Barak25
00martedì 22 gennaio 2008 20:52

Nebbia


Giuseppe camminava. Era vecchio, sui settant’anni, capelli bianchi, curvo. Era sera e ritornava dalla sua camminata. La faceva tutte le sere, da quando sua moglie, Anna, era morta. A lei piaceva tanto camminare ma non lo facevano mai, ora i figli, ora le faccende, ora la stanchezza del lavoro. Da due anni adesso Giuseppe trovava sempre quel quarto d’ora, che non aveva trovato, o non voleva trovare, quando sua moglie era viva. Viveva da solo, in quell’appartamento al secondo piano. Mario, il più grande, si era sposato ed era andato a vivere con la moglie in città, col loro primo figlio. Neanche un’ora di macchina, si diceva. Ci vediamo, si diceva. Ma dal battesimo del nipote, un anno e mezzo prima, non si vedevano. Lucia si era sposata anche lei. Bella carriera, si viaggia molto. E il piccolo, venticinquenne, Luigi, trovata casa e macchina non si vedeva più, si godeva la vita. E Giuseppe non aveva neanche il lavoro. Non voleva andarsene, si trovava bene. Ma in pensione prima o poi ci doveva andare, dicevano. E ora passava le giornate al parco a buttare le briciole ai piccioni. E di notte non dormiva. Si alzava a prendere un bicchiere d’acqua, la luce gialla del frigo che illuminava il suo volto vecchio e rugoso, una volta giovane e bello. E adesso camminava. Era tardi la sera e non c’era nessuno. C’era la nebbia. Era un tratto di strada ben conosciuto vicino a casa sua, percorsa centinaia di volte. In lontananza vedeva una panchina. Era la sua panchina. Sopra c’era inciso il suo nome e quello di sua moglie. Era più di cinquant’anni fa, ma se lo ricordava benissimo. Quel giorno faceva freddo ma i due non lo sentivano. Guardavano negli occhi dell’altro e capivano che quelle parole, sussurrate, quasi impercettibili, - ti amo! – erano per sempre. E adesso camminava. La nebbia ormai era fitta. Alzò gli occhi stanchi e vide la luce del lampione che lo illuminava attraverso la nebbia e un albero senza foglie. Giuseppe si fermò. Non riuscì a togliere lo sguardo da quella luce poco intensa, i cui raggi giocavano fra i rami creando strane ombre e forme. Tutto il mondo scomparve. Giuseppe non pensava più. Non pensava di essere solo, non era triste. La nebbia lo avvolgeva e lui, la panchina poco in là, e la luce erano l’unica realtà rimasta. Non c’era il lavoro, non c’era la fatica, non c’era il ricordo. Non c’era l’odio, non c’era la guerra, non c’era il rumore. Non c’era niente. La nebbia, il silenzio. Con un sorriso sulle labbra andò a sedersi sulla panchina dove aveva dato il primo bacio a sua moglie. Con un sorriso sulle labbra si sedette, e non si alzò più.
Cobite
00mercoledì 23 gennaio 2008 00:29


Benvenuto in Fiori di pensiero [SM=x142846]

Ho letto il raccontino. Fa tenerezza Giuseppe, ma è anche fortunato ad avere una morte così dolce. Purtroppo spesso la morte è una dolorosa e lunga battaglia.

Grazie

[SM=x142848] Giancarlo
ELIPIOVEX
00mercoledì 23 gennaio 2008 22:35
Benvenuto anche da parte mia.
Che storia triste!
Barak25
00mercoledì 23 gennaio 2008 23:14
grazie dei benvenuti! vi devo confessare che la seconda volta che l'ho riletto mi sono commosso hehehe...
ELIPIOVEX
00giovedì 24 gennaio 2008 13:25
E' normale commuoversi quando si legge qualcosa scritto da noi. E' parte di noi. Anche dopo molti anni ci tocca sempre
fiordineve
00lunedì 11 febbraio 2008 14:15



La vita attuale di Giuseppe è un po' il racconto di molte altre solitudini.

Una vita spesa per la famiglia, poi una telefonata e: -ci vediamo -.

Assomiglia anche alla mia vita, solo che io non posso andarmene in giro sotto la nebbia.



Bellissima presentazione Barak, e


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