Miniere e metalli

florentia89
00giovedì 24 aprile 2008 17:38
Ne scoprii una di ferro inesauribile
L’Autarchia e il ferro di Ostia

Nell’anteguerra l’Italia fascista era in pieno regime autarchico.
Venivano consumati o utilizzati prodotti delle nostre fabbriche e campagne, oltre delle nostre coste. Una canzone del tempo ricordava che avremmo saputo, se necessario, stringere la cinghia senza problemi e che avevamo tanto pesce, da regalarne anche ad altri.
Qualche tolleranza esisteva per i prodotti tedeschi e per qualcosa proveniente dai pochi paesi che non avevano aderito alle sanzioni.
Per gli altri del blocco a noi avverso il boicottaggio era assoluto, loro con noi, noi con loro, a parte poi che non c’erano proprio.
Nel clima di austerità e controllato sviluppo del popolo arrivò anche la Fiat 500 prima serie (mezzo balestrino), cioè la “Topolino”, una due posti, più un minuscolo spazio posteriore ove l’ingegno degli italiani riuscirà a infilarci altri due occupanti e qualche altra cosa.
Era però una vera macchina, non un accrocco come altre. Aveva il motore a quattro cilindri anteriore, raffreddamento ad acqua, trazione posteriore, marce sincronizzate solo per le superiori, così per passare dalla prima alla seconda, o viceversa, si doveva provvedere con la famosa “doppietta”, cioè dare velocemente gas nel momento del folle, e non è detto che fosse facile. Costava cinquemila lire abbondanti e, benché pubblicizzata come macchina popolare, se la potevano permettere in pochissimi, operai e impiegati esclusi, con la benzina poi che costava un occhio (gli dedicherò un inserto specifico).
Le mostre dell’Autarchia magnificavano la lana derivata dal latte, oltre dalla roccia per usi industriali, il rayon dal legno, i tessuti dalla canapa e ginestra, poi il piombo e zinco delle miniere sarde, la bauxite istriana, i blocchetti combustibili realizzati con scarti di cellulosa, residui vari, e così via. Di una di queste, alla quale noi balilla partecipammo come rappresentanza e assistenza, ne ho trattato a parte.
Autarchia o no le carenze concrete c’erano, e tante. Ovvio che ciò non si ammetteva, o il problema veniva aggirato con affermazioni che non convincevano nemmeno chi le esprimeva. Inutile dirci che i carboni pregiati, antracite e litantrace, di cui Francia, Germania, Inghilterra ne avevano a iosa, potevano sostituirsi con qualche limitata nostra miniera, o peggio con la torba sarda o carbonella casalinga.
Inutile dirci che benzina e petrolio si sostituivano con quel po’ di metano della valle padana, o con quegli aggeggi montati esternamente alle auto per mandarle a “gasogeno”, prodotto con combustibili di ripiego, trasformando gli autisti in fuochisti. Il nostro arrangiarci sarà pur stato eccelso, ma la tragicità della situazione c’era e rimaneva.
Altro prodotto del quale ne avevamo carenza rispetto gli altri paesi, specie del nord Europeo, era il “ferro” nelle sue sfaccettature di ferro semplice, acciaio, acciai speciali. Poco utile grattare i giacimenti dell’isola d’Elba, sotto produzione già dai tempi di etruschi e romani, qualcosa ne veniva ma per il resto si doveva provvedere tramite la Germania e la Svezia, oltre con le patetiche raccolte del ferro casalingo, smantellando le cancellate e sostituendole con quelle di laterizio, o mandando in fonderia le porcherie ferrose giacenti in case e cantine. Eppure una possibilità di sfruttamento di una immensa miniera di ferro venne trovata e non sfruttata, non so perché. Il mare.
Quando andavamo alle colonie estive ci divertivamo con un giochino infantile nascondendo una monetina di Acmonital (Acciaio Monetario Italiano) sotto la sabbia in un’area delimitata, per poi ritrovarla a mezzo della calamita di mio padre, che avevo con me. Ne veniva però che gli estremi si riempissero anche di una peluria scura che molti definivano ruggine della sabbia, come se essa ne potesse produrre.
Io, che con quella calamita ci trafficavo da anni, non avevo dubbi.
Se la calamita attrae ferro, e non altri metalli, ottone, zinco, rame, quanto attratto doveva essere solo ferro.
Però era un giuoco e, anche per la nostra età semi-infantile, tutto passò nel dimenticatoio sino a quando non venne la raccolta dei rottami ferrosi e noi eravamo più grandicelli.
