L'omino in grigio e la Regina delle mele

misterx78
00sabato 22 marzo 2008 00:52
racconto breve



Questa è la storia dell'omino vestito di grigio.

Egli viveva da una vita in una casina piccola e di legno. Quattro muri e un soffitto. Senza riscaldamento. Una finestra che dava sul cielo che nevicava... Solo qualche frutto o biscotto sul pavimento, in mezzo a qualche libro invecchiato sparso quà e là.
Ogni sera, da bravo omino, lo potevate trovare in piedi vicino alla sua scrivania, con la sua candelina. Appena l'aveva accessa, si infilava come poteva la giacchetta grigia, scricchiolando un poco con le braccia stese verso l'alto. Poi, come guidato e frenato da qualcuno che non c'era, traballava fino alla sedia, l'unica della stanza. Si siedeva di fronte al tavolino dov'era prima la fiammella. Apriva il cassetto e sfilava due e tre fogli per scrittura. No, non li avrebbe usati tutti. Ma ne prendeva sempre qualcuno in più per metterli sotto affinché quello che scriveva venisse meno irto sul foglio di sopra. Per scrivere con maggiore morbidezza.
Dal taschino un poco impolverato si sfilava gli occhialini. Erano ancora gli stessi di quando li aveva comprati tanti e tanti anni fa...
Se li stringeva sul nasone rosso, stando attento a non romperli. Prendeva la penna nera, quella col tappo dorato, e cominciava a scrivere:
'C'era una volta tanto tanto tempo fa...'. E com'era quando era bambino si passava la testa della penna in bocca per rosicchiarla un pò. Nel frattempo che le prime immagini gli si affiorassero nella mente. Un tempo non aveva tanti soldi e non c'erano tanti libri in circolazione. Allora, l'omino in grigio, che all'epoca era un bambino in grigio, si siedeva allo stesso tavolino, che prima era del suo papà, e scriveva, scriveva, scriveva...
E un giorno scriveva di racconti fate e di re! E un altro giorno era in compagnia di Re Artù e di Merlino! Altri giorni aveva avuto dei disappunti sui poteri velenosi delle mele riguardo la bella addormentata nel bosco. Allora aveva riscritto una storia senza mele, che gli piacevano così tanto, ma con le verdure e le nespole che spesso non andavano giù! Ma poi aveva ancora cambiato idea un'altra volta e, al posto delle mele o delle verdure o delle nespole inserì lo sciroppo che ti dava il dottore quando avevi la tosse. Quello sì che non gli era mai piaciuto!
E ancora oggi, che era un vecchino e non più un bambino in grigio, le medicine non gli andavano giù neanche fossero state veleno!
Mentre si perdeva nei ricordi delle storie passate si rendeva conto che il tempo passava. La candela era scesa. Ma nessuna idea nuova gli era passata per la testa.
Sarà stata la vecchiaia che avanzava! Aveva allora pensato il vecchino. Forse sarebbe stato meglio mettersi a letto. Le ossa dolevano. Gli occhi lagrimavano. E fuori della porta di legno si sentiva ululare un vecchio e brutto vento. Gli spifferi si sentivano fin sopra le mani del povero vecchino che incominciava a tremare.
Stava proprio per rialzarsi quando la sedia scricchìolò così intensamente da bloccarle l'omino in grigio a mezz'aria. Non un movimento di più o la sedia si sarebbe spaccata proprio lì dopo tanti anni di duri servigi!
L'omino si risiedette docilmente. Fece per rimettere la penna al suo posto quando udì due tonfi provenire dalla porta.
Chi è? Chiese il vecchino.

Nessuno rispose. Un pò spaventato il vecchino si guardò intorno e scrutò la vecchia finestra di legno in alto vicino alla porta. Per fortuna era ben chiusa. Chi mai sarebbe potuto entrare...
toc toc si sentì di nuovo.
E no, ora mi dici chi sei? Disse l'omino ancora più spaventato. Dimentico degli anni s'alzo quasi di stacco dalla seggiola e si apprestò, insicuro, verso l'uscio. Pian pianino si avvicinò alla porta e appoggiò l'orecchio sull'uscio quando si sentirono due tonfi stanchi e spazientati:
TOC TOC..! Omino in grigio vuoi aprire sì o no? Quì il vento gela!
A quelle parole l'omino si rizzò su dritto come una scopa e sbuffò:

Ma chi diavolo sei, io non ti conosco!

