LA TORINESE

Stefano Starano
00domenica 4 maggio 2008 15:41
Mario Rossi era sicuramente un compagno di classe particolare.
Biondino, torinese, intelligente, appassionato di chimica, di parapsicologia, e con una moto-bike. Un po’ perfido. Una volta m’infilò della soda caustica dietro la schiena infilata dietro al colletto della camicia. Fortunatamente me ne riuscì a togliere il pezzo più grande, credevo fosse ghiaccio benché non capissi da dove potesse averlo tirato fuori.
Tornato a casa andai a trovare Osvaldo Trica. Trovai il fratello Ciro, Osvaldo non c’era. Nell’andarmene notai un fastidio sul petto, un bruciore sulla pelle. Ciro m’invitò a togliermi il maglione, io ero restìo. Ma il fastidio non cessava, anzi. Finalmente mi decisi a togliere quel pullover, e quando vidi che era bucato insieme alla camicia iniziai a preoccuparmi. La maglia intima sembrava un colabrodo, e la pelle vicino al capezzolo era di un rosso scuro, ustionata. La cicatrice la porto ancor oggi come ricordo.
Per contro, il giorno dopo, gli infilai la punta del compasso nel bordo esterno della mano, ma credo che trafissi solo pelle o poco più. Ben poca cosa.
Comunque Rossi aveva una gran bella madre. Innanzitutto era giovanissima, e seconda cosa era molto bella (bionda e portava la minigonna, come era in uso nel ’68). A quell’epoca ero già perlomeno da tre anni “diventato uomo”, e non mi lasciava certo indifferente la visione delle ragazze o delle giovani donne.
Usciti da scuola Rossi m’invitò a casa sua, vicino la scuola. Mi fece vedere i giochi, le sue cose. Ad un certo punto la madre che stava lucidando i pavimenti mi chiamò in un’altra stanza. Sapendo che mio padre aveva un negozio di casalinghi e piccoli elettrodomestici, mi chiese se potevo dare uno sguardo ad una delle tre spazzole della lucidatrice che non girava. Io che nemmeno a 50 anni so mettere un manico ad una pentola, dissi di sì. In realtà mi rompevo del tutto le scatole perché non potevo giocare con il mio antipatico ma interessante amico, in secondo luogo non ne capivo niente di elettrodomestici. La cosa più umiliante per me era che non sapevo dire di no.
Mi misi di lena a far finta di cercare di smontare la spazzola rotante e la madre accovacciata vicino a me mostrava le sue gambe. In realtà molto di più ma non poteva rendersene conto: non avrebbe mai osato pensare che un ragazzo di appena 15 anni potesse avere dei simili pensieri!
La posizione era tale che il mio sguardo arrivava dove non osano normalmente le persone: la veduta era panoramica.
Il mio stato era tale che stare piegato era una vera sofferenza, in più pregavo mentalmente la Madonna e Gesù Cristo che non si notasse quello che stavo provando (che figura avrei fatto con la madre del mio amico, avrebbe pensato “con che razza di compagni se la fa mio figlio!”). E come mi sarei sentito nei confronti del mio compagno se avesse saputo? Avrei preferito morire, piuttosto.
Per quanto splendida fosse la visione delle sue candide gambe, non vedevo l’ora di uscirmene da quella situazione. Ma quella mi si avvicinava sempre più in quella posizione, cercava di aiutarmi vedendomi in difficoltà con l’apparecchio. Con le gambe in faccia sudavo freddo, ero combattuto tra il desiderio che fossimo soli in casa ed il terrore che entrasse il mio compagno e si accorgesse della cosa.
Alla fine lei si rese conto che non ero capace, e mi lasciò andare.
Fu una liberazione.
ELIPIOVEX
00domenica 4 maggio 2008 22:36
Un bel impiccio.
Comunque lo scherzo della soda caustica è stato veramente perfido!
Stefano Starano
10domenica 4 maggio 2008 23:40
Scherzo tremendo
Dal 1968-69 porto ancora la cicatrice.
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