IL QUADERNO VERDE (romanzo)

Stefano Starano
00martedì 13 maggio 2008 21:08
1^ parte
PROLOGO
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Finalmente Roma.
Dodici ore con unico scalo a Milano. Due film, due pasti ed un ragazzo simpatico sul sedile accanto che non aveva mai volato e che, come lei, era di S. Francisco e veniva per la prima volta in Europa. Gli aveva lasciato il suo recapito di Roma: davvero carino.
Non male come volo, pensò Paola, ma al momento di slacciarsi le cinture il pen-siero ritornò al miglior amico della madre.
Era ancora lo stesso uomo della fotografia? Ventun anni erano ventun anni, ri-fletté, e questo significava che lui oggi doveva averne sui 44.
Nell’unica foto che le aveva lasciato sua madre, lui ne aveva 23: poco valido come elemento di riconoscimento…
La ragazza tornava spesso con la mente a questo Stefano, su come potesse essere oggi, su che tipo di persona e d’amico potesse mai essere stato per la madre. Lei ne parlava più che di qualsiasi altro: questo dettaglio adesso la faceva riflettere.
Bene, pensò, ora conoscerò questa persona e saprò se è ancora la persona della foto, foto che, tra l’altro, risale, anno più anno meno, all’epoca in cui sono nata io.
Stava scendendo la scaletta del Boeing 747 già madida di sudore. Faceva molto più caldo che in California. Improvvisamente la curiosità che quest’incontro le su-scitava entrò nella sua consapevolezza: le vacanze in Italia erano poco più che un pretesto… lo scopo principale era lui.
«Salve!» la salutò l’uomo. Era alto, snello, capelli castani appena spruzzati di un bianco che infondeva un senso di sicurezza. «Sono Stefano Starano, e tu sei la piccola Paola Sanford, giusto?»
«Be’,» sorrise sorpresa di essere stata riconosciuta così facilmente «a parte il “piccola” direi di sì.»
«Anche tua madre se la prendeva quando le dicevo piccola» e la guardò con in-consueta tenerezza.
«Da piccola, cioè da giovane, era molto simile a me?» chiese Paola.
«Diciamo che sei tu che le somigli» precisò lui, e risero entrambi. «Ad ogni modo trovo che parli splendidamente la nostra lingua.» Gli erano bastate poche frasi per intuire il tipo di ragazza: mentalmente pronta e che sa come cavarsela.
«Grazie!» rispose lei. «La mamma non ha mai permesso che si perdesse l’uso dell’italiano in casa, anche se era in minoranza. Diceva che era un bene culturale da custodire e che poteva tornarmi utile un giorno…»
Lui le prese la valigia più pesante e s’incamminarono verso l’auto. Durante il tragitto Stefano le domandò che programmi avesse per questa vacanza.
«Puoi rimanere tutto il tempo che vorrai, la mia casa è a tua disposizione, anche se non avrò molto tempo per stare con te.»
«Oh, è già tanto che sia stato così gentile a ospitarmi. Quando le ho scritto che volevo visitare l’Italia… Non pensavo che accettasse. Oggi ne approfitto per ripo-sare un po’ e poi girerò la città con un ragazzo che ho conosciuto in aereo. Dopo si vedrà.»
«Vedo che sai come organizzarti, picc… hm… Paola. Bene, almeno non avrò la tua noia sulla coscienza.»
Lei fece un risolino divertita.
Nessuno dei due parlò di Giorgia.
La mattina seguente aveva deciso di vedere cosa c’era lassù nella libreria. Era sua abitudine lasciare la porta socchiusa. Aveva notato così, la sera prima, che Stefano si era portato con una scaletta nella parte alta di una grossa libreria nel soggiorno, estraendo un quaderno verde. La luce del soggiorno (che era posto nel corridoio di fronte alla sua cameretta) filtrava dallo squarcio rimasto aperto. Era rimasta accesa tutta la notte. La cosa non era passata inosservata in quanto, a causa del fuso orario, aveva avuto problemi ad addormentarsi. Si chiedeva che cosa potesse contenere questo quaderno da mantenerlo occupato un’intera notte: era davvero cu-riosa.
Si sentiva un po’ in colpa ma era sicura che ci fosse qualcosa di importante. A-desso che Stefano non stava in casa era il momento buono per darci una sbirciata.
Il quaderno verde era stato riposto. La scaletta sembrava sistemata bene. Salì. Era un po’ più distante di quel che sembrava, tentò comunque di prendere il quaderno ma quasi cadde.
La ragazza, ancora spaventata, osservò l’unica cosa che fosse riuscita ad afferrare: un foglio ripiegato ingiallito dal tempo che sporgeva dal quaderno verde.