Allora mi ricordai del ferro della sabbia e ne accennai agli altri della società “CARLA” (Compagnia Autonoma Ricerche Lavori Associati), da noi creata con atto e bolli, niente soldi, per aiutare l’Italia in guerra e per far vedere a quegli stronzetti della Hitler-Jugend che sapevamo fare quanto e meglio di loro.
Ne parliamo, andiamo ad Ostia, litorale romano, ricavando subito una quantità discreta di quelle scagliette aghiformi, limitata a ciò che poteva combinare la mia calamita casalinga.
Ci pensiamo, scriviamo qualcosa, facciamo delle prove riempiendo con rena due bottiglie di vetro. Pesiamo il contenuto e estraiamo con pazienza certosina il contenuto ferroso con la calamita amica.
Restiamo a bocca aperta! La sabbia, ad occhio e croce, conteneva quella specie di ferro per un dieci per cento e anche più! Una enormità, che nessuna miniera svedese o tedesca poteva fornire!
Ci attrezziamo, almeno come intenzione, per pubblicizzare a chi di dovere la nostra scoperta non-scoperta (avevamo solo notato qualcosa, scoperto nulla), aspettandoci encomi e riconoscimenti, quando giunse la doccia fredda. I giornali pubblicheranno infatti che un insegnante italiano, Giovanni Liguore se non erro, aveva realizzato un apparato per estrarre il ferro dalle sabbie di Ostia! Da una parte ci sentivamo fieri di aver notata anche noi questa possibilità, dall’altra restiamo delusi in quanto avremmo voluto annunciare noi la buona novella: “chi ha detto che l’Italia sia povera di ferro? Ne avrà anche troppo”.
Mia madre mi da’ gli spiccioli per acquistare l’Illustrazione del Popolo con la foto del Duce accanto l’apparato e la precisazione che in tempo brevissimo si ricavarono 17 quintali di materiale ferroso.
Non so se sia stato richiesto qualche brevetto, e poi di che? Il rullo che attraeva il ferro era un comune cilindro calamitato, la tramoggia in cui si versava sabbia ed acqua di mare pompata a mano non credo fosse brevettabile, come la manopola manuale che faceva girare il rullo. Tutto qui. Comunque la macchinetta era nata, ne dovevamo prendere atto e restare soddisfatti che forse l’Italia avesse risolto il problema del ferro e dell’acciaio. Infatti accertarono che si trattava di magnetite pura, da utilizzare subito in fonderia senza procedimenti di raffinazione, e che le sue qualità escludevano di addizionare i metalli speciali necessari per ricavarne l’acciaio (tungsteno? molibdeno?).
Inoltre il macinino in un’ora produsse davanti al Duce diversi quintali di materiale ferroso, pur se ho il dubbio che il monte di sabbia ricco di minerale potevano averlo “aggiustato” prima. Era da considerare inoltre l’inesauribilità di quella miniera marina. La spiaggia si estendeva per chilometri, la sabbia raggiungeva profondità di più metri; il mare, con maree e burrasche, ne apportava sempre di nuova, di modo che in poco tempo il manto poteva incrementarsi e rinnovarsi. Era come se il mare avesse sfruttato a modo proprio giacimenti ferrosi nei suoi fondali, riversandoli poi sulle rive. Così poteva essere per gli altri lidi, Anzio, Nettuno, forse Fregene, Ladispoli, pur se la sabbia poteva presentare rendimenti minori del vasto litorale romano (in effetti saranno per lo più infruttifere). L’idea però non ebbe seguito (la chiamo così, non la definisco invenzione) in quanto ci pensò la guerra, entrammo in cento emergenze, e quella prova iniziale che necessitava di studi, impostazione, organizzazione, si accantonò. Nel dopoguerra non venne più considerata. Forse era troppo costoso estrarre il ferro dal mare, anche se ai tempi del Duce veniva fatto a costi bassi, manualmente; forse la qualità non era eccelsa; di certo giunse la CECA (Comunità Europea Carbone e Acciaio, antesignana della CEE odierna), che portò nei mercati l’acciaio tedesco e francese a costi concorrenziali. Forse si abbandonò l’idea solo perché un po’ fascista.
Il fatto mi è tornato alla mente in questo periodo, nel trovarmi con mia moglie sulla spiaggia di Ostia, con lei che dice: “ma quanto è sporca questa sabbia, guarda, è nera! è tutto petrolio”, al ché il bagnino vicino risponde: “guardi signora non è petrolio, è sabbia ferrosa, e se è calda fa bene agli acciacchi delle ossa”.
Io mi ricordo allora della CARLA, della calamita di mio padre e la spiaggia di un tempo. Mia moglie però non si è convinta.
