2^ parte
INIZIO DELLA STORIA
I
«È un bisogno vitale per me, qualcosa d’indispensabile. Vedere gli altri amarsi, baciarsi, abbracciarsi e non poter fare lo stesso solo perché non hai la ragazza… capisci Gio’? Mi chiedo se l’avrò mai una ragazza…»
Seduto all’ombra di un grande platano strappava fili d’erba nervosamente.
«Io non ne dubito» disse la ragazza guardandolo attenta. Sembrava conoscere i suoi pensieri, i suoi patimenti d’animo più di quanto lui immaginasse.
«Eppure la voglia d’amare ce l’ho! Ho la disponibilità, ho la sensibilità, l’intelligenza, avrei tanto da dare… ma non ho la ragazza! Sapessi che fuoco che c’ho dentro… è un’esigenza, un dolore che mi divora inesorabilmente. Non vedo altra via d’uscita che trovare una ragazza che mi ami sul serio. Il bello è che ogni volta che stringo una conoscenza mi ritrovo invariabilmente poi con un’amicizia! Amore: zero!»
«E ti sembra poco? È una cosa importante. Lo sai che sei il mio migliore amico? Lo sai che non ho mai confidato a nessuno le cose che ho detto a te?» disse lei risentita.
«Già, ma non ho altro. Di affetto neanche a parlarne» replicò lui.
«Adesso stai dicendo più stupidaggini di Grand Hotel.»
«E che ne sai tu? A me succede così, tanto che mi sto convincendo di aver ragione per quella maledizione di cui ti parlai.»
«Quella “fissa” su di un qualcosa che impedirebbe alle ragazze d’innamorarsi di te? Mi sembra che la chiami “la maledizione invisibile”.»
«Esatto!» disse Stefano a voce alta come a sottolineare la serietà della cosa. «Infatti sono tutte conoscenti, al massimo amiche, confidenti, ma nessuna che ti dà, che so… un abbraccio, un bacio…» improvvisamente fu preso tra le braccia di Giorgia con una tale determinazione, e fu baciato con una tale forza, da rimanere senza fiato.
«Gio’!» esclamò.
«Che c’è, non t’è piaciuto?» disse lei un po’ preoccupata.
«No, anzi, è… che non me l’aspettavo.»
Lei si oscurò in volto. «Stefi, forse non credi che ti voglia bene?»
«Non è questo, vedi, è che non ti consideravo investita in prima persona nel discorso.»
«Lo credo bene» riprese Giorgia sollevata, «non sono mica un’amica qualsiasi!»
Lui sorrise. «Per me sei anche qualcosa di più, di diverso: l’amica, la sorella. Ma…»
«Ma?» chiese, delusa dall’esitazione.
«Non mi basta.» Indugiò con lo sguardo rivolto in basso verso i fili d’erba che aveva strappato prima di proseguire. «Troppe delusioni, troppe batoste dalle ragazze. Più sei te stesso, più sei sincero e meno riesci a… non è giusto, ecco! Sì, potrei anche accettare dei compromessi, potrei accontentarmi della loro amicizia e dire “meglio l’amicizia che niente”, ma non mi basta. Sai che ti dico, credo che ci provino gusto a diventarmi solo amiche, forse si divertono alle mie spalle…»
«Stefano!» l’interruppe severamente Giorgia. «Non continuare a torturarti in questo modo, lo sai che non è affatto così: sono solo delle tue fissazioni.»
«Non ci credi?» urlò con gli occhi da pazzo. «Me ne frego! Perché è come dico io, e nessuno può capire!» E si allontanò correndo per i prati di Villa Borghese per non lasciare spazio a Giorgia di replicare.
«Stefano! Stefano…» troppo tardi, era già lontano. Se l’era presa e adesso non c’era niente al mondo che lo potesse far tornare sui propri passi.
Giorgia non riusciva ad accettare questi suoi atteggiamenti da “vittima del destino”. Credeva in lui. Era così spontaneo, sincero… speciale era la parola giusta. No, un altro Stefano non esisteva. Certo era stato offensivo nei suoi confronti con quel suo “non mi basta”: che c’entrava? E poi questa fuga… senza contare che aveva fatto filone a scuola (c’era una lezione a cui ci teneva) per lui. Nonostante tutto lo capiva, non è che fos-se arrabbiata, le dispiaceva che se ne fosse andato bruscamente, d’altro canto che pote-va farci? Piuttosto, quella sua sfiducia in se stesso… ecco, quella non riusciva proprio a mandarla giù. Sapeva che Stefano era un tipo capace veramente di “dare”, ed un giorno ce l’avrebbe fatta ad uscire da quest’impasse, ne era certa.