Lo lesse:
“Ho cercato per tanto tempo e in tanti luoghi, mi sono reso conto che l’aver tro-vato una persona come te è stato un evento unico nella mia vita. In tutto questo tempo che non ci siamo visti io ti ho voluto bene lo stesso, forse di più. Non temere, non ti lascerò: potrò avere ancora degli scatti, ma ritornerò, SEMPRE. Non è possibile lasciarsi così: il bene che io ti voglio, e che so che tu mi vuoi, non si dovrebbe fermare davanti a niente. Tu sai che ho fiducia in te ed io so che tu ne hai in me. Non fermiamoci di fronte a queste barriere poste dai nostri limiti, piuttosto cerchiamo di abbatterle e andiamo avanti. Solo così si può veramente costruire qualcosa insieme. Spero che la pensi così anche tu, anzi no (che cretino) ne sono si-curo.
P.S. Sto elaborando una mia nuova versione di Yesterday, vorrei fartela sentire, ci stai?”
La lettera portava la data di circa 26 anni prima.
Per qualche minuto Paola rimase intorpidita, incapace di pensare ad altro: era commossa e non solo, provava qualcosa che non riusciva a definire. Tornata len-tamente in sé pensò che s’era immersa troppo: non era lei la destinataria della let-tera, dopotutto.
Sistemò di nuovo la scaletta, questa volta con più precisione, e raggiunse l’ultimo scaffale: era zeppo di quaderni, fogli, bobine di un vecchio modello di registratore che stava più in basso. Era tutto materiale che parlava di lui e di quegli anni sessanta settanta che costituivano la sua giovinezza. Cominciò dal quaderno verde.
Fu come aprire una “porta del tempo” e, catturata dalla magia di quegli anni, s’immerse in quelle testimonianze esitando con riverenza, consapevole che stava per entrare nella storia, anzi nella vita, della persona che la stava ospitando.
In realtà era anche la storia di sua madre.
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ELIPIOVEX
00martedì 13 maggio 2008 22:30
Paola, Paola non è che questa curiosità ti farà male?
Stefano Starano
00martedì 13 maggio 2008 23:15
Paola
Paola è una bella persona per quanto giovane.
E' studentessa di psicologia all'Università di Stanford (Palo Alto, California - non molto lontano da S. Francisco).
Ha approfondito comunque anche le materie di neoanalisi, psicologia umanista e sociale, comportamentismo, economia sociale, neuroscienze, chimica del cervello… di tutto quello che concerne le scienze cognitiviste.
Credo che intellettualmente sia abbastanza "corazzata" verso le incognite della vita: certo, con un giovane non si può mai dire.
Io comunque non lo so con certezza, la mia è una supposizione che si basa sulle caratteristiche della persona e sul suo back-ground, sul suo retroterra culturale.
Penso comunque di aver centrato abbastanza l'individuo, poi ai lettori l'ardua sentenza.
Stefano Starano
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Stefano Starano
00giovedì 15 maggio 2008 15:44
2^ parte
INIZIO DELLA STORIA
I

«È un bisogno vitale per me, qualcosa d’indispensabile. Vedere gli altri amarsi, baciarsi, abbracciarsi e non poter fare lo stesso solo perché non hai la ragazza… capisci Gio’? Mi chiedo se l’avrò mai una ragazza…»
Seduto all’ombra di un grande platano strappava fili d’erba nervosamente.
«Io non ne dubito» disse la ragazza guardandolo attenta. Sembrava conoscere i suoi pensieri, i suoi patimenti d’animo più di quanto lui immaginasse.
«Eppure la voglia d’amare ce l’ho! Ho la disponibilità, ho la sensibilità, l’intelligenza, avrei tanto da dare… ma non ho la ragazza! Sapessi che fuoco che c’ho dentro… è un’esigenza, un dolore che mi divora inesorabilmente. Non vedo altra via d’uscita che trovare una ragazza che mi ami sul serio. Il bello è che ogni volta che stringo una conoscenza mi ritrovo invariabilmente poi con un’amicizia! Amore: zero!»
«E ti sembra poco? È una cosa importante. Lo sai che sei il mio migliore amico? Lo sai che non ho mai confidato a nessuno le cose che ho detto a te?» disse lei risentita.
«Già, ma non ho altro. Di affetto neanche a parlarne» replicò lui.
«Adesso stai dicendo più stupidaggini di Grand Hotel.»
«E che ne sai tu? A me succede così, tanto che mi sto convincendo di aver ragione per quella maledizione di cui ti parlai.»
«Quella “fissa” su di un qualcosa che impedirebbe alle ragazze d’innamorarsi di te? Mi sembra che la chiami “la maledizione invisibile”.»
«Esatto!» disse Stefano a voce alta come a sottolineare la serietà della cosa. «Infatti sono tutte conoscenti, al massimo amiche, confidenti, ma nessuna che ti dà, che so… un abbraccio, un bacio…» improvvisamente fu preso tra le braccia di Giorgia con una tale determinazione, e fu baciato con una tale forza, da rimanere senza fiato.
«Gio’!» esclamò.
«Che c’è, non t’è piaciuto?» disse lei un po’ preoccupata.
«No, anzi, è… che non me l’aspettavo.»
