Il prete ubriacone

ciaoLili
00giovedì 27 dicembre 2007 16:11
Il prete ubriacone

L’unica chiesa che un tempo era stato il centro d’incontro e di aggregazione del piccolo borgo medioevale, era ormai chiusa da tempo. Circa tre mesi. Ma gli abitanti quasi non ci avevano fatto caso. Tre mesi da quando don Luigi, l’anziano parroco era morto all’improvviso.
L’aveva trovato a terra morto e indurito da almeno un giorno e mezzo, inzaccherato in un maleodorante laghetto di vomito di vino rosso, Antonio il sacrestano, che don Luigi aveva accolto molti anni prima in canonica per dargli una mano a tirarsi fuori dalla tossicodipendenza dopo aver trascorso un periodo di recupero in una comunità .
Il piccolo borgo non aveva sentito la mancanza di don Luigi che da troppo tempo ormai, si era legato alla bottiglia. L’allontanamento dei parrocchiani era avvenuto in maniera graduale, all’inizio quasi inavvertitamente.
Il sacerdote s’accorgeva che le sue omelie rimanevano inascoltate, suscitavano sonnolenza, e pochi ormai s’accostavano al sacramento della comunione.
Probabilmente egli, quando si rivolgeva ai fedeli, non riusciva a trasmettere con le sue povere parole di modesto pretucolo, entusiasmi e speranze che potessero accrescere o suscitare la fede nel Signore. Né si prodigava in iniziative valide ad attirare i ragazzi e i pochi giovani del paesino, distratti da altre curiosità e affascinati e plagiati da ulteriori forme di consumismo accattivante che giungevano dalle nuove tecnologie penetrate nelle case per insinuarsi pian piano negli animi fragili.
Lentamente la chiesa unica ed antica del borgo sempre più solitaria, si svuotò della presenza di Dio.
Diventò tetra e muta e scura.
Lo stesso don Luigi, non Lo aveva più dentro di sé e cercò di colmare quest’ assenza, questa disperazione, aggiungendo di tanto in tanto sulla sua parca tavola, un bicchiere di vino in più , sì che si ritrovò alcolista senza accorgersene in un lasso di tempo nemmeno tanto lungo.
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Proprio nel giorno della sua morte, nel duomo del capoluogo di regione, un giovane disteso a terra con le braccia aperte e la cotta bianca merlettata, riceveva dal suo vescovo, l’ordinazione sacerdotale in grande ed umilissimo raccoglimento. Si chiamava don Gabriele e già dal giorno seguente fu inviato come vice-parroco in un quartiere della città. Ma vi rimase per poco. Dopo appena tre mesi infatti venne nominato parroco dell’ abbandonata e solitaria parrocchia del povero e non rimpianto don Luigi.
Arrivò accompagnato in macchina dai familiari, con valigia e pacchettini vari di libri ed altri oggetti a lui cari, ma sempre più o meno legati al suo servizio sacerdotale.
Era visibilmente in ansia.
Chissà, pensava, come sarebbe stato accolto. Chissà se paragonandolo al suo sconosciuto predecessore, lo avrebbero giudicato all’altezza del compito. Sperava nei sorrisi degli abitanti il povero piccolo Don Gabriele.
Ma la sua meraviglia fu grande e dolorosa, quando si accorse che ad accoglierlo non c’era nessuno.
Niente giudizi, niente sorrisi …
Niente.
Poteva andare peggio? No.
Entrando nella vecchia e malandata canonica, si guardò intorno e tutto sembrava essere abbandonato alla malora, la polvere regnava incontrastata anche sulle numerose bottiglie di vino che sembravano primeggiare in quella cucina dove l’abbandono e la povertà erano evidenti.
Nell’orto sottostante un uomo smuoveva piccole zolle di terra intorno a sparuti mazzi d’insalata verde : era Antonio, che non s’aspettava quell’arrivo e nemmeno lo udì.
Calava la sera, e don Gabriele pensò che fosse giusto rimandare al domani ogni progetto finalizzato a restituire alla chiesa tutte quelle funzioni per cui avesse motivo d’esistere. Era il 22 dicembre, il Natale era vicino.
La mattina seguente, il buon pretino si armò di buona volontà ed andò a vedere cosa occorresse alla chiesa affinché fosse in grado d’essere aperta onde accogliere degnamente i fedeli per il santo Natale.
