Joe il pazzo

Veleno_78
00martedì 23 ottobre 2007 21:26
Joe il pazzo

E' la notte di Natale.
Tutti i bambini sono al calduccio sotto le coperte a sognare i doni che la mattina troveranno sotto l'albero.
Tutti dormono.
Tutti, tranne uno.
C'è un bambino che si aggira per la città.
E' scalzo, indossa soltanto una maglietta piena di buchi e un vecchio paio di jeans strappati.
Ha freddo.
E sta piangendo.
Fuori soffia un vento gelido, un vento che preannuncia una nevicata coi fiocchi.
Il bambino cammina lentamente, calde lacrime gli scendono dalle guance.
E' solo.

Joe ha appena chiesto un altra birra.
E' la decima della serata.
Forse la quindicesima.
Non ricorda.
E' solo anche lui.
E ha freddo.
Joe è rimasto orfano all'età di nove anni, un incidente d'auto gli ha portato via entrambi i genitori.
Lui si salvò per miracolo.
Era la notte di Natale.
Una notte buia e fredda come questa.
Da quel giorno Joe fu allevato dalla sua unica zia, una persona arida di sentimenti.
Una persona che aveva il cuore freddo.
Joe aveva sempre amato il Natale, amava svegliarsi la mattina, trovare mamma e papà seduti vicino all'alberello addobbato a festa, trovarli sorridenti che lo aspettavano.
Amava i suoi genitori.
E ora odiava tutto.
Odiava il Natale, odiava i bambini che potevano ricevere felici i propri regali, odiava le luci delle città, odiava le vetrine addobbate a festa, odiava tutto.
Aveva odiato anche sua zia.
L'aveva odiata a tal punto che un giorno la uccise.
Era riuscito a far passare l'omicidio come un incidente, l'aveva leggermente spinta dalla scala sulla quale si trovava mentre puliva i vetri della finestra che dava sul balcone.
Un incidente ragazzi.
Ne succedono tutti i giorni.
Joe da quel giorno andò a vivere da solo, anche se la parola vivere non era del tutto azzeccata. Non aveva domicilio fisso, si arrangiava ogni tanto con qualche lavoretto, il più delle volte si arrangiava svuotando la borsetta di qualche vecchietta che aveva appena ritirato la pensione.
E beveva.
Rubava per bere.
Viveva per bere.
Ora, scolata la sua ultima birra, e infilate un paio di bottiglie di Beck's nella tasca interna del giubbotto, s'incamminò verso la panchina che gli avrebbe fatto da letto quella notte.
Non avrebbe avuto nessun regalo da scartare la mattina seguente.
Nessun sorriso gioioso lo avrebbe accolto.
Si sarebbe svegliato soltanto con un gran mal di testa, come tutte le mattine dell'anno.
Questa era la vita di Joe il pazzo.

Il bambino camminava, l'ora era tarda e in giro non c'era quasi nessuno.
Aveva incontrato poco prima una coppia di giovani fidanzati.
Erano entrambi abbastanza brilli.
Il bambino si era rivolto loro piangente, dicendo che aveva sete.
E fame.
Tanta fame.
I due lo avevano guardato in modo sprezzante, e gli avevano rivolto un sorrisino di scherno proseguendo poi per la loro strada.
Il bambino non aveva avuto la forza di ribattere, ed era rimasto a guardarli mentre si allontanavano barcollando, con i loro bei giubbotti firmati.
Con i loro bei giubbotti caldi.
Non disse nulla, ma continuò a piangere.
Eh sì gente, la notte di Natale sono tutti più buoni.
E' questo il mondo in cui viviamo.
Il mondo in cui viveva Joe il pazzo.

