Ministoria di guerra (tolleratemi)

florentia89
00sabato 22 marzo 2008 16:41
Laura di Anzio
Le festività prepasquali ed anche le recenti di fine e inizio anno le ho passate ad Anzio, da una cognata che ivi vive. E' una zona che tanti ricordi di guerra ha lasciato in me, sia per averne vissuti gli eventi, sia per aver fatto “qualcosa” in zona nel Commissariato di Sussistenza Wehrmacht, quando avevo diciassette anni. Questi giorni, con moglie a altri ho rivisto in un veloce giro i luoghi ove ebbi a bazzicarci, Aprilia, Campo di Carne, Cisterna, e allora ecco un episodio del 1944 che, pur essendosi svolto nella prima parte dell’anno, si adatta all'aria pasqualina di questi giorni. Lo faccio conoscere, augurandomi che non mi consideriate un palloso.

Laura, ragazzina di Anzio

Parlo di un modesto fatto svoltosi nelle campagne di Anzio nel febbraio 1944, con gli americani sbarcati e i tedeschi che li contrastano efficacemente (con loro includo gli italiani dei battaglioni Barbarigo e Lupo della Decima del Principe Borghese, oltre i reparti della Nembo, Folgore e altri che daranno manforte).
Torniamo da un servizio di rifornimento routinale e ci troviamo nella zona di Cisterna. Il camion va’ e non va’, riscalda, e l’autista decide di fermarsi nell’aia di un podere abbandonato, ove c’è un pozzo e forse qualcuno nel casale, pur se in zona sembra non ci sia anima viva.
Sono l’unico italiano, altri due sono austro-tirolesi e l’autista tedesco.
Giungiamo nell’aia. Il camion viene messo sotto un albero per occultarlo in caso di attacco dal cielo (quei giorni però gli aerei tedeschi erano più presenti e quelli alleati meno). L’autista decide di attendere un po’ prima di aprire il radiatore. La casa colonica, ove spicca O.N.C. (Opera Nazionale Combattenti), podere numero XX., una delle tante della bonifica, è aperta e pare vuota. Entriamo, fuori fa’ freddo e non ci spiacerebbe riscaldarci, però un filo di fumo potrebbe scatenare l’artiglieria vicina. Siamo in una cucina tuttofare, con spazio per cucinare, mangiare, lavorare, parlare, insomma grande.
C’è accanto un secondo vano, vado di la e resto stupito e sorpreso.
Spalle contro il muro c’è una ragazzetta pallida, infreddolita, quasi ragazzina, dimessa a livello di miseria, infagottata, che guarda e freme di spavento nel sentire i soldati nel vano di fronte. Cerco di avvicinarmi ma lei è intimorita e mette avanti le mani. Non so che fare e resto ancor più colpito perché lei, tremando dal freddo e paura, con una mano si apre un po’ i panni sul petto e mostra un seno immaturo, come per dirmi: “guarda, sono piccola, anche di sotto, non mi far del male, ti prego!”. Mi sento gelare. Gli sorrido, mi avvicino, gli dico “tranquilla” e con la mano l’accompagno a ricoprirsi.
Gli altri sono di la e nel sentirmi parlare con qualcuno si accostano incuriositi alla porta. L’autista s’avvicina e chiede: “Was ist das?”
E lei, dal mio parlare e aspetto: “ma ti ghé sè italiano?”, avutane conferma prende a singhiozzare, gli metto una mano sulla guancia e aggiungo: “come ti chiami?”, “mi me ciàmo Laura sior”, risponde in veneto stretto, come gli altri contadini del luogo. Dico: “non aver paura, mettiti seduta” mi faccio raccontare qualcosa e lei dice che i genitori si erano allontanati giorni prima per cercare da mangiare, che in casa non c’era più nulla, e da allora non erano tornati. Laura era rimasta con il nonno che due giorni dopo gli aveva detto: “Lauréta, mì và a cercar da magnàr par tì e par mì, vegno a sera” e anche lui era sparito.
Lei da un paio di giorni non mangiava e aveva terrore di noi tutti, non vorrei che altri gli avessero fatto del male.
Gli diamo una coperta e qualcosa da mangiare, che divora voracemente. Io dico ai miei: “… e no! non possiamo lasciarla qui, facciamo come fosse una nostra sorella, come la mia che non c’è più, portiamola dopo Velletri, in quell’osteria che ci ha ospitato più volte, da Giuseppe”… Pino per noi, così si chiamava il contadino-trattore, veneto anche lui che, un po’ per prudenza o per interesse, ci aveva a volte rifocillati con cibi e vino genuini, ricevendo in cambio il nostro pane nero e un po’ di preziosa benzina, oltre i nostri sguardi che nulla vedevano circa le sue attività “complementari”. La ragazza si è un po’ rinfrancata e ci guarda timorosa. Nel vederla meglio è poco più di una bambina, tipo alla veneta, lineamenti fini, capelli biondo-castani, corporatura ai limiti dell’infantile. Mi fa’ pensare a Maria Goretti, morta li vicino nelle campagne di Nettuno. La prendo sotto la mia protezione, anche se gli altri pensano di fare uguale.
