Impara un'arte e mettila da parte (Fiaba persiana)

badina
00mercoledì 30 maggio 2012 10:17

Lo scià di Persia aveva cinquanta mogli ma un unico figlio di nome Achim.
Il principino era orfano della madre naturale perché l’ultima delle mogli dello scià, una giovanissima principessa circassa, morì nel darlo alla luce. In compenso era teneramente amato dalla sua balia e dalle altre quarantanove mogli del padre che, con sollecitudine materna, sorvegliavano sulla sua crescita, la sua salute e la sua educazione.
Le principesse provenivano da tutti i paesi del mondo allora conosciuto e ognuna di esse era particolarmente versata in un’arte o in una scienza, per cui decisero di insegnare ad Achim tutto il loro sapere perché diventasse, in futuro, un re saggio e sapiente e superasse, per fama, la saggezza del grande re Salomone.
Così il piccolo Achim imparò l’arabo, il latino, il greco e tutte le lingue delle sue madri adottive e studiò la storia, la geografia, la matematica, la filosofia, la botanica, l’astronomia e tutte le scienze e le arti che le principesse vollero insegnargli.
Dalla sua balia cristiana imparava ad essere gentile con tutti e ad amare il prossimo.
Lo scià suo padre era fiero di questo ragazzo intelligente e sapiente ma gli sembrava che alla sua educazione mancasse qualcosa.
Era tradizione nella famiglia reale che ogni principe imparasse un mestiere, un lavoro artigianale che oltre alla mente impegnasse anche il fisico di chi lo praticava. Lo scià stesso era un valente falegname e i suoi fratelli erano sarti, fabbri, calzolai e vasai. Tutto questo perché un indovino aveva predetto che un principe si sarebbe salvato grazie al suo lavoro di artigiano.
“Impara un’arte e mettila da parte” aveva consigliato l’indovino al bisnonno dello scià. Ecco cosa mancava ad Achim per completare la sua educazione. Così il nostro principe, quando raggiunse i sedici anni, fu messo a bottega presso il più famoso fabbricante di tappeti di Persia e lì, a poco a poco, imparò a tessere i tappeti.
In un paio d’anni di apprendistato Achim aveva superato il suo maestro. I suoi tappeti, infatti, erano splendidi e originali.
In ognuno di essi era riconoscibile lo stile del principe Achim. Le storie che venivano raccontate erano ricche di particolari e i colori erano vivaci e brillanti. Le figure erano così reali e perfette da sembrare vive.
Immaginate la disperazione più nera in cui piombò la corte dello scià quando un tal principe venne rapito dai briganti. Lo scià si chiuse nelle sue stanze e non volle vedere nessuno per una settimana; nell’arem le regine presero il lutto e non facevano che piangere e gemere in continuazione; il popolo era triste e sconsolato.
I rapitori chiesero un riscatto di mille monete d’oro e il primo ministro mise una taglia di cento monete d’oro sui briganti ma del principe nessuna notizia.
Achim rimase per un giorno, solo e bendato in una grotta, poi iniziò ad incontrare e a parlare con i suoi rapitori e dopo un mese li convinse a portargli della lana colorata con cui avrebbe tessuto dei tappeti che avrebbero potuto vendere al mercato e ricavare dei soldi, in attesa del riscatto.
I rapitori non sapevano dell’abilità del principe e si meravigliavano nel vedere i capolavori che uscivano dalle mani del giovane. Nei tappeti, Achim aveva raccontato la storia del suo rapimento e indicato il luogo dove si trovava nascosto, ma questo i briganti non lo capirono perciò rimasero male quando andarono, su consiglio di principe, dal vicerè per vendergli i tappeti e furono arrestati.
Il viceré, infatti, aveva riconosciuto nei tappeti lo stile di Achim e li aveva portati subito allo scià e alle regine che avevano decifrato la storia. Lo scià mandò delle guardie a liberare suo figlio dalla grotta in cui si trovava e benedisse il proverbio: “Impara un’arte e mettila da parte”.

Fiaba persiana

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