Joe proseguiva per la strada che lo avrebbe condotto alla panchina e pensava.
Pensava a quando, il giorno del suo ottavo compleanno, i suoi genitori gli avevano regalato il libro de "Il Signore degli Anelli".
Pensava a quante notti era rimasto sveglio a leggere, a quanto avrebbe desiderato essere un hobbit per scorrazzare felice per i prati.
A quanto avrebbe desiderato vivere in un'avventura.
Pensava che un giorno sarebbe potuto succedere.
Ma invece che in un'avventura, da quella maledetta notte di Natale di tanti anni fa, si ritrovò a vivere all'Inferno.
Camminava barcollando, ogni tanto tirava su col naso e piangeva.
Come se non bastasse le birre avevano iniziato a suonare il loro concerto nella sua testa.
Barcollava.
A un certo punto gli passarono di fianco altre due persone barcollanti.
Un ragazzo e una ragazza.
Joe li guardò, senza dire una parola.
Il naso gli gocciolava.
I due lo guardarono schifati, a Joe parve che la ragazza disse qualcosa tipo: "Ma guarda questo straccione, mi fa venire voglia di vomitare!"
Ma non le badò.
Forse non l'aveva nemmeno udita.
Forse erano state le birre a fargli udire quella frase.
O forse no.
Proseguì per la sua strada.
I due ragazzi fecero lo stesso.
Joe non sapeva che sulla sua strada avrebbe incontrato una persona.
Una persona che gli avrebbe cambiato la vita.
Il destino a volte riserva delle sorprese.
Quella notte Joe avrebbe incontrato il suo destino.

"Brutto figlio di puttana!"
La ragazza pronunciò quelle parole mentre una delle sue scarpe col tacco raggiunse il cofano dell'auto di Mike.
La ragazza si chiamava Mary e Mike era stato il suo ragazzo fino a cinque minuti prima.
Piantata la notte di Natale gente!
Allegria!
Mary raccolse la scarpa da terra, se l'infilò e poi si accucciò a terra,contro un'auto parcheggiata.
Piangeva.
Faceva un freddo cane, sicuramente avrebbe iniziato a nevicare da un momento all'altro ed era stata lasciata a piedi da Mike.
Era stata lasciata a piedi da Mike definitivamente.
Ma forse di questo non si rendeva ancora conto.
Si soffiò il naso, prese dalla borsetta il cellulare e fece per chiamare a casa, sapendo già che i suoi le avrebbero fatto una ramanzina.
Compose il numero.
Ma interruppe la chiamata subito.
Stava arrivando qualcuno verso di lei.
Qualcuno che piangeva.
Qualcuno che era scalzo.

Joe sentì l'urlo disperato mentre era oramai arrivato alla panchina.
Sul momento pensò che l'urlo fosse nella sua testa, che le birre si stessero divertendo ancora un po' a prenderlo in giro.
Ma non era così.
Era un urlo che faceva gelare il sangue nelle vene, era un disperato grido d'aiuto.
Il grido di una ragazza.
Joe iniziò a correre.
Ed arrivò in perfetto orario all'appuntamento col suo destino.