Allora il giorno dopo, tornando sul posto, porto con me una potente piccola calamita, grande quanto una scatola di pillole, che in versione doppia è usata per pulire dall’esterno le superfici interne degli acquari dei pesci casalinghi. Stendo un giornale in terra, prendo della sabbia asciutta e estraggo una quantità inaspettata di ferro, convincendomi che o il calamitino è speciale, o il litorale di Ostia si è trasformato ancor più in un deposito ferroso a cielo aperto.
Non ho fatto per ora altri controlli, pur se ho riempito una bottiglia, stavolta di plastica, della sabbia a me d’intorno, riservandomi poi di scinderla fra prodotto ferroso e litico. Non ho ancora provveduto a ciò, lo farò. Ho accennato di questa possibilità ad un amico pluri-ingegnere (almeno due lauree). Mi ha detto che in Italia, in Europa, in America, altrove, ci sono oggi eccedenze inimmaginabili di ferro, acciai, metalli, e figuriamoci se nel terzo millennio appena iniziato ci sia qualcuno che pensi di sfruttare la sabbia, ricca o no di ferro (sul che lui nutre dei dubbi). E poi non sa nemmeno quanto ciò possa risultare gradito alle varie società e multinazionali, nonché compatibile con leggi, leggine, regolamenti comunitari, ecc. ecc. che puntano a regolare e limitare queste produzioni onde evitare eccessi di prodotti, con conseguenze di calo dei prezzi e disturbi dei mercati.
Ah! Duce! La foto in cui presenzi a quella dimostrazione, mi auguro non truccata, mi ha fatto riflettere. A parte che per ritrovarla, assieme all’articolo, ho impiegato due giorni di ricerche in miei materiali di sessantacinque anni or sono, ho pensato alla guerra che presto venne e alle nostre necessità di metalli che non avevamo, ferro compreso.
Peccato, un vero peccato, che l’idea di estrarre il tesoro nascosto nel litorale di Ostia non sia nato qualche anno prima, con il tempo necessario per essere perfezionata e applicata.
Quanto a me rimane la soddisfazione di aver fatto lavorare il calamitone di mio padre e accertato la possibilità di disporre di questa materia prima fondamentale per vincere la guerra.
Che m’importa Duce se poi un insegnante di scuole medie assemblò un accrocco come un macinino del caffè, che nulla aveva di segreto o particolare, ma pur funzionava? Lui sarà stato più bravo ma io, che alle colonie cercavo la monetina sotto la sabbia con la calamita di mio padre, l’idea l’ebbi prima di lui, su ciò non ho dubbio alcuno (evito riferirmi alle vicende telefoniche di Meucci e di Bell).
Infine, a parte l’età di oggi che non me lo consente, mi piacerebbe metter su qualcosa di sfruttamento quanto a ferri e metalli (magari anche lattine di alluminio) presenti nelle aree prospicienti il mare romano (altrove delle prove sono state infruttifere), ma già vedo i burocrati dei nostri demani, ministeri, uffici più o meno pubblici, scatenarsi per ostacolare il tutto o, ancor meglio, non far sorgere niente di niente. Senza escludere, più verosimilmente, il sorgere delle pretese di bustarelle più o meno pingui. Comunque, cercherò di pubblicizzare questa idea del nostro tempo. Magari con questo scritto, chissà?
ELIPIOVEX
00giovedì 24 aprile 2008 22:30
C'è pure la radio che ti fa concorrenza [SM=x142839]
In questi giorni passano lo spot dell'Associazione Acciaio.
Sembra che il riciclo degli imballaggi di acciaio sia la miglior cosa per l'ambiente e per l'uso di energia. Hai un altro concorrente alla tua idea!
auroraageno
00venerdì 25 aprile 2008 11:10

Un altro bel racconto! E sempre interessante.
Complimenti, Francesco, e per le idee e per l'entusiasmo sempre vivo!

[SM=x142848]

aurora

misterx78
00venerdì 25 aprile 2008 19:10
Bello e interessante, anche a livello economico, il racconto... E' proprio come tu accenni: l'eccedenza di ferro, quant'anche ne trovassimo a tonnellate sotto casa, porterebbe uno squilibrio del mercato.
Per quanto riguarda quell'insegnate che ti soffiò l'idea chissà quante segnalazioni sono rimaste ignote proprio per mancanza di mezzi o di velocità nel segnalare la cosa...
Tutto è economia.
Mi è piaciuta anche la parte dove accenni l'odio fascista verso le figure naziste: quel noi eravamo meglio di loro. Sarebbe interessante anche saperne di più su questo aspetto. Mi piace capire la storia anche da chi la viveva dal proprio punto di vista oltre che da quello nazionale riguardo le situazioni passate di un Paese. Cercherò qualche altro tuo vecchio racconto per vedere se ne hai parlato più a fondo di questo aspetto o magari ne attenderò di futuri.
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