Lei si oscurò in volto. «Stefi, forse non credi che ti voglia bene?»
«Non è questo, vedi, è che non ti consideravo investita in prima persona nel discorso.»
«Lo credo bene» riprese Giorgia sollevata, «non sono mica un’amica qualsiasi!»
Lui sorrise. «Per me sei anche qualcosa di più, di diverso: l’amica, la sorella. Ma…»
«Ma?» chiese, delusa dall’esitazione.
«Non mi basta.» Indugiò con lo sguardo rivolto in basso verso i fili d’erba che aveva strappato prima di proseguire. «Troppe delusioni, troppe batoste dalle ragazze. Più sei te stesso, più sei sincero e meno riesci a… non è giusto, ecco! Sì, potrei anche accettare dei compromessi, potrei accontentarmi della loro amicizia e dire “meglio l’amicizia che niente”, ma non mi basta. Sai che ti dico, credo che ci provino gusto a diventarmi solo amiche, forse si divertono alle mie spalle…»
«Stefano!» l’interruppe severamente Giorgia. «Non continuare a torturarti in questo modo, lo sai che non è affatto così: sono solo delle tue fissazioni.»
«Non ci credi?» urlò con gli occhi da pazzo. «Me ne frego! Perché è come dico io, e nessuno può capire!» E si allontanò correndo per i prati di Villa Borghese per non lasciare spazio a Giorgia di replicare.
«Stefano! Stefano…» troppo tardi, era già lontano. Se l’era presa e adesso non c’era niente al mondo che lo potesse far tornare sui propri passi.
Giorgia non riusciva ad accettare questi suoi atteggiamenti da “vittima del destino”. Credeva in lui. Era così spontaneo, sincero… speciale era la parola giusta. No, un altro Stefano non esisteva. Certo era stato offensivo nei suoi confronti con quel suo “non mi basta”: che c’entrava? E poi questa fuga… senza contare che aveva fatto filone a scuola (c’era una lezione a cui ci teneva) per lui. Nonostante tutto lo capiva, non è che fos-se arrabbiata, le dispiaceva che se ne fosse andato bruscamente, d’altro canto che pote-va farci? Piuttosto, quella sua sfiducia in se stesso… ecco, quella non riusciva proprio a mandarla giù. Sapeva che Stefano era un tipo capace veramente di “dare”, ed un giorno ce l’avrebbe fatta ad uscire da quest’impasse, ne era certa.



Seduti sulla panchina del molo, il mare aperto alle spalle, completamente soli nel panorama crepuscolare, parlavano giocavano e ridevano in dolce armonia. Tutto in lei era allegria, gioia, partecipazione alla vita; tutto in lui felicità, accettazione della realtà e della bellezza.
Stefano si svegliò con la sensazione di tornare dall’infinito, di essersi perso in qual-cosa di più grande di lui, qualcosa di bellissimo, di recondito e di assoluto, indefinibile persino a se stesso.
Dio mio — pensò con una sensazione struggente di nostalgia — quanto era bello! Quanto era semplice essere felici…
Con amarezza si ricordò che era quasi un anno che non l’aveva più cercata, e lei non si era fatta viva, forse per rispetto della sua decisione o per pudore. Un’amica così, rifletté, l’aveva cercata dalla notte dei tempi. Quanto gli aveva dato in fiducia, in affetto: nemmeno una vera sorella si sarebbe prestata così incondizionatamente. In quel momento capì tutto, si alzò di scatto e sul primo foglio che gli capitò scrisse:
“Ho cercato per tanto tempo e in tanti luoghi…”
Fu come un fulmine a ciel sereno. Erano le parole che la sua anima reclamava dal fondo, era una cascata luminosa… Giorgia inspirò profondamente, lentamente: avrebbe dovuto leggerla tutta. Ma uscì da casa e corse senza pensarci su. Con la lettera in mano di Stefano che aveva trovato infilata nella cassetta e che non era riuscita a terminare, correva per la città, quando finalmente arrivò alla porta del suo amico ritrovato.
Aprì la madre.
«Buongiorno signora» riuscì a dire trattenendo il fiatone per la corsa fatta. «C’è Ste-fano?» concluse dopo un secondo di pausa.
La donna che conosceva Giorgia solo di vista rimase un po’ incerta anche per l’orario, le otto e mezza del mattino, che di domenica era dedicato al sonno. Dovette intendere che erano cose serie anche se di ragazzi.
«Entra, è nella sua cameretta.»
Non se lo fece ripetere due volte ed entrò. Stefano dormiva, lei richiuse la porta e si pose su di lui, dolcemente per non svegliarlo, poi non riuscì a trattenersi e lo strinse a sé con un abbraccio che per forza di cose comprendeva lenzuola, cuscino e coperte. Prima ancora che lui potesse rendersi conto se stesse sognando o meno, lei gli sussurrò: «Credevo che te la fossi presa così tanto da avercela con me per sempre. Io ti voglio bene.» Poi pianse.