Allora si udì una risata profonda ma comprensiva...

Ma come omino mio, non mi riconosci, sono io la Regina delle mele.

Ora l'omino si grattava un attimo il baffo grigio. Poi si mordicchiò la punta del dito tra le labbra... Poi riflettè un poco sulle parole: Regina delle mele. Era, ora che prendeva a ricordarsi, la protagonista di un racconto che aveva scritto per farsi perdonare dal mondo delle fiabe per le sue idee rivoluzionarie sul mondo dei veleni nelle favole!
Non era però possibile, però, che quella regina esistesse nella realtà. Era frutto della sua fantasia.
Ma poi, non sepeva neanche lui il perché, fece un gesto azzardato: aprì di scatto la porta. Ma, con sua maggiore sorpresa, non vide nulla. Nessuno.
Richiuse l'uscio. Si apprestava a ritornare verso la scrivania. Prese una di quelle pillole amare e si risiedette sulla sedia.

Sono troppo solo... -Sbuffava l'omino in grigio.

Poi era un tutto di lucette e di girare: proprio sul letto non era seduta una splendida e giovane ragazza?!

Non avere paura omino mio!

E nel dire quello la donna alzava una mano a mò di saluto!

Il vecchino letteralmente saltava sulla sedia!

E tu chi sei? Cosa vuoi? Come sei entrata?!

E lei:

Ma sono io omino in grigio, io, la tua Regina delle mele, non ricordi? Mi hai fatto entrare ora aprendo la porta...

E mostrò di lato un paniere pieno di 10 mele grosse e dorate.

Il vecchino era troppo stanco persino per spaventarsi. D'altronde quella figura gli era così familiare. Portava una lunga veste chiara e non aveva scarpe. Il viso era tondo e dolce e gli occhi grandi e scuri. La testa era incorniciata da splendidi boccoli dorati e di quà e là spuntavano, tra i capelli, delle luccicanti rose dorate.
Non c'era dubbio: quella era proprio la Regina delle mele! Quella del suo racconto!

Ma cosa ci fai quì? -rispondeva incredulo l'omino.

Come non ti ricordi? Mi dicesti che prima di partire ti avrei dovuto portare una mela d'oro. Per il viaggio, sai, dovesse venirti fame...

E l'omino: partire? Io non devo andare da nessuna parte. Col cavolo che devo partire. Parti, parti, parti pure te. Fai buon viaggio. -L'omino aveva capito la metafora... la ragazza sembrava essersi presentata per accompagnarlo nell'ultimo dei viaggi di un uomo.

Come vuoi omino mio. Disse la Regina. Vuol dire che non ti darò neanche una mela d'oro.

La ragazza rimetteva la mela nella cesta e si alzava.

Si apprestava verso l'uscio: tornerò fra un'ora. E richiuse la porta dietro sè, senza fare troppo rumore.

L'omino pensava mille cose. Si guardava le mani. Ripensò a quante favole e storie simili aveva scritto. E proprio quella sera che non riusciva ad inventare una favola nuova, una favola era venuto a trovarlo.

L'omino si trascinò stanco e un pò spaventato verso il letto. Diede qualche colpetto quà e là sulle coperte e poi si lasciò cadere, con le gambe penzoloni, sul materasso. Non si era neanche svestito. In fondo non gli dispiaceva che qualcuno sarebbe venuto a fargli visita. Anche se questo significava, forse, l'ultima visita della sua vita.

Puntualmente, un'ora dopo, un toc toc alla porta svegliò il povero omino.
Dai, entra, tanto entri lo stesso se vuoi...
Detto: fatto! La bella Regina delle mele questa volta si ritrovava, come d'incanto, seduta sulla sedia, invece che sul letto, come prima.

