestra diceva sempre bene vai a posto. A me avrebbe fatto piacere sentirmi dire brava, ma non faceva niente, ero contenta lo stesso e dicevo sempre grazie alla maestra perche’ mi aveva detto: «bene».
Un giorno, ero in quinta elementare fui interrogata in storia e risposi a tutto, poi la maestra mi interrogo’ sulle tabelline ed io non ne sbagliai una sola, alla fine la maestra disse: «brava !»
Avevo aspettato cinque anni per quel “brava” e fui tanto contenta che scoppiai in un pianto fortissimo, ero troppo contenta e non riuscivo a frenare il mio pianto. La maestra mi chiese cosa avessi ed io piangendo dissi che ero contenta perche’ lei mi aveva detto che ero stata brava, proprio come faceva con le altre alunne.
Tutte le bambine cominciarono a ridere, ridevano, ridevano a crepapelle, la maestra mi guardo’ e mi accarezzo’ leggermente la testa. Che bello, che gioia, mai nessuno aveva accarezzato cosi’ i miei capelli, mai avevo pianto cosi’ felice in vita mia, la maestra mi aveva detto brava e mi aveva accarezzato i capelli, ora si’ che ero come le atre bambine, forse quella fu la piu' grande felicita' provata in vita mia.
All’una e trenta, uscimmo dalla scuola, io non vedevo l’ora di correre a casa per dire a mia madre, prima che lei uscisse per lavoro, che avevo studiato tanto che la maestra mi aveva detto brava e mi aveva anche accarezzato la testa.
Appena fuori della scuola, tre mie amiche si avvicinarono a me ed io eccitata feci anche un inchino, ero felice perche’ queste amiche certamente avrebbero giocato anche con me. Invece una di loro disse : ma chi ti credi di essere, ti credi di essere come noi solo perche’ la maestra ti ha detto brava?
Io le guardai interdetta eppoi chiesi, perche’ non sono come voi?
E loro : COME NOI? …. PUTTANA TU E TUA MADRE, TU VUOI ESSERE COME NOI?….
Cominciarono a gridare PUTTANA, PUTTANA, PUTTANA e ridevano e vennero altre bambine a fare lo stesso. Io mi rifugiai in un angolo del muro ma loro insistevano con le parolacce e mi gettavano terreno in faccia, io piangevo e quel terreno mi si appiccicava sul viso impastato dalle lacrime e loro ancora a battere di piu’ finche’ intervenne il bidello per farle smettere.
Io scappai a casa in lacrime, zozza di terreno e non capivo perche’ il mondo mi trattava sempre come se fossi un animale misterioso.
Arrivai a casa e dissi tutto a mia madre. Piangemmo, quella sera, piangemmo abbracciate tutte e due, mia madre non ando’ a lavorare per piangere con me ed io un po’ ne ero felice perche’ mai, in tutta la mia vita ero stata tanto tempo, forse ore, stretta nelle braccia di mamma ed ero felice pure perche’ la maestra mi aveva detto brava a me e mi aveva pure accarezzato i capelli.
Il giorno dopo, mamma non mi fece andara a scuola, ci ando’ lei.
Ritorno’ prima di mezzogiorno e disse: la scuola e’ finita tu dovrai fare solo gli esami fra tre settimane.
Io dissi, no la maestra ha detto proprio ieri che queste ultime settimane sono le piu’ importanti e nessuno si deve ammalare.
Appunto, disse mia madre, tu non ti devi ammalare perche’ fra tre settimane avrai gli esami. Ho parlato con la direttrice e la maestra, vedi mi hanno dato il programma, tu studierai con me tutti i giorni, come le altre bambine faranno con le loro madri.
Io cominciai a capire che amavo mia madre e dovevo continuare ad amarla, ma ero certa che cominciavano a venir fuori delle brutte realta’ e dissi : Va bene mamma.
Quell’anno scolastico fini’ cosi’, fui promossa. Durante l’estate scoprii che ero diventata una donna e mia madre con garbo ma con sincerita’ mi racconto’ la sua triste storia e mi racconto’ pure come due anni prima, che io credevo che fosse andata a lavorare a Napoli, mentre io ero a casa della nonna (mio nonno era morto), mi disse che invece era stata in prigione perche’ era stata trovata dalla polizia in una camera di albergo con uno spacciatore di droga, ma poi, dopo sei giorni, fu liberata perche’ lei era innocente.
Mi racconto’ tutto; ma mi giuro’ che la mia vita sarebbe stata diversa, cosi’ decise di andar via da Castellammare e ci trasferimmo a Napoli citta’; anch’io giurai a me stessa che la mia vita sarebbe stata diversa e che avrei pensato io a mia madre in futuro.
La maestra di scuola conosceva una famiglia di Napoli, che assunsero mia madre come persona domestica e cosi’ mia madre comincio’ il suo primo onesto lavoro.
Io cominciai le scuole medie, era una nuova vita. Tutti mi guardavano come una di loro, anche i ragazzi mi parlavano senza problemi, ero in una classe mista.
I tre anni di media furono tre anni incantevoli, stupendi, inutile dire che ogni anno ero promossa a pieni voti, tutto fu una bellissima, stupenda favola.
Avevo quasi quindici anni, quando cominciai a frequentare le magistrali, tutti mi dicevano che ero molto bella, i ragazzi, anche delle classi superiori mi guardavano sempre con un sorriso malizioso.
Tutto cio’ mi faceva piacere ma allo stesso tempo mi dava un senso di paura e di sgomento. Tutto andava bene, io cominciavo a sentirmi bella e cominciavo a sentirmi sicura quando qualche ragazzo mi rivolgeva la parola, cercavo sempre di imitare gli atteggiamenti delle mie amiche e cio’ mi piaceva, mi faceva sentire piu’ grande.
Avevamo quasi finito il primo trimestre, quando la professoressa di letteratura ci avviso’ che qualcuno veniva ad aggiungersi alla nostra classe e disse il suo nome.
Mi sentii all’improvviso svenire.....
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