Seduti sulla panchina del molo, il mare aperto alle spalle, completamente soli nel panorama crepuscolare, parlavano giocavano e ridevano in dolce armonia. Tutto in lei era allegria, gioia, partecipazione alla vita; tutto in lui felicità, accettazione della realtà e della bellezza.
Stefano si svegliò con la sensazione di tornare dall’infinito, di essersi perso in qual-cosa di più grande di lui, qualcosa di bellissimo, di recondito e di assoluto, indefinibile persino a se stesso.
Dio mio — pensò con una sensazione struggente di nostalgia — quanto era bello! Quanto era semplice essere felici…
Con amarezza si ricordò che era quasi un anno che non l’aveva più cercata, e lei non si era fatta viva, forse per rispetto della sua decisione o per pudore. Un’amica così, rifletté, l’aveva cercata dalla notte dei tempi. Quanto gli aveva dato in fiducia, in affetto: nemmeno una vera sorella si sarebbe prestata così incondizionatamente. In quel momento capì tutto, si alzò di scatto e sul primo foglio che gli capitò scrisse:
“Ho cercato per tanto tempo e in tanti luoghi…”
Fu come un fulmine a ciel sereno. Erano le parole che la sua anima reclamava dal fondo, era una cascata luminosa… Giorgia inspirò profondamente, lentamente: avrebbe dovuto leggerla tutta. Ma uscì da casa e corse senza pensarci su. Con la lettera in mano di Stefano che aveva trovato infilata nella cassetta e che non era riuscita a terminare, correva per la città, quando finalmente arrivò alla porta del suo amico ritrovato.
Aprì la madre.
«Buongiorno signora» riuscì a dire trattenendo il fiatone per la corsa fatta. «C’è Ste-fano?» concluse dopo un secondo di pausa.
La donna che conosceva Giorgia solo di vista rimase un po’ incerta anche per l’orario, le otto e mezza del mattino, che di domenica era dedicato al sonno. Dovette intendere che erano cose serie anche se di ragazzi.
«Entra, è nella sua cameretta.»
Non se lo fece ripetere due volte ed entrò. Stefano dormiva, lei richiuse la porta e si pose su di lui, dolcemente per non svegliarlo, poi non riuscì a trattenersi e lo strinse a sé con un abbraccio che per forza di cose comprendeva lenzuola, cuscino e coperte. Prima ancora che lui potesse rendersi conto se stesse sognando o meno, lei gli sussurrò: «Credevo che te la fossi presa così tanto da avercela con me per sempre. Io ti voglio bene.» Poi pianse.
«Anch’io te ne voglio» farfugliò tra veglia e sonno. Poi, un po’ più sveglio, le sorrise e le domandò: «Allora, ci stai?»
«Non so a cosa ma la risposta è sì» rispose felice lei, «con te verrei sino in capo al mondo.»
«Mi riferivo al “bene che non si dovrebbe fermare…”»
«Oh Stefi» riferì candidamente, «non l’ho finita, mi spiace. Era troppo per me, a un certo punto non ce l’ho fatta a continuare e…»
«Non importa,» l’interruppe lui abbracciandola più intensamente. «Anzi, sai che facciamo, piccola? Stiliamo il nostro patto di non belligeranza.»
«Che bello, mi piace l’idea.»
«Hm… nè fame nè peste, nè guerra nè morte, fermeranno…»
«Forse è più semplice “niente e nessuno”» lo corresse dolcemente lei. «E al posto di “fermeranno” possiamo concludere con un “potrà distruggere quello che di bello c’è fra noi”, perché non credo che qualcuno possa davvero ostacolarci: nessuno può distruggere quello che c’è fra noi se noi non lo vogliamo, non ti pare?»
«Giusto!» asserì convinto. «Dunque, riassumendo, “niente e nessuno potrà distruggere quello che di bello c’è fra noi, se noi non lo vogliamo”, va bene così?»
«L’ultima frase era solo una mia spiegazione… ma sì, va bene lo stesso, rende ancora meglio»
«Allora è andata!» esclamò Stefano. «Sarà il nostro “manifesto”. A proposito, come definiresti quel “che di bello c’è fra noi”?»
«Perché definirlo, Stefi? Puoi metterci tutto quello che ti pare: il bene, l’amicizia, la vita, l’amore. Gesù non disse forse che non c’è amore più grande di quello che dà la vita per i suoi amici? Non ha mica detto per la madre, i parenti, i compagni di partito o il fidanzato, ma per i suoi amici.»
Stettero in silenzio. Quel rapporto, sentivano, non era fine a se stesso. Poi Giorgia ruppe l’atmosfera. «Mi suoni Yesterday?»
«Cristo!» esclamò sbigottito Stefano. «È proprio quello che t’avevo scritto alla fine della lettera…»
«Che non ho finito di leggere…» osservò lei altrettanto sbigottita.