«Anch’io te ne voglio» farfugliò tra veglia e sonno. Poi, un po’ più sveglio, le sorrise e le domandò: «Allora, ci stai?»
«Non so a cosa ma la risposta è sì» rispose felice lei, «con te verrei sino in capo al mondo.»
«Mi riferivo al “bene che non si dovrebbe fermare…”»
«Oh Stefi» riferì candidamente, «non l’ho finita, mi spiace. Era troppo per me, a un certo punto non ce l’ho fatta a continuare e…»
«Non importa,» l’interruppe lui abbracciandola più intensamente. «Anzi, sai che facciamo, piccola? Stiliamo il nostro patto di non belligeranza.»
«Che bello, mi piace l’idea.»
«Hm… nè fame nè peste, nè guerra nè morte, fermeranno…»
«Forse è più semplice “niente e nessuno”» lo corresse dolcemente lei. «E al posto di “fermeranno” possiamo concludere con un “potrà distruggere quello che di bello c’è fra noi”, perché non credo che qualcuno possa davvero ostacolarci: nessuno può distruggere quello che c’è fra noi se noi non lo vogliamo, non ti pare?»
«Giusto!» asserì convinto. «Dunque, riassumendo, “niente e nessuno potrà distruggere quello che di bello c’è fra noi, se noi non lo vogliamo”, va bene così?»
«L’ultima frase era solo una mia spiegazione… ma sì, va bene lo stesso, rende ancora meglio»
«Allora è andata!» esclamò Stefano. «Sarà il nostro “manifesto”. A proposito, come definiresti quel “che di bello c’è fra noi”?»
«Perché definirlo, Stefi? Puoi metterci tutto quello che ti pare: il bene, l’amicizia, la vita, l’amore. Gesù non disse forse che non c’è amore più grande di quello che dà la vita per i suoi amici? Non ha mica detto per la madre, i parenti, i compagni di partito o il fidanzato, ma per i suoi amici.»
Stettero in silenzio. Quel rapporto, sentivano, non era fine a se stesso. Poi Giorgia ruppe l’atmosfera. «Mi suoni Yesterday?»
«Cristo!» esclamò sbigottito Stefano. «È proprio quello che t’avevo scritto alla fine della lettera…»
«Che non ho finito di leggere…» osservò lei altrettanto sbigottita.
ELIPIOVEX
00sabato 17 maggio 2008 22:07
E poi?
Io direi di unirla alla prima parte
ELIPIOVEX
00sabato 17 maggio 2008 22:09
Fatto.
se posti altre parti ti chiedo cortesemente di usare questa discussione ;)
Stefano Starano
00lunedì 19 maggio 2008 17:57
IL QUADERNO VERDE - 3^ parte
«Pronto?»
«Ehi, che ci fai all’altro capo del filo Stefi?»
«Ho appena fatto il tuo numero!»
«Ed io ho appena sollevato la cornetta per telefonarti che ho udito il tuo “pronto”.»
«Hai mai sentito parlare di “sincronicità”?»
«No!» fu la secca risposta di lei. Ma ormai era incuriosita.
«Dovresti leggere un po’ di Carl Gustav Jung. Comunque è qualcosa che si può richiamare vagamente alla telepatia, solo che non ha niente a che vedere con questa. Oddio, in questo caso potrebbe anche trattarsi di telepatia dal momento che essa si verifica proprio tra persone con un forte feeling, tipo madre figlio, gemelli eccetera… Fatto sta che avevo appena finito di comporre il numero che tu hai alzato.»
«Però!»
«Evidentemente fra noi è normale Gio’, e non è la prima volta che capita qualcosa di strano se ci pensi.»
Giorgia si ricordò allora di parecchi piccoli episodi, coincidenze o altre piccole stranezze che le erano risultate anche divertenti ma che non aveva mai collegate fra loro e a cui non aveva dato peso.
«Senti» riprese Stefano, «ti avevo telefonato per chiederti di accompagnarmi in banca, papà ha deciso di regalarmi un libretto di risparmio.»
«D’accordo, capitalista paranormale, sono libera. Quando devo venire?»
«Tra dieci minuti sono giù in piazza se sei pronta, così prendiamo il bus, okay piccola?»
«Okay» rispose, e riattaccarono nello stesso istante.

(In autobus)
«Io sono d’accordo come dicono alcuni scienziati, che si conosce solo una piccola parte delle leggi che regolano l’universo, per cui chiamiamo “paranormali” solo quelle che non conosciamo o non comprendiamo. Ma è tutto naturale.»
«Mi trovo in un autobus in pieno giorno al centro di Roma eppure ho i brividi se penso che fra noi avvengono cose di questo genere.»
Stefano s’intenerì a quella affermazione.
«Non c’è nulla di cui aver paura, c’è solo da conoscere.»
«Bella questa frase» osservò lei.
«Non è mia, è di quegli scienziati.»
«Ah, dicevo io. E che altro sanno questi signori?»
