Ora che puoi sapere

marta83
00venerdì 16 maggio 2008 13:44
Un raggio di luce penetra dalle fessure delle imposte arse dal sole, raggiunge le lenzuola ancora in ordine. La dottoressa guarda l’orologio: le sette del mattino... Indossa ancora l’abito nuovo che le sta d’incanto: un tailleur di seta; rosso, vista l’occasione; il trucco disfatto dalla stanchezza. La festa è durata più del previsto ed è andata bene: splendida compagnia, splendida cena, splendidi regali; splendido lui, al di sopra di ogni altro splendore. E single, almeno per una sera. Le ha regalato una penna stilografica nera, elegante, con la placca d’argento ed il suo nome inciso…quasi sapesse…Appena rientrata ha preso mezza risma di carta, la penna, la busta ed il foglio eleganti per la bella copia; ha raggiunto camera sua e, nel silenzio della casa vuota, ha preso a scrivergli la sua verità.
Credeva sarebbe stato facile, le aveva pensate e ripensate un’infinità di volte quelle parole. Negli ultimi mesi erano state come una preghiera: l’ultimo pensiero prima di dormire. Ma all’improvviso tutta la loro poesia si era dileguata e un velo di imbarazzo e paura sembrava quasi inibirla.
Ora è ancora lì ed è già mattina: la mezza risma appallottolata foglio per foglio sul pavimento e le dita imbrattatissime di inchiostro. È così, lei: spontanea, imbranata, pasticciona, insicura anche quando scrive. Lui lo sa, ha visto un giorno per caso le sue bozze; ed è stato un bene che le abbia viste: mezz’ora in più insieme, a parlare di lei e del suo disordine, di lui e della sua precisione.
Sono le 7.20 del mattino e ce l’ha fatta, finalmente! Legge la bella copia per l’ultima volta. Le piace. Il cuore le batte forte e le mani tremano, mentre la piega, chiude la busta; va a prepararsi per uscire.
Lui, intanto. 7.30: la sveglia gli ha già dato il buon giorno. Ha ancora molto sonno, non sarebbe dovuto restare fuori fino a tardi, lo sapeva benissimo, ma…è stato per una buona causa. Lei non c’è neppure stamattina a portargli a letto il solito caffé. È così brutto svegliarsi da soli e poi lei lo ha viziato; deve prendere dei provvedimenti o rischia di invecchiare male. Si alza, strofina gli occhi e va verso il bagno. Cosa lo aspetta in ufficio stamattina? Non ricorda nulla, se non il condizionatore d’aria, che renderà il piccolo studio più accogliente della camera da letto. Allo specchio la sua espressione non è granché, se lei ci fosse gli direbbe, come sempre, di metter su un po’ di phard… “ché tanto adesso i maschi hanno più fisime delle donne ed è meglio truccarsi un po’ piuttosto che far paura al mondo!”. Prende il pennello di lei, lo intinge nella cipria e prova a passarne un po’ sul viso…un po’ troppa, ohimè! La toglie via subito e pensa che non lo convincerà mai a truccarsi! Le 8.15: è pronto, in orario anche oggi; prende la borsa, le chiavi. Esce.
Lei, intanto. È già davanti la cassetta della posta di lui. L’atrio non è mai stato così affollato: “è una buona cosa -pensa- così non mi vedrà”. Imbuca la lettera con imbarazzo, paura…non si capisce bene quale sia il suo stato d’animo. La imbuca, poi si siede su una panca da cui vede la cassetta. Lui non la vedrà mai, seduta lì. Lei invece da quel posto tiene tutto sotto controllo. Quando il suo cuore sta per esplodere, eccolo entrare. Di corsa, come sempre. Apre la cassetta e, imbranatissimo, prende la posta mentre prenota l’ascensore. Lei sorride compassionevolmente rassegnata.
Resta seduta lì, non sa che fare…aspetterà.
Lui intanto. È già su, in corridoio. Bussa, prova ad aprire, nella speranza che qualcuno sia arrivato prima ed abbia fatto rinfrescare un po' la stanza. La porta è chiusa a chiave. Fa una smorfia e brontola. Avrebbe fatto meglio ad assentarsi, pensa. Gira la chiave nella serratura, apre la porta…un venticello gelido lo investe: qualcuno lo ha preceduto! La borsa e i libroni sulla scrivania sono dell’antipatico e insopportabile. Stamattina però è arrivato in orario e ha rinfrescato l’ambiente, perciò gli vorrà bene, almeno per una volta!
Si siede, accende il pc e prende a vedere la posta cartacea. La segreteria ha finalmente pagato un mandato; c’è un convegno a cui di certo non parteciperà; un altro, invece, organizzato dalla sua ex, interessante come sempre. Poi la solita pubblicità. Poi, in fondo, c’è una strana busta. Il colore lo colpisce subito: azzurro, il suo preferito. Sulla busta è scritto soltanto “Per Angelo, da Morena”, in un corsivo elegante e semplice, inchiostro nero…Morena…chi sarà mai? Apre la busta incuriosito: la carta da lettera è di un azzurro ancora più intenso. Si intravedono, sbiadite, le costellazioni: chi gli scrive è una persona che lo conosce piuttosto bene. Sta per cominciare a leggere, ma gli viene in mente che la porta non è chiusa a chiave e che quello stupido del suo collega potrebbe arrivare da un momento all’altro. Non vuole che veda quella lettera, qualsiasi cosa contenga: oltre a tutto il resto è un tale pettegolo…Perciò si alza, chiude la porta e la lascia appesa la chiave, perché sia lui a dover aprire quando quello arriverà. Mette il telefono fuori posto…finalmente è solo.

