MITICA UOSAE

Stefano Starano
00domenica 1 giugno 2008 00:40
Una giornata come le altre
Era una giornata come le altre, una giornata di mxxx.
Dovevo vedermi col collega del Vomero, questa era la nostra zona.
Faceva un caldo cane, il sole era offuscato e l’umidità cospargeva la pelle rendendola impermeabile come una muta da sub, senza alcuna traspirazione.
Stavo procedendo sul raccordo che mi avrebbe portato alla tangenziale provenendo dal Villaggio Coppola. Per confortarmi portai i miei pensieri a quando facevo servizio di viabilità. Pioggia, tempeste e freddo d’inverno erano esperienze passate: anche quando portavo le maglie a maniche lunghe di lana del Corpo e i mutandoni lunghi di lana (nonché la divisa con il pullover del Corpo e sopra un Evan Pull portato da casa - roba da nautica da diporto - e sui mutandoni mettevo il pantalone del pigiama invernale, e ancora gli stivaletti e i calzettoni di lana del Corpo che completavano l’equipaggiamento) dopo un paio d’ore un gelo agghiccante penetrava inevitabilmente nelle ossa. Ma l’estate era ancora peggio. Il cappello diventava insopportabile e la divisa si incollava addosso. Una volta una collega incinta svenne per un colpo di sole: poiché stava nei primi masi di gravidanza rischiò di perdere il bambino.
Non ho mai capito perché gli agenti di viabilità non avessero un’indennità di disagio particolare: misteri della pubblica amministrazione.
Comunque ora stavo nella mitica U.O.S.A.E., l’Unità Operativa Speciale Antiabusivismo Edilizio. Lì fortunatamente si stava in abiti civili. In effetti era necessario perché se fossimo stati in divisa, gli operai sarebbero fuggiti ed allora il sequestro, senza conoscere il responsabile, diventava un vero problema. Fermando un operaio si riusciva sempre a risalire al proprietario.
Poi c’era di bello che la mitica U.O.S.A.E. era una vera squadra di Polizia Giudiziaria il ché era gratificante. In verità era anche molto rischioso: si aveva a che fare con avvocati, magistrati, camorristi, professori universitari… insomma, tutti i tipi di gente, e se sbagliavi anche di poco erano guai seri: si poteva anche perdere il posto (nei casi della malvivenza anche la vita). Ma il vero dispiacere era quando capitava la povera vecchina che aveva racimolato appena i risparmi per sistemare il figlio e la nuora disoccupati: noi non risparmiavamo nessuno ma in quei casi non si poteva fare a meno di provare pietà, e questo faceva male.
Nonostante il servizio che svolgevamo fosse di un certo livello, c’era poca gratificazione: la gente ci vedeva come giustizieri senza pietà, alcuni magistrati pretendevano voli pindarici (molti altri però apprezzavano il nostro lavoro e la nostra professionalità veramente), gli avvocati durante le cause mettevano noi sotto processo, alcuni colleghi ci invidiavano, gli stessi superiori a volte non ci gratificavano (almeno quelli più alti perché più “lontani” dalla complessa realtà dell’abusivismo edilizio). Per questo alcune giornate diventavano più pesanti, e questa era una di quelle.
Il paradosso era che io e il collega godevamo del servizio esterno un giorno sì ed uno no. Ma ciò si era rivelato un boomerang: “dovevamo”, secondo il coordinatore, produrre di più perché avevamo più tempo a disposizione. Bel vantaggio.
Quasi quasi invidiavo altre squadre speciali che aveva il Corpo dei Vigili urbani. Ce n’erano così tante quante erano le specializzazioni ma sicuramente ognuna aveva i suoi vantaggi e i suoi svantaggi. Certo il mestiere di Vigile era di quanto più vario esistesse: ci sarebbero volute decine di lauree per svolgere tutti i compiti.

Stavo un po’ in ritardo ma l’unica cosa che mi preoccupava era il collega col quale avevo appuntamento: era un fissato della puntualità e arrivava sempre in anticipo. Comunque era un bravo cristiano e collaborava in pieno. Era anche preparato in materia giudiziaria perché proveniva da una squadretta specializzata in soccorso dei colleghi in difficoltà.
Procedevo a una velocità forse un po’ sostenuta ma quel tratto della Solfatara lo conoscevo come le mie tasche.