Sicuro che non vuoi una mela? Gli mostrò il paniere.

E l'omino: ma non erano 10? Ora ce ne sono solo cinque!

Vedo che quando ci si intende di conti subito ci vedi bene omino bello! E la ragazza giocò un poco con la stecca marrone degli occhiali dell'omino dimenticati sul tavolino...

Non ti ricordi la storia delle mele?

Il vecchietto ricordò che nella sua storia la Regina delle mele donava una mela ad ogni persona che incontrava. Ma quelle mele erano velenose per alcune persone. In particolare per chi era innocente. L'unico pregio delle mele era quello di far morire un innocente senza dolore ma facendolo addormentare per sempre.

Vuoi dire che hai fatto morire 5 innocenti?!? Cinque bambini?

5 addormentati ora sono. Dipende dai punti di vista. La Regina zompettò di colpo intorno al tavolino. Sembrava particolarmente attratta dalla candela e dalla sua pallida fiammella...

Va bene, fa quello che vuoi... Piuttosto dimmi cosa vuoi da me e vattene!

Il tono dell'omino era ancora poco convinto tanto che la Regina sghignazzò: vuoi una mela caro omino in grigio?

L'omino si mosse come fosse percosso da una scarica elettrica nel tragico ed invano tentativo di alzarsi e riscivolò su letto con un ditto ritto...
A quel gesto la Regina urlava e rideva a squarciagola. Correva verso la porta e prima di uscire disse: tra un'ora omino mio, tra un'ora.

La porta rimase silenziosa e chiusa. Sembrava che nessuna donna fosse entrata lì dentro da almeno 50 anni. Quando la sua giovane moglie era morta. Ed era morta proprio a causa delle mele...
L'omino rimase debole in una posizione storta a fissare la porta. Poi, pian pianino, si rimise seduto. Si guardò di nuovo intorno. E, questa volta, non aveva proprio più voglia di dormire. Cominciò, piuttosto, a pensare che qualcuno laggiù in città stava morendo al suo posto. Qualche bambino affamato che vededonsi davanti una bella ragazza che li porgesse una grande ed invitante mela non avrebbe potuto fare altro che addentarne un grosso pezzo di piacevole e succosa polpa. Ma per ogni bambino morto lui aveva un'ora in più di vita e poi... chissà, magari quella Regina si sarebbe stancata e sarebbe andata da qualche altra parte. Anche se era pur vero che se avesse accettato di prendere almeno una mela, almeno per quella notte, qualche altro bambino, sarebbe rimasto ancora in vita.
Poi pensò anche che in mezz'ora di cammino, nonostante la neve e il freddo fuori, quella ragazza, giovane e folle, sarebbe potuta arrivare fino alla stazione del paese. Magari avrebbe regalato delle mele ai forestieri, ucciso qualche altro bimbo, ma così si sarebbe potuta ripresentare prima con questa storia della mela...
Si pose la testa tra le due mani e spinse forte. Per un attimo sentì solo un lungo fischio a causa della pressione sulle orecchie. Poi lasciò la presa e cercò di ricordarsi come andava a finire la storia che aveva scritto tanto tempo fa...
Si ricordava che la giovane Regina ad un certo punto conosceva un Re. Entrambi erano giovani ma sposati. Ma per risolvere l'inghippo la giovane arpia pensò bene di uccidere la moglie del Re. Si rese conto che le sue mele non avevo influenza sulle donne. Ma l'unico modo sarebbe stato uccidere il padre della Regina affinché, una volta accorsa per vegliare sul padre morto, sarebbe rimasta chiusa fuori dal castello. E lei sarebbe rimasta sola col Re...
Dunque puntava a questo quella pazza? Ma lui non aveva una figlia... O forse sì? Era passato tanto di quel tempo che non ricordava più niente, neanche della sua vita passata. Sembrava che tutto fosse inziato lì dentro in quella notte...
Si guardava intorno e tutto parlava della sua vita. Era nato lì dentro. Aveva vissuto in quelle quattro mura di legno per tutta la vita. E ora, forse, ci sarebbe pure morto. Ma sì: a chi poteva interessare? Era solo. Tranne che per la compagnia dategli dalle sue storie.