Lei intanto. È ancora giù seduta. Aspetta. Ma aspetta cosa? Chi? Neppure lei lo sa bene. Eppure aspetta. Gli occhi cominciano ad appesantirsi e si sente addosso gli sguardi di tutti. Non ha portato con sé neppure un libro. Non sarebbe riuscita a leggerlo, è vero, ma almeno avrebbe dato l’impressione di farlo. Non importa. Tra poco si alzerà, rileggerà gli avvisi in bacheca che conosce già a memoria. E intanto terrà d’occhio le scale e l’ascensore.

Lui. Ha già aperto il foglio della lettera e sembra aver intuito di quale Morena si tratti. Del resto quella è l’unica Morena che conosca, ma cosa avrà da dirgli?
Legge, a bassa voce, tanto che riesco a sentirlo appena…

“Caro Prof., so che ti stupirà ricevere questa lettera. Ancora di più ti stupirà quanto sto per scriverti. Forse penserai che si tratti di uno scherzo o forse, semplicemente, ti deluderò. Non importa. Non è rilevante quello che penserai, voglio solo che tu sappia ciò che fino a ieri per mille ragioni non potevo dirti. Ora che puoi saperlo, sappi che io ti amo. E che neppure mi rendo conto di come e quando sia potuto succedere, ma so che è vero: ti amo. Forse da quando sei entrato in aula per la prima volta e io mi aspettavo che fossi un giovane bellissimo, stando a tutti i pettegolezzi che giravano sul tuo conto. Un’altra figura vuota, pensavo, di quelli che se vai a far l’esame con una scollatura vertiginosa non ti ascoltano neppure e ti danno un voto proporzionale alle tue misure. Invece da quella porta entrasti tu. Ed io compresi subito di essermi sbagliata su tutto!
Cercavo l’amore, in quel periodo. E insieme all'amore cercavo me stessa. Cercavo qualcuno che fosse capace di leggermi dentro e darmi le risposte e l’affetto che mi è sempre mancato. Lo hai fatto ad ogni lezione, ad ogni nostro incontro. Non so come tu ci sia riuscito, ma è andata così. E per questo ti ho scelto. Perché mi hai preso l’anima, mi hai messo addosso un fuoco che riscalda senza distruggere. E ciò che ho imparato da te, l’ho appreso senza faticare, con la curiosità e la voglia di scoprire, di conoscere. E di conoscerti attraverso ciò che hai cercato di insegnarci.
Ecco, questo volevo che tu sapessi. Non mi aspetto niente da te, niente di più di quello che mi hai già dato senza sapere. So di avere l’età di tuo figlio e non pretendo nulla; e so, soprattutto, di credere in qualcosa che non mi fa venir voglia di sperare che un giorno tra noi possa nascere qualcosa di meno spirituale di questo amore.
Un amore così ingenuo, così dolce, che non esige altro se non che qualcuno lo provi. E qualcuno lo prova già: io. Andrò avanti per la mia strada e incontrerò, prima o poi, una persona da amare più concretamente. Una persona da amare nel modo in cui ci si ama in questo mondo così rozzo e materiale. E quando penserò a noi accadrà quello che accade anche adesso: sorriderò ricordando di noi. E mi verranno in mente i tuoi occhi così sinceri e il tuo fare sgangherato che tante volte mi ha fatto sorridere alle tue spalle. E mi verrà in mente, per esempio, di quella volta che ci parlasti del tuo collega di stanza, sudicio e presuntuoso! O di quell’altra volta, quando ci parlasti dell’amore ed io stavo quasi per piangere dall’emozione, perché, come sempre, avevi detto quel che avevo bisogno di sentire…