L’autista frattanto ha controllato il motore, ripartiamo e la prendiamo con noi (non potremmo, ma cos’è proibito a un romano doc e a due italo-crucchi bolzanesi, pur sempre italiani?).
L’autista non dice nulla. Dopo Velletri il camion gira per una via secondaria e raggiunge la locanda di Giuseppe. Pacche sulle spalle, un bicchiere, poi gli chiediamo di aiutarci per Laura. Lui dice: “Santa Madona, ghé sè la Laura de Tonin? ostrega! mi conoscio el pare e la mare, benedeta Santa Ussia! (Lucia)” poi: “Bianca! vien soto! ghé s’è la Laura de Tonin!”. Allora gli rifiliamo qualcosa più del solito, specie benzina, lui ci dice che per i genitori e il nonno vedrà, ma i tedeschi hanno allontanato tanti da quella che sarà domani la linea del fronte.
Nel frattempo Laura starà con loro e se lui si sposterà ne avrà cura.
Partiamo contenti. Anche l’autista dice più volte “gut”, “schone” , “herrlich ” e altro. I due crucchetti baciano Laura sulle guance, io in fronte e lei mi dice “tì si ghé sè bon, Dio te benediga”.
Anche il tedesco gli fa’ una carezza. Ci allontaniamo senza sentire il freddo (grazie ai bicchieri di Giuseppe). La sera dormo bene.
Io penso e dico “vedi Rita (mia sorella), Laura ha la tua età se tu non ci avessi lasciato, ed io ti ho visto in lei e l’ho aiutata due volte, una perché dovevo e dovevamo farlo, e una per te, se puoi proteggila”.
Anni dopo, millenovecentottanta e oltre, sono tornato nella zona, volevo vedere se riconoscevo i luoghi. Delusione! Capannoni, dancing, ristoranti, palazzine, palazzotti, fabbriche, vie enormi, svincoli, andrivieni di auto, avevano cancellato l’aria pionieristica e spartana dell’epoca della guerra, della bonifica, dei poderi del Duce e delle case coloniche dell’O.N.C. Opera Nazionale Combattenti.
Sfrondiamo il racconto dai tanti fronzoli e resta il fatto in se, forse banale, di aver dato solo un passaggio ad una ragazzina in difficoltà, senza saltargli addosso, come s’usava allora … e come spesso oggi.
Inutili risultarono anche mie ricerche, pur sempre limitate e modeste, per ritrovare la Laura di Cisterna. Gli augurai di cuore una vita accettabilmente felice
ELIPIOVEX
00sabato 22 marzo 2008 21:37
A me piace molto leggere i racconti di guerra anche perché i miei nonni, morti entrambi giovani, me ne hanno raccontati ben pochi.
Mi hai fatto sorridere inserendo le frasi in veneto dato che sono veneta pure io!
(s'e si scrive xe nell'ortografia venexiana).
Complimenti per il racconto e per il gesto!
florentia89
00domenica 23 marzo 2008 07:03
Grazie della dritta che s'è = x'è. Provvedo a correggere Fiaccole di Gioventù. Anche mia moglie è veneta, ma lei si è rotta con i miei racconti ed io ho scritto come recepii allora.
florentia89
00martedì 25 marzo 2008 09:08
UNA PRECISAZIONE
Mi hanno chiesto, e contestato, perché non abbia insistito a cercare nel dopoguerra la Laura del racconto. Ho detto che qualche timido tentativo l'ho fatto, poi ho preferito cessare in quanto, in definitiva, feci e facemmo poco. Il lavoro maggiore sarà poi di Pino, l'oste velletrano. Io mi resi promotore del passaggio alla ragazzina e del tutelarla diciamo fisicamente Comunque, a mio giudizio, Laura alla fin fine se la sarebbe cavata anche da sola, nel principio costante che necessità fa virtu'. Laura ho preferito averla nel cuore e ricordarla sempre come bambina indifesa e spaventata.
Ciao atutti.
ELIPIOVEX
00martedì 25 marzo 2008 23:14
Re:
florentia89, 23/03/2008 7.03:

Grazie della dritta che s'è = x'è. Provvedo a correggere Fiaccole di Gioventù. Anche mia moglie è veneta, ma lei si è rotta con i miei racconti ed io ho scritto come recepii allora.



xe non x'è... [SM=x142888]
ho visto che in altre poesie in veneto usano zé ma penso dipenda da quale città veneta si fa riferimento...
Probabilmente Giancarlo è più esperto di me
auroraageno
00giovedì 27 marzo 2008 10:07

Bel racconto. E un buon ricordo!

Grazie, Francesco.

Credo anch'io che si scriva "xe", per dire "è". Io sono vicentina.

Ma è vero che il dialetto cambia di qualcosa da città a provincia, oltre che da città a città, almeno a quanto ne so, per il Veneto.

Cari saluti

aurora

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