Toc toc

L'omino non rispose.

Questa volta si voltò e se la vide accanto sul letto.

Ci sono rimaste due mele caro omino bello. Si era messa con entrambi i piedi sul letto, la schiena appoggiata al muro e fissava con una certa cattiveria il vecchietto.

Spinse in avanti il cesto: Prendi! Una è per te, l'altra è per me! Ma solo una è avvelenata.

Il vecchietto non sapeva come togliersela di torno. E tanto aveva capito che doveva morire. Ma con una sua storia poi...
Si ricordò poi che 50 anni prima, proprio in una notte come quella, aveva perso sia la moglie che la figlia. Si ricordò che odiava le mele, che le erano sempre piaciuto tanto, dopo che la moglie, durante il trasporto di un carico di pomi, ebbe un banale incidente.
Ma sì facciamola finita... Si disse il povero omino in grigio.
Prese una mela delle due a caso che erano in fondo al grosso cesto di vimini. Era una mela bella pesante. Sembrava luccicare e l'oro sembrava più vernice che oro vero. Guardò gli occhi neri belli, grandi e iniettati di sangue della giovine e si disse: meglio lasciar vivere qualche altro bambino stanotte.
Prese e con la forza dei pochi denti rimasti diede un bel morso. Masticò con gusto, assaporò per bene il dolce liquido bianco che colava lungo le sue labbra, e, cercando di non sprecarne neanche un pezzettino, giocò con la lingua nella sua bocca più volte a spazzolare tutti i rimasugli del frutto che si perdeva quà e là negli spazi vuoti dei denti mancanti. Poi riprese con un altro morso e ancora un'altro e un'altro ancora e ancora un altro...

Finita la mela si stese per bene lungo il letto sfiorando la gamba della giovane.

La ragazza si alzò.

Ti è andata bene omino grigio. Non era avvelenata!

E la donna si mosse verso l'uscio, verso nuove vittime!

No ti prego basta! Urlo il vecchio.
Basta brutta pazza basta! Dammi quell'altra mela!

Ah sì te la posso dare, disse la donna, ma tu cosa mi dai in cambio, povero omino in grigio, non hai nulla? Guardati in giro! Hai vissuto da solo come un cane e senza soldi pieno delle tue illusioni una vita inutile... Non hai mai amato e preferisci che muoiano dei bambini al posto tuo! Perché dovrei regalarti l'oblio?

L'omino si riguardò le mani e si vergognò di aver scritto un personaggio con tanta cattiveria. Poi allungo gli arti fino a dietro al collo e si tolse una catenina che aveva come pendolo una chiave.

Ecco è tua!

Che cos'è? Rispose la donna.

E' la chiave di una cassetta di sicurezza che si trova nella mia banca. Almeno servirà a qualcuno.

La donna non perse tempo. Strappò la chiave dalla mano dell'omino e gli spinse in bocca la mela. Poi corse fuori lasciando il paniere sul pavimento e la porta spalancata.