Vidi un’Audi color canna di fucile ferma sul ciglio del raccordo: strano, non era un posto felice, forse stava in difficoltà. Rallentai. Vidi anche uno scooter per terra e… Cristo, una ragazza che veniva trascinata da quattro individui sull’auto! Feci delle connessioni mentali in pochi attimi e mi figurai la scena: l’auto aveva speronato lo scooter per rapire la ragazza che stava alla guida.
Data la velocità dovetti superare il luogo dell’ “incidente” ma mi fermai appena potei.
Aspettavo che ripartisse l’auto per intervenire: certo da lì dovevano passare!
Guardai il meglio possibile per essere pronto ma l’auto non si muoveva. Diventai nervoso, sudavo per la tensione e per il caldo soffocante. Ero anche emozionato, avevo la pistola ma non l’avevo mai usata se non al poligono.
Cristo, come avrei voluto essere con il collega, con qualsiasi collega. Ma ero solo e dovevo intervenire.
Presi il telefonino per avvertire il Comando quando vidi l’auto muoversi. Lasciai il cellulare sul sedile e innestai la marcia pur essendo fermo: pensai che potevo sbarrargli la strada bloccandoli e scendere con la pistola in pugno.
Quelli sgommarono e mi presero alla sprovvista. Riuscii a sbarrargli la strada ma capirono che volevo framrli. Fecero un testa coda e… cxxxx, fecero inversione di marcia!
Rimasi come un baccalà vedendoli procedere contromano sulla tangenziale e mi ci volle qualche secondo per realizzare quello che era successo: volendoli inseguire dovevo procedere anch’io contromano. Ma non era uno scherzo, io non avevo un’Audi ma una vecchia Panda.
Decisi e tentai il tutto per tutto. Stavo facendo l’inversione ma un autobus turistico suonò col clacson e mi fece cacare sotto, come si suol dire a Napoli. Dovetti aspettare un momento di pausa del traffico: ma perché nella realtà i cattivi hanno sempre strada libera e i buoni tutti gli ostacoli? Nei telefilm non succedeva così!
Procedevo contromano ma con una certa prudenza, nonostante questo molte auto deviavano all’improvviso o sbandavano addirittura. L’Audi non era più visibile ma contavo sul fatto che anche quelli dovevano procedere contromano e non potevano andare velocissimo. A un certo punto la vidi: stava entrando contromano in un ingresso del raccordo: li seguii. Per fortuna non c’erano auto in entrata, sarebbe stato un disastro.
Una volta su strada l’auto mi seminò ma io continuai. Dopo qualche minuto vidi da lontano delle auto ferme di traverso la strada: erano l’Audi e una Smart che si erano scontrate.
Scesi immediatamente dall’auto e mi avvicinai con la pistola puntata.
«Fermi, Polizia Municipale!»
L’Audi era vuota. Mi avvicinai al conducente della Smart.
«Dove sono quelli che stavano nell’Audi?»
«Sono scappati verso quella campagna, là, a sinistra! Quei maledetti correvano come pazzi, mi potevano uccidere.»
Non sapevo bene cosa fare, io non li vedevo. M’incamminai verso la direzione che mi aveva indicato l’uomo. La vegetazione era alta e incolta.
Correvo quanto me lo consentisse il terreno ma io continuavo a non vedere nulla. A un tratto vidi qualcosa, un movimento vicino un casolare. Mi acquattai per non farmi vedere. Il casolare confinava con una strada di grossa comunicazione.
Approfittai dell’attesa che succedesse qualcosa per poter chiedere aiuto col cellulare. Misi la mano nella tasca dello smanicato e… xxxxx, l’avevo lasciato nella Panda!
Ero davvero ansioso, angosciato. Non sapevo se quei bastardi erano armati, non sapevo come agire e se agire: avrei potuto compromettere l’incolumità della ragazza. Mi avvicinai cautamente. Udii delle urla: erano di donna! Corsi verso il casolare quando mi accorsi che c’era uno di loro a fare da palo. Era armato con una grossa pistola a tamburo. Non mi aveva visto. Aggirai da lontano il casolare finché mi trovai dalla parte opposta dove l’uomo non mi poteva vedere. Stavo a ridosso della strada, le auto passavano indifferenti o spaventate da me con la pistola in mano. C’era una finestra. Guardai dentro con prudenza: stavano strappando senza pietà i vestiti della ragazza. A giudicare dall’apparenza non doveva avere più di ventisei, ventisette anni. Uno degli uomini stava slacciandosi la cintura dei pantaloni. Stavo entrando dentro dalla finestra quando udii il rumore di un caricatore, anzi due! Forse il palo s’era accorto di qualcosa ma non esitai: senza guardare saltai dentro. Urlai con quanta voce avevo in corpo.