«Di certo, di concreto, non molto. Però la realtà è unica, fanno notare, e la si coglie a seconda delle possibilità di recepirla.»
Giorgia se ne stette in silenzio, faceva sempre così quando meditava, poi inevitabilmente arrivava qualche interrogativo. Chiese: «Tu pensi che esista un Dio?»
«Persone più grandi di noi lo farebbero supporre, anche se questo non vuol dire niente. Sir James Jeans diceva che l’universo assomiglia più a un grande pensiero che a una grande macchina.»
«Sì» ribadì lei, «anche Einstein diceva che Dio non gioca a dadi, e si riferiva alle leggi che regolano l’universo.»
Giunti alla fermata Giorgia aiutò un signore anziano a portare delle buste pesanti fino al portone con un’iniziativa che a Stefano mancava, e da lì s’incamminarono verso la banca che distava quasi un chilometro.
«A proposito Stefi, non mi levo dalla testa la tua versione di Yesterday: è molto “sentita”.»
«È merito dei Beatles se testo e musica si fondono in maniera tanto incredibile.»
«E la musica è degna di Bach» continuò lei. «Da un frammento di scala hanno ottenuto il massimo di sfumature emozionali… fenomenale! E con pochi strumenti hanno ottenuto il massimo d’intensità. La cosa più bella è che la mancanza di batteria invece di sminuire, aumenta l’aria di evocazione, di sospensione!»
«La cosa che ha colpito me, invece, è come il testo si rispecchi nella musica. Guarda, ho il foglietto in tasca:
“Ieri tutte le mie pene parevano lontane, oggi eccole di nuovo. Io credo in ieri. Di colpo sono lo spettro dell’uomo d’un tempo, un’ombra grava su di me. Ieri è passato senza che me ne accorgessi. Ieri l’amore era un gioco così facile, oggi cerco un posto per nascondermi. Perché lei sia andata via non so, non me l’ha voluto dire; devo aver fatto qualcosa di sbagliato, ora vorrei che fosse ieri”.
Gio’, tu che studi chitarra classica, dimmi, come diavolo hanno fatto a trasmettere quel senso di nostalgia… di quel qualcosa di struggente, anche alla musica?»
«Si tratta dello schema particolare, è di sette battute.»
«E allora?» domandò Stefano affascinato dalla profonda conoscenza di Giorgia.
«Allora, quei furbastri sanno che lo schema dovrebbe essere di otto battute, ciò vuol dire che hanno deliberatamente eliso una battuta. Questo provoca quello “sfasamento”, quel qualcosa di “mancante”, così da trasportare sul piano musicale quella nostalgia che mi dicevi e che ha colpito anche me: non esageravo paragonandoli a Bach.»
Stefano meditava su quanti aspetti importanti fossero implicati in una semplice canzone, e quante cose nella vita bisognerebbe approfondire per capire: senza l’aiuto dell’amica non ci sarebbe mai arrivato! Ci doveva essere un nesso tra questo tipo di “schema libero”, di situazioni tanto creative, e per esempio le situazioni di cui non si riesce a trovare la soluzione o dei problemi di cui non si sa il perché. Chissà se si potesse scoprire un giorno un collegamento tra la matematica e le situazioni umane per esempio…
Si ricordò di una frase letta chissà dove. «Galileo diceva che la matematica è l’alfabeto nel quale Dio ha scritto l’universo.»
«Bella questa definizione» disse Giorgia, «non la conoscevo, eppure… ho la sensazione di averla già sentita. Ah, tuo padre è lì che aspetta, sbrighiamoci, non vorrei che pensasse che abbiamo fatto tardi per colpa mia!»
«Ma no, dai, solo perché ci siamo messi a parlare? Sai, piccola, per me è più importante quello di cui abbiamo parlato. E poi abbiamo camminato svelto, no?»
«Anche per me è stato importante, non so però se la pensa così anche tuo padre; a vederlo non si direbbe.»
«Non ti preoccupare, lo sai che è tanto democratico da far concorrenza agli studenti del “maggio francese”? Pensa che le mie sorelle più grandi, alla loro epoca, quindici anni fa, non hanno mai dovuto dire dove andassero o a che ora tornassero. Sai una volta mia sorella che rispose a un ragazzo? Lui era venuto alla sua festa di compleanno e, vedendo che lei non fumava, le chiese provocatoriamente davanti a papà come mai non fumasse: “perché mio padre non me l’ha mai proibito” fu la risposta.»
Poi entrarono in banca.
ELIPIOVEX
00giovedì 22 maggio 2008 22:14
sono anch'io con te davanti alla banca... Entriamo?
Stefano Starano
00martedì 27 maggio 2008 22:13
IL QUADERNO VERDE - 4^ parte
Gli occhi rossi dalla stanchezza, Giorgia non ce la faceva più: una giornata senza un attimo di respiro. Non vedeva l’ora di andare a dormire.