In quei pochi attimi l'omino vide un Mondo tutto bianco. Sembrava di essere su una giostra fatta di tanta luce e suoni e Regine delle mele. Vide scorrere tutti gli attimi più intensi della sua grigia vita. Si rese conto che aveva vissuto tutto i primi anni. Dopo la scuola era diventato un ragioniere ed era stato impiegato in una grande ditta ortofrutticola. Ora rivedeva il suo primo giorno di lavoro. La stretta di mano dura di quell'omaccione coi baffi che poi divenne suo parente. Il primo sguardo di quella Regina che divenne sua moglie... Le spalle piegate, la schiena stanca... I pianti, i sorrisi, le corse nei prati. Tutto era colorato in quegli anni!
E poi il giorno vestita di bianco e il suo velo. La gente che rideva.
Tutto girava. Il fiato mancava. Buttava via gli ultimi colpi di tosse.
In un attimo di lucidità ripensava anche che una mela avvelenata, almeno secondo le favole, non avrebbe mai potuto uccidere una donna.
Invece, anni prima, quella sera, la moglie era morta in una scarpata, in un camion pieno di mele raccolte da lei e dall'omino in grigio. Un camion di dolore, peso e fatica.
Vide quel faccino in quella culla. Tu sarai la mia Regina delle mele un giorno! Si ricorda di come quella bimba piangeva perché la mamma non c'era.
Vide di nuovo quell'omaccione che lo scacciava di casa. Che gli portava via anche la nuova Regina, l'ultima delle due che gli era rimasto.
E poi vide una grande strada grigia. Era il resto della sua vita. Aveva passato la sua vita da solo. Le immagini correvano come un camion che era in ritardo per una consegna... Troppo in fretta...
Alla fine di quella strada c'era una bellissima ragazza. Dopo tutto quel grigio, l'omino sembrava essere arrivato in un luogo pieno di luce dove quegli occhi erano le stelle e quel sorriso il Sole.
Non aveva più cercato quella Regina, la sua bambina. Ma aveva scritto di lei.

Passò un anno e nessuno parlò più di quell'incidente di quella notte. Uno strano incidente dove un vecchio povero e solo era morto soffocato da una grossa mela mangiata troppo in fretta.

Eppure tanti bambini conobbero la storia dell'uomo in grigio, questa storia. Un anno ancora passò e fu pubblicato un libro: le tristi storie dell'omino in grigio. La cui autrice, che si firmava con lo pseudonimo di Regina delle mele, diceva di aver trovato un tesoro insieme agli originali di quelle storie.
ELIPIOVEX
00sabato 22 marzo 2008 21:27
Benvenuto e grazie del racconto!
Una bella storia, goduta fino in fondo.
Peccato per la punteggiatura, soprattutto nei dialoghi rende difficoltosa la lettura.
un@ltrame
00domenica 23 marzo 2008 09:31
mi è molto piaciuto.
in effetti, la punteggiatura può essere migliorata.
e una domanda: è corretto scrivere "Una finestra che dava sul cielo che nevicava" ? è il cielo che compie l'azione?
chi mi risolve il dubbio?
misterx78
00lunedì 24 marzo 2008 02:04
Le cose sono persone
Grazie dell'accoglienza, ELIPIOVEX!
E grazie di aver letto il mio racconto anche a te, un@ltrame!

'Sapete: oggi ero davvero nervoso. Sarà stata l'atmosfera pasquale, sarà stato il troppo mangiare, ma davvero, ogni volta che prendevo il coltello per tagliare qualche cosa, succedeva o che mi cadeva o che mi scivolava sul tavolo o che non riuscivo a tagliare il cibo! Una cosa incredibile!
Allora ho perso la pazienza e ho urlato al coltello: ma possibile che ce l'hai con me?'

'Ieri ho visto una ragazza brutta per strada. Aveva una Cinquecendo di quelle nuove in panne. Quello che mi ha colpito di più sono stati i riflessi dei suoi tacchi d'acciaio mentre colpiva i cerchioni della macchina.
E le urlava dietro: sei proprio una deficente!
Evidentemente aveva un pochino di fretta...'

'Mentre aspettava sull'uscio il ritorno del suo amico, Rosy era tutta un tremìto per il freddo. Cercò a quel punto di scrutare quelle strani luci che venivano da Sud. Proprio da sotto il portico. Ma ad un tratto il vento gli sbattè in faccia un urlo. Forse era successo quello che temeva...'

Questi sono esempi di come in prosa, ma anche e soprattutto nella poesia, si tenda a personificare le cose. L'uomo ha questa tendenza da sempre perché vede tutto in termini umani. Si pensi all'idea di Dio col barbone bianco da saggio, ad esempio.
Quindi mi sembra che portare una frase del tipo della finestra che dava su un cielo che nevicava ci starebbe.

Aggiungo che questo è un racconto breve buttato lì. Senza troppo starci su a pensare.
Mi interessano molto le critiche costruttive.

Grazie.
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