Ecco, ora sai tutto. Almeno tutto quello che sono stata capace di esprimere con le parole. Il resto, se cerchi dentro di te, lo avrai letto, senza accorgerti, dai miei occhi.
Non so cosa vorrai fare con questa lettera, con me…sarò giù ad aspettarti per un po'. Poi, chissà, forse ci incontreremo, prima o poi, da qualche parte. Forse arrossirò...arrossirò di certo! Ma poi sorriderai...sorrideremo insieme e non sapremocosa dire. E sarà come sempre: un incontro stupendo, perfetto. E dopo avrò un altro ricordo da conservare, un’altra ragione per amarti ancora, un altro motivo per sorridere.
Con affetto, stima, gratitudine, amore,
Morena


La stanza è gelida, ma le chiazze di sudore che trapanano la sua maglia verde lasciano pensare che senta molto caldo. Rilegge la lettera velocemente, con lo sguardo, quasi non creda ai suoi occhi. Ha sorriso quando lei scriveva della donna che sta con lui… si sarà sbagliata?

Lei intanto. Ha riletto gli avvisi in bacheca per la quinta volta. Guarda l’orologio: è già ora di pranzo. È strano che lui non sia ancora sceso…avrà preso le altre scale? Si sarà distratta un attimo? Forse sarebbe meglio andar via. Del resto, che avrà da dirle? Le avrà dato del ridicolo…aspetterà dieci minuti ancora, poi tornerà a casa.

Lui. Il battere alla porta adirato e impaziente del suo collega di stanza lo fa trasalire, lo riporta nel mondo reale. Ha giusto il tempo di accorgersi che quella lettera è davvero tra le sue mani, mentre la ripone nel cassetto e va ad aprire.
“Potevi toglierla la chiave, intelligentone viziato, dice l’idiota
“Taci che è meglio, ribatte lui, meno disposto a litigare rispetto al solito.
Prende la borsa, la apre e senza che il tizio se ne accorga vi mette dentro la lettera e il resto della posta. Poi va via, lasciando aperta la porta alle sue spalle e l’idiota che sbraita per chissà quale ragione...forse bisognava chiuder la porta prima di andar via?
Non sa bene cosa sta per fare, ma corre verso l’ascensore che non arriva. Scende a piedi, otto piani, di corsa. La cerca nell’atrio e da lontano la vede uscire.
La chiama, lei si volta, si vanno incontro. Sorridono. Parlano. Lui parla, lei si porta la mano sul viso, sorride, fa un’espressione stupida. Poi escono insieme. Dove andranno?
Chissà, i loro passi sono più veloci dei miei, le loro voci ormai troppo lontane perché io possa sentirle.
Allora mi fermo, riavvolgo il nastro e vado in cerca di un’altra storia da raccontare.
ELIPIOVEX
00domenica 18 maggio 2008 15:40
Avevo già letto questo tuo testo, leggendolo mi è venuta in mente.
Come l'altra volta mi è piaciuto molto!
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