La mattina s’era dovuta alzare prima per confezionare con cura il regalo della profes-soressa d’inglese (lei e Laura erano state incaricate dalla classe) che era stata sottopo-sta ad un intervento alla spina dorsale molto serio. Era una persona meravigliosa con gli alunni: una maestra di vita più che una professoressa di liceo.
Festeggiarono il suo ritorno dopo la scuola. Per mangiare non ci fu tempo e a causa dello sciopero dell’A.T.A.C. andò a piedi alla palestra che distava più di tre chilometri dalla scuola. Più tardi ci fu la lezione di chitarra ed a casa si dovette preparare per il compito di matematica di fine trimestre, più la fisica e la filosofia dove doveva essere interrogata.
Non poteva coricarsi con i capelli in quel modo: lo shampoo era irrinunciabile e così pure il piccolo bucato.
Una camomilla al miele se non voleva rimanere elettrica e infine i libri da mettere a posto (almeno quelli sparpagliati sul letto!).
Alle 23,50 riuscì miracolosamente a infilarsi sotto le lenzuola.
Alle 23,55 udì la suonata. Era la suonata caratteristica di Stefano (tre piccoli colpi per due volte).
Si trascinò non senza difficoltà, con fatica e mal di testa, per aprirgli.
«Gio’» urlò Stefano «ho trovato l’amore!»
«Va’ ‘ffa ‘nculo» gli rispose, chiudendogli la porta in faccia.
Stefano rimase a bocca aperta sul pianerottolo ma dopo alcuni secondi vide spalan-carsi nuovamente la porta.
«Dici sul serio?»
«Certo… ma se disturbo…»
«Scusami Stefi, non avevo capito. Dai, entra!»
Era successo che quel pomeriggio Stefano stava recandosi al “circoletto” (il nome era L’Incrocio, ma ormai era così strausato chiamarlo in quel modo che nessuno più usava il nome “istituzionale”) un posticino che lui e Giorgia avevano con altri: un luogo d’incontro dove poter ascoltare, anzi “sentire”, un certo tipo di musica; si ballava, si discuteva di tutto, anche di quello che erano i loro problemi, di cose “diverse”, che li interessavano, che erano vere.
Ma al circoletto c’erano Marco e Laura (la compagna di banco di Giorgia) che stavano da un po’ di tempo assieme: tutto regolare se non fosse per il fatto che lui si buttava con tutte quelle che gli capitavano a tiro per andarci a letto, mentre lei aveva solo Marco.
Lui era presuntuoso, incapace di nutrire un solido sentimento affettivo: apparteneva a quella folta schiera di persone che limita i propri interessi ai soli aspetti superficiali della vita.
Al circoletto c’era anche Barbara, una ragazza che non si era mai vista assieme ad un ragazzo: era carina e, pur conoscendone diversi, non aveva mai trovato con nessuno il rapporto autentico che lei cercava.
Marco, che era il classico play-boy, non poteva trovare preda migliore: le propose se volesse diventare “la sua amante”, così, apertamente. La sua sfacciataggine sarebbe ri-sultata quasi ridicola se Barbara non si fosse presa una cotta per lui (anche se tentava di non mostrarlo) e, pur consapevole del suo impegno con un’altra, non le riusciva di sottrarsi al mortificante raggiro. Sapeva che, una volta ottenuti i suoi scopi, Marco l’avrebbe mollata ma… nulla da fare: non era capace di reagire.
Questo per la maggior parte della gente è cosa comune; quelli che vorrebbero cambia-re le cose si trattengono per timore di essere presi in giro, oppure per pigrizia, per ego-ismo: per Stefano non era così.
Stefano credeva nella giustizia e soffriva per il caso di Barbara.
Un giorno che non riusciva a fare a meno di pensare a questa odiosa storia, si convinse che ogni forma d’ingiustizia oltre a far soffrire, insegnava che bisognava anche reagire. Diverse volte s’era intrattenuto con Giorgia su questi temi e una volta sentenziò: “Farsi i cazzi propri: la religione degli egoisti e dei vigliacchi!”
Sapere di quell’intreccio era ripugnante per la sua mentalità, soprattutto a causa della squallida mentalità comune che appunto giustificava, anzi raccomandava, di “non im-picciarsi dei fatti altrui” (cioè, non intervenire, astenersi sempre e in ogni caso). Stava quindi dirigendosi al circoletto con il fermo proposito di prendere Marco di petto e dirgli quello che pensava di lui e di tutta questa sporca faccenda, e tentare di farlo de-sistere con le buone o con le cattive: non poteva permettere questi soprusi, e sulle spal-le di quella povera ragazza sola e indifesa!
Fermatosi al distributore con l’auto prestatagli dal padre (aveva appena preso il foglio rosa ed “usciva con un amico patentato” aveva detto) pensava già a come avrebbe af-frontato Marco e a come gli avrebbe fatto capire una volta per tutte…
«Stefi!»
