Ma io guardavo il cielo

macrino
00sabato 29 aprile 2017 15:43
Continuavi a subissarmi di parole. Ti ascoltavo, ma le tue frasi mi cadevano accanto come foglie inaridite: erano suoni secchi, significati banali. Se avessi avuto lacrime, avrei pianto. Se avessi avuto la voce, avrei pregato. Se avessi avuto speranze, le avrei abbandonate alla corrente del tempo. Ma ero inerte, silenzioso, intento ad udire il vuoto infinito, chiuso nel mio inespugnabile dolore.

Ad un certo punto distolsi lo sguardo dai tuoi occhi vacui per contemplare il cielo. Che magnifiche, luminose giornate a volte ci dona Dio, mentre sprofondiamo nel buio abisso della desolazione. Con tutto il pensiero, con tutta l’anima mi protesi verso il firmamento dove cumuli riccioluti si dilatavano a somiglianza di spume che lambivano coste turchino. Due immense nuvole, sospinte dal vento, veloci si avvicinarono sempre più per fondersi infine in un unico, serico drappo. Così due innamorati, che non si vedono da molto tempo, si slanciano l’uno verso l’altra per abbracciarsi e per unire i loro cuori in un solo cuore.

Per qualche istante dimenticai il chiodo che mi trapassa la carne, la zagaglia che mi sventra, la granitica angoscia che mi impietrisce, mi trasforma in un simulacro di cieca sofferenza. Per un istante vissi l’estasi del non essere, il non essere puro, assoluto, antecedente pure al nulla, già pieno del tutto che un giorno si dispiegò come l’enorme copertura di un padiglione sotto cui soffochiamo.

Continuavi a subissarmi di parole. Erano rumori aridi, significati volgari. Ma io, pazzo di felicità e gonfio di disperazione, guardavo il cielo.
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