«Fermi, Polizia!»
Gli uomini, per niente spaventati, sorrisero. Uno impugnava una pistola di grosso calibro e gli altri subito estrassero le loro. Erano cavoli amari!
«Butta la pistola, merdaiuolo» disse uno. Io non la buttai, avrebbero sicuramente ucciso me e violentato la ragazza. Ci puntavamo le pistole uno contro l’altro ma loro erano in tre, ed io ero solo. Potevo sparare ma loro avrebbero avuto il sopravvento. Fermai il pensiero ed agii: mi gettai per terra e sparai. E successe il finimondo.
Rimasi ferito alla spalla destra ma non sentivo dolore, loro erano tutti giacenti per terra, qualcuno lamentandosi, gli altri immobili, morti probabilmente.
«Ehi collega, tutto a posto?»
Due vigili motociclisti si sporsero all’interno della finestra.
«Uh, oh… sì, sto bene, solo un buco nella spalla. Ma voi da dove siete usciti?»
«Da un telefilm poliziesco. No, scherzi a parte, avevamo visto te con una pistola in mano entrare in questo casa diroccata e abbiamo pensato che fossi un criminale. Poi ci siamo avvicinati e abbiamo sentito parlare. La ragazza nuda per terra ci ha fatto capire tutto.»
«A proposito, colleghi» s’era ricordato che i malviventi erano in quattro, «c’è un altro dietro la casa!»
«Cosa? Allora andiamo» disse il collega.
«Tu rimani con la ragazza» mi disse.
«No, io vengo con te per vedere che fine ha fatto l’altro bastardo. Adesso ho un conto personale aperto.»
Il motociclista mi guardò per un paio di secondi, io cercai di non mostrare il dolore che nel frattempo m’era venuto.
«Okay, rimani tu Raimondo, io e lui andiamo a prendere il merlo.»
Corremmo per le campagne come pazzi, io ero ferito. Mi dovetti fermare, il collega continuò.
Stavo piegato in due e mi stesi sul terreno premendo con una mano la ferita.
«Né, omme ‘e mxxxx, alzati!»
Cxxxx, l’uomo mi puntava la pistola addosso ed io ero rimasto solo. Il pensiero e l’azione furono un tutt’uno: diedi un calcio nelle pxxx e mi rialzai. L’uomo si lamentava per il dolore ed io ne approfittai per allontanare la sua pistola. Gli puntai la mia con la mano sinistra.
«Ora chi è l’uomo di mxxx?» feci io.
Lui mi guardò torvo e mi disse: «Sai quante me ne sono fatte?»
Io non risposi.
«Me ne sono fatte a decine e pure più giovani, sxxxx. In galera non mi farò più di qualche mese o qualche anno, poi uscirò e ti ucciderò.»
Io avevo l’arma puntata su di lui e pensai: quello che diceva era vero, forse avrei dovuto sparare. Ma sarei andato io in galera.
L’uso delle armi, pensai, già, l’uso delle armi… l’uso “legittimo” delle armi. Mi ricordai del corso per Vigile Urbano. L’uso legittimo delle armi era ammesso solo in sei casi ma non ero sicuro. Di tre casi ero certo: omicidio volontario, rapina a mano armata (ma non durante la fuga) e sequestro di persona a scopo estorsivo. A scopo estorsivo, non per violenza carnale, eppoi quel farabutto non stava nell’atto di violentare, né in nessuno degli altri casi. Non potevo sparare ma ne avevo una voglia pazza. Sentivo di star perdendo il controllo: una parola di più e avrei sparato.
«Spara ricchione, fammi vedere che omme ‘e mxxxx sei.»
Non ci vidi più, gli puntai la pistola in fronte.
«xxxxxx, questa è per tutte le ragazze che hai violentato!» urlai.
«Collega!» il motociclista mi guardò, era tornato sui suoi passi. Senza dir nulla prese le manette e bloccò l’uomo.
Mi accompagnarono all’ospedale di Pozzuoli per la medicazione. Firmai per uscire e poi andammo tutti al Comando della Polizia Municipale del luogo.
Non fu una giornata come le altre. Non lo fu per niente ma non per il rischio corso e nemmeno per l’avventura passata. Ero cambiato, ora sapevo che potevo uccidere.
L’avrei fatto.
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 12:25.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com