Era Marco! Era in compagnia di Laura, ma c’era anche un’altra, una ragazza nuova, probabilmente un’amica di lei. Era davvero bellina, piccina ma carina. Aveva dei ca-pelli lunghi ed ondulati che mandavano dei meravigliosi riflessi rossi. Aveva un visino sfizioso, che faceva tenerezza. Fresca come un fiore non ancora colto e con l’aspetto delicato di una cerbiatta.
Tale visione che attrasse tutto il suo essere spazzò via i motivi per i quali s’era avvia-to al circoletto. Riuscì solo a rispondere: «Salve, come va?»
«Bene» disse Marco. «Ci porti a fare un giro?»
«Certo» fu la replica di Stefano, conscio che l’altro scroccasse la sua auto.
Lei si chiamava Monica, si sedette accanto a Stefano, e ciò fu meraviglioso. Laura e Marco si sistemarono dietro. Andarono prima a prendersi un gelato sul dondolo di un bar all’aperto, più tardi raggiunsero un nuovo localino per ballare: durante un “lento” Stefano chiese se l’indomani poteva venire a prenderla a scuola… e fu subito sì.
Era convinto che fosse l’occasione che aspettava, figurarsi se ne avrebbe fatto mistero con Giorgia… Il suo primo pensiero fu di andare subito dopo a casa sua, anche se era un po’ tardi, o forse non tanto poco, pensò: oh, al diavolo le esitazioni, avrebbe certamente capito.
Stefano e Giorgia rimasero a parlare fino alle tre di notte (lui raccontava: lei ascolta-va coinvolta).
«Domani mi telefoni appena torni da scuola, così mi fai sapere» disse lei premurosa-mente.
«D’accordo» rispose lui, poi le dette un bacio sulla fronte per la buonanotte e se ne andò.
ELIPIOVEX
00domenica 1 giugno 2008 09:33
e le questioni di principio? alle ortiche?
Stefano Starano
00martedì 3 giugno 2008 23:08
IL QUADERNO VERDE - 5^ parte
Arrivò fuori scuola di Monica in ritardo a causa del corteo, appena in tempo per vederla… con un altro!
Il mondo gli crollò addosso; credeva di aver trovato “la donna”, la soluzione della sua solitudine, ne era già innamorato, e invece… Stava per andarsene con l’auto facendo finta di niente, ormai convinto di aver preso la più grande fregatura della sua vita, quando Monica lo vide e lo fermò:
«Scusami Stefano, è venuto questo amico a prendermi, ti spiace se vado con lui?»
«No, certo, non ti preoccupare Monica.»
«Allora ci vediamo domani alla stessa ora, va bene?»
«Okay» disse Stefano sorridendo come un cretino, e si salutarono.
Invece di andare a casa per pranzo se ne andò dritto di filata da Giorgia, così furono in due a non mangiare quel pomeriggio. Giorgia stette ad ascoltarlo sul lettino in camera sua.
«D’accordo Stefi, come prima uscita non sarà stata delle più incoraggianti, però adesso non correre; cerca di andare fino in fondo. Non sappiamo i motivi del suo comportamento.»
«Ma Cristo, aveva apposta un appuntamento… allora di me se ne frega!»
«Calma, non urlare: a quest’ora mia madre riposa. Va bene, ogni supposizione può essere valida, ma cosa costa chiederle come mai ha agito così? Senti cosa ti dice prima di condannarla a morte. Non puoi valutare la situazione dal suo punto di vista perché ancora non la conosci, tanto più che sei così “preso” emotivamente.»
«Non mi ama, altrimenti non sarebbe andata con quell’altro, sei tu quella che non vuol vedere la realtà delle cose» e gli scappò una lacrima.
«Hai un carattere molto sensibile Stefi, non credere però che non capisca: so quello che provi. Sto dalla tua parte, non ti preoccupare; sono “con te”, non ti do torto, soltanto ti chiedo di ponderare bene, di saperne di più, di non saltare subito alle conclusioni come fai sempre. Ti prego, almeno per una volta, rifletti prima di agire, altrimenti non chiamarlo amore il tuo, ma “chiusura”. Ricorda che l’amore è anche ragione.»
Stefano dovette ammettere che forse era così.
«Okay Gio’, domani ci andrò.»
L’indomani si vide con Monica ed ebbe l’accortezza di non chiedere dell’amico con cui l’aveva vista il giorno prima. Fu lei stessa a parlargliene. Si trattava di un amico, Gianluca, che le stava appresso da parecchio e lei aveva colto l’occasione per dirgli che non era più il caso che la cercasse perché quello che lei voleva ormai l’aveva trovato.



«Vedi» gli diceva Giorgia «ha preferito perdere un amico piuttosto che lasciare false speranze e continuare ad avere uno “spasimante”: e tutto questo per te. È evidente il suo senso di onestà e la sua chiarezza, e data la sua età direi proprio che è notevole quello che ha fatto, non ti pare?»
«Caspita Gio’, se non era per te… avrei abbandonato il campo prima della partita. Avevo la vittoria in mano e per un pelo non ho perso tutto: ti ringrazio!»