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Cominciò a spazzare e lavare il pavimento, a ripulire i banchi alquanto rotti e malridotti, rientrò in canonica per lavare le vecchie tovaglie ricamate ma lise e bucate che erano diventate scurissime e le stese ad asciugare dinanzi al focolare dove egli stesso aveva acceso il fuoco, cercò il vecchio ferro da stiro…per oltre mezza giornata dimenticò di bere e di mangiare, ritornò trionfante all’altare per ricoprirlo con le tovaglie asciugate e stirate e con gli oggetti sacri utili alla celebrazione della messa, La Bibbia, i candelabri, la pisside, il turibolo…insomma fu instancabile, volle far la prova delle luci, indispensabili per la messa della mezzanotte…ma le luci non si accesero, tutto l’impianto era ormai guasto…cercò la chiave del tabernacolo per assicurarsi che ci fossero ben custodite le ostie consacrate, la trovò dinanzi alla porticina ma nell’infilarla nella serratura rimase bloccata, forse perchè arrugginita,
si guardò intorno avvilito, è vero c’era Antonio che lo stava aiutando, ma non poteva bastare, non ce l’avrebbe fatta a rimettere a posto ogni cosa e poi…quella solitudine…nessun abitante si era accorto di lui…o forse sì ma non se ne importava…e poi quel silenzio che lo annichiliva…quasi come se Dio se ne fosse andato via per sempre.
Allora mentre calava la sera e la chiesa diventava scura, don Gabriele si sentì piccolo piccolo, impotente, avvilito, disperato…cadde in ginocchio ed un pianto silenzioso lo fece gemere in parole balbettanti di dolore…
Fuori, sul sagrato della chiesa dalle porte appena socchiuse, un gruppo di ragazzetti, si era improvvisato a prendere a pedate una lattina vuota d’aranciata, quando dalla chiesa s’udirono provenire rumorosi singhiozzi che interruppero il gioco:
i singhiozzi del povero don Gabriele, avevano cominciato ad urtare le pareti delle navate, e rimbalzavano da un punto all’altro della chiesa come fossero echi fra le pareti rocciose delle montagne circostanti.
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I ragazzi ne furono stupiti ed incuriositi entrarono e si intenerirono nel vedere quel sacerdote piangente, inginocchiato in solitudine.
Tornarono nelle loro case a raccontare l’accaduto che li aveva colpiti.
Intanto don Gabriele, piangendo e pregando, sollevò il capo che fino ad allora aveva tenuto fra le mani, e si accorse d’un fatto strano: piccoli raggi di luce trapelavano dalle fessure del tabernacolo che poco prima, invano aveva tentato d’aprire.
Vi si accostò di nuovo e, presa la chiave la infilò e stavolta la porticina s’aprì subito, mostrando il calice colmo di ostie consacrate.
A don Gabriele la cosa sembrò prodigiosa…ma ancora una sorpresa l’attendeva :
una folla di donne e uomini e ragazzi rispettosamente a passi silenziosi entrò nella chiesa e da quel momento tutti cominciarono a collaborare in vario modo.
Giunse la sera del Natale e la chiesa fu scintillante di luci, il paesino si raccolse intorno al nuovo sacerdote in una messa solenne, perfino l’organo suonò : la chiesa fu piena di Dio!
Al termine don Gabriele si trattenne sul sagrato ancora commosso per tutto quanto era avvenuto, quasi prodigiosamente.
Un ragazzino gli chiese :
-Padre, faremo un bell’albero di Natale?
E don Gabriele indicando l’orizzonte lontano :
-Certo! Ma intanto guarda il Signore quanti alberi di natale ci sta regalando-
Sul crinale della collina, una fila di abeti si stagliava sullo sfondo del cielo notturno e le stelle brillavano tra i folti rami bianchi di neve.
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Lili [SM=x142909] - da: "Un presepe di parole" ed.FAIDATE

ciaolili.splinder.com
ELIPIOVEX
00giovedì 27 dicembre 2007 16:24
Anch'io mi sono commossa come Don Gabriele di fronte a questo piccolo miracolo del Signore.
Una bella storia di Natale! [SM=x142938]
Cobite
00giovedì 27 dicembre 2007 17:50


La gente ha sempre un cuore, ci vuole chi lo sa scoprire e chi coltivare.

Bellissima storia, molto più vera di quel che immagini tu stessa.

Complimenti. [SM=x142874]

[SM=x142892] Giancarlo


fiordineve
00martedì 29 gennaio 2008 17:51


Un affresco incantevole!

Ho conosciuto, per mia fortuna, tanti don Gabriele e pure altri tronfi e menegreghisti.


Questo racconto mi dà la forza di continuare a sperare. [SM=x142897] [SM=x142917]
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