Quando vide la scena pensò di essere completamente partito con la testa.
Pensò che stavolta doveva davvero aver esagerato con le birre.
Ma questo pensierò durò lo spazio di un secondo.
La scena che gli si presentò davanti era reale.
Ed era orrenda.
Un bambino era seduto a cavalcioni su una ragazza, la ragazza urlava disperata.
La ragazza tentava con tutte le sue forze di tenere lontano il bambino da lei.
Di tenere lontano il viso del bambino dal proprio collo.
Joe vide il viso del bambino.
E dovette lottare per ricacciare in gola un conato di vomito.
Il viso del bambino era quasi senza forma, era un mucchio di carne sanguinolenta e putrescente, gli occhi erano di un rosso vermiglio, e i denti... oddio mio i denti!
Erano aguzzi come quelli di una tigre, i canini erano poi di una lunghezza spaventosa, sembravano sfidare l'immaginazione.
Sembravano sfidare la realtà.
Ed erano a dieci centimetri dal collo della ragazza.
Joe non perse un attimo di tempo, prese una delle bottiglie di Beck's dalla tasca del giubbotto e si avventò contro il bambino.
Contro la creatura.
Contro la cosa che non sarebbe dovuta esistere.
Gliela ruppe violentemente in testa, la ragazza fu inondata di birra e il mostro le lasciò il collo.
L'urlo di dolore che cacciò il mostro fu qualcosa di disumano.
Qualcosa che sembrava un miagolio, ma un miagolio di un gatto alieno.
Qualcosa che non era di questo mondo.
"Scappa, muoviti!"
Joe rivolse queste uniche parole alla ragazza, che non se lo fece ripetere due volte e se ne andò a gambe levate senza dire una parola.
Joe la vide sparire poco dopo dietro l'angolo.
E rimase solo son la creatura.
questa si rialzò poco dopo, ed ora non aveva più le sembianze di un mostro.
Ora davanti a Joe c'era il viso di un bambino, un bambino che piangeva.
e diceva di avere fame.
"Perchè l'hai fatto signore?"
"Perchè non mi hai lasciato mangiare? io sono sempre da solo, non mangio quasi mai, perchè sei stato tanto cattivo? Non avrei fatto alcun male a quella ragazza, l'avrei solamente fatta diventare come me, l'avrei fatta diventare la mia mamma..."
"Io non ho mai avuto una mamma, e nemmeno un papà... sono sempre stato da solo, non ho mai avuto la gioia di un sorriso, di un abbraccio, di una mano che mi accarezzasse la testa, non ho mai avuto nessuno che mi augurasse buon Natale o che mi facesse un regalo, perchè l'hai fatto signore?!"
"Perchè?!"
La cosa-bambino piangeva disperata, nel suo discorso illogico e pazzoide Joe ci trovò qualcosa di logico.
Qualcosa che in parte aveva provato sulla propria pelle.
Qualcosa che gli fece rivoltare lo stomaco e sorridere allo stesso tempo.
Sì, Joe il pazzo ora stava sorridendo.
Quand'era stata l'ultima volta che aveva sorriso?
Non se lo ricordava, troppo tempo era passato.
Joe si avvicinò alla cosa-bambino, gli mise una mano sulla testa e gliel'accarezzò.
"Dimmi una cosa piccolo... i tuoi dentini fanno tanto male o si sente appena appena un pizzicorino?"
La cosa-bambino chinò un attimo il capo e poi disse con una vocina flebile: "Non fanno male signore... solo un pizzicorino, come dice lei."
E sorrise.
Un sorriso dolce e caldo.
Joe ricambiò il sorriso.
"Ti piacerebbe avere un papà, piccolo?"
La cosa-bambino a questo punto allargò il sorriso e mutò ancora forma, ridiventando il mostro che era stato fino a poco prima.
"Sì papà"
Ora parlava come se avesse la bocca piena di alghe.
"Sì papà, non farà male vedrai... non farà male..."
I suoi denti spaventosi si avvicinarono al collo di Joe.
Joe chiuse gli occhi, il suo sorriso si allargò.
Ripensò a sua madre, a suo padre, a sua zia, agli hobbit e alle fantastiche avventure che vivevano nelle foreste.
La sua avventura stava per iniziare in quella fredda notte di Natale.
Il vento si fece più gelido, e i primi fiocchi di neve iniziarono a scendere dal cielo.
ELIPIOVEX
00martedì 23 ottobre 2007 21:56
un po' inquietante questo bambino-coso.
Alla fine non ho capito cos'era ma sinceramente non so se vorrei saperlo.
Hai comunque la capacità di tenere incollate le persone al video fino alla fine.
Veleno_78
00martedì 23 ottobre 2007 22:04
No, forse è meglio se continui a non sapere di che cosa si tratta.
Anche perchè ha ancora fame.
E cerca ancora una mamma.
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