«Non esagerare, ho solo detto ciò che credevo giusto, la scelta l’hai fatta tu: ringrazia solo te stesso.»



Monica era molto dolce, pur essendo una ragazzina: era così sensibile che riusciva a scorgere anche la minima traccia di nervosismo nella voce di lui per telefono. L’età, per contro, non le consentiva di essere molto libera, soprattutto la sera (aveva 15 anni rispetto ai 18 di Stefano). Il padre era un burbero e all’occorrenza aveva dei gesti violenti, pur essendo comunista. Stefano non digeriva il fatto che Monica dovesse uscire unicamente con la (altrettanto repressiva se non di più) sorella maggiore ed il rispetti-vo fidanzato “in casa”, militare di carriera. In ogni caso non sarebbe potuta rientrare dopo le 21,00, nemmeno il Sabato e la Domenica (il giorno che la conobbe, la sorella la mollò per “starsene un po’ con il fidanzato” e poi si rividero a fine serata ad un posto stabilito, perciò poté fare tardi).
In tutto questo lei poteva contare solo sulla complicità della madre (che sapeva di loro) e della sorella entro i limiti dei suoi “interessi personali”.
Per Stefano la repressione sulle ragazze, e cioè su persone con debole “potere contrattuale”, era cosa semplicemente disumana e inaccettabile. Ma la sua protesta era destinata a rimanere confinata nel loro ambito “a due” in quanto Monica aveva terrore del padre: “guai se mio padre venisse a sapere che esco con un ragazzo, e con la macchina poi…”. “Quale terribile crimine sarebbe stato”, considerava ironicamente (ma anche amaramente) Stefano. Ma il fatto che il padre di Monica fosse persino comunista (quindi un uomo di sinistra, “progressista”) e di un certo livello (un economista) lo ir-ritava ancor di più.
Tale situazione portava a continue discussioni fra loro.
«Un padre dovrebbe essere più un amico che un carceriere…»
Monica, risentita, lo interruppe:
«Ma io cosa posso farci se ho un padre così?»
«Tu niente. Lui dovrebbe lasciarti libera, dovrebbe aver cura di te come essere umano, e non come un internato mentale dell’Unione Sovietica!»



Quell’anno Stefano aveva l’esame di maturità ed era ormai tempo di iniziare la preparazione vera e propria. A questo punto occorreva studiare qualche volta anche di Domenica, e ciò, aggiunto ai limiti di “libera uscita” di Monica, pregiudicava sempre più la possibilità d’incontrarsi.
La tensione diventava sempre più tangibile, soprattutto per Stefano cosciente di subire un’ingiustizia; Monica era più rassegnata.



Un pomeriggio stavano a casa di Roberta che prendeva lezioni di chitarra da Giorgia. Roberta le era amica da tanto tempo anche se era di alcuni anni più piccola. Intelligente, apparentemente allegra, era in fondo al suo cuore sfiduciata e pessimista per via delle esperienze avute con i ragazzi: si concludevano sempre con una delusione. Ciò l’aveva fatta diventare diffidente con gli uomini, tanto che a Stefano a volte risultava antipatica. Per questo era disponibile solo nell’amicizia con persone di sesso femminile, cosa che la faceva sentire accettata dalla madre che era una femminista impegnata in un giornale.
Stefano non poteva sapere che lottava contro la sua stessa natura di persona che ama la vita.
Roberta arpeggiava con la chitarra, Stefano s’infervorava con Giorgia perché Monica non faceva nulla per venirne fuori.
«Non difende i suoi diritti di essere umano libero e consapevole, non posso aiutarla perché il padre se sapesse di noi la picchierebbe… Al posto suo gli romperei una bottiglia in testa, Cristo!»
«Povera Monica, sta fra l’incudine e il martello. Un padre-aguzzino ed un ragazzo-giudice: non vorrei essere nei suoi panni nemmeno se mi offrissero Alain Delon in confezione regalo. Scherzi a parte, Stefi, ti rendi conto che non la stai aiutando per niente? L’altro ieri mi ha confidato che l’hai lasciata come una stupida per telefono: non è la prima volta, mi sembra.»
«Oh Gio’, ti ci metti anche tu!»
«Stefi, va bene, hai ragione tu» disse esasperata, «adesso dimmi che hai intenzione di fare.»
«Non lo so, ma non ce la faccio a resistere. Per me è troppo, in questo modo non ci vedremo mai: io studio, lei non è libera… e fra poco la famiglia parte pure per le vacanze!»
«Cerca di parlarne con lei prima che parta, vedrai che ti capirà.»
«Va bene Gio’, tenterò.»
Al ché Roberta, rivolgendosi a Giorgia, mormorò: «Finalmente sei riuscita a ficcargli un po’ di sale nella zucca.»
Stefano, che aveva sentito, commentò: «Risparmiami i tuoi luoghi comuni!» e se ne andò incavolato nero.
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