LA BALLATA DI EDWARD TEACH - poesia

fiordineve
00lunedì 31 gennaio 2005 13:45
LA BALLATA DI EDWARD TEACH
di Walko




Le assi di un palcoscenico, in teatro,
sono ancorate, sulla terraferma,
e quelle di una nave sono scosse
dall'impeto del vento e delle onde,
ma le affratella un pubblico che applaude,
perciò sopra una nave e sulla scena
bisogna essere protagonisti:
perché la vita è viversi il destino,
e mai lasciarsi vivere dal tempo.
La mia parte l'ho fatta fino in fondo,
fino alla fine, all'ultimo singhiozzo,
fedele alla ballata che cantavo
la notte prima di ogni nuovo assalto:
se bevo muoio, muoio se non bevo,
e allora bevo, I drink, my god! I drink!
Nessuno ha mai sfiorato la mia barba,
o chi l'ha osato non ha avuto il tempo
di raccontarlo, di farsene vanto.
Bastava pronunciare la parola,
"Blackbeard", e già tremavano le voci,
tremavano le donne ed i mercanti,
tremavano i potenti nei palazzi:
ecco Blackbeard, il terrore dei mari!
Così ho vissuto, così sono vivo,
e come allora canto nella notte,
lasciandomi cullare dal beccheggio
e dalla ninna nanna delle stelle,
if I drink, my dear brother rhum, I die,
but if I don't drink, all the same, I die,
so I drink, I drink, to the last I will drink!
Tutto ha un inizio e il caso lo dirige,
spesso indossando abiti di donna,
occhi lucenti ed una chioma bionda
a incorniciare un viso sorridente,
ed una bocca che non vuole baci,
e un cuore chiuso ad ogni sentimento.
Così il mio amore si mutò in diprezzo
e il dolce affetto in crudo desiderio,
quel che bramavo presi con violenza,
e da quel giorno fui un fuorilegge
senza pietà, senza più paradiso,
ma non è vero che non ebbi amore:
ho amato il mare, ho amato la battaglia,
ho amato il rhum, la musica e la notte;
ho amato questa mia guerra di corsa,
ho amato l'incertezza del duello,
ho amato il dubbio, l'ansia dell'attesa
e dopo il trionfo l'urlo di vittoria;
ho amato il nido caldo di un rifugio,
ho amato ogni bottino da spartire,
la carne depredata, da gustare,
la carne derubata, da godere;
anche se han conosciuto la mia sferza,
ho amato gli uomini del mio equipaggio:
ne ho amato più il terrore che la stima;
ho amato la mia fama, la mia forza
e l'ombra lunga delle mie vendette;
ho amato il pubblico e il suo amato applauso;
e poi, finita l'ultima contesa,
ho amato il comandante che mi ha vinto,
perché tutto ha un inizio, come ho detto,
ma tutto deve avere anche una fine,
e questa era la fine che volevo:
meglio che pugnalato a tradimento,
meglio che appeso in cima ad una forca,
meglio che vecchio e immobile in un letto.
Così posso ben dirlo: l'ho vissuta,
vissuta fino in fondo, la mia vita,
fino alla morte, vivendo anche quella.
Ed ora, che rivivo nel ricordo,
pur sempre vivo nelle mie parole,
lo voglio dire: non rinnego nulla!
Avendo qui una nave, partirei,
mi affiderei al rhum e all'avventura,
affronterei di nuovo le bufere,
le navi inglesi e i tiri della sorte.
Sono visioni, sono solo sogni:
non c'è veliero, non c'è neanche mare,
solo parole, solo una poesia
da recitare al buio in un teatro.
Ma questo palcoscenico di legno
scricchiola come il ponte di una nave,
se chiudo gli occhi sento la risacca,
appoggio le mie mani sul timone
e la poesia diventa una ballata:
se bevo muoio, muoio se non bevo,
e allora bevo, I drink, I drink I drink!
if I dream, my dear sister life, I die,
but if I don't dream, all the same, I die,
so I dream, I dream, to the last I will dream!



...


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