florentia89
00martedì 8 luglio 2008 17:55
I “maritozzi” storia dolce-amara
I “maritozzi” attualmente panifici e pasticcerie non li producono più.
Vendono brioches, cornetti, saccottini, girelle e similari, ma i “maritozzi” sono spariti. Erano filoncini alquanto grandi, senza raffinatezze particolari, dolci quel tanto necessario da distinguerli da un panino morbido. Si pensi che al tempo del governo papale, quando l’astinenza nella quaresima era imposta e osservata, il mangiare “maritozzi” non rompeva il digiuno, essendo considerati dolci di magro. Su questo mi piacerebbe interpellare qualche dietologo. Inutile dire i romani quanti ne mangiassero, con la certezza di osservare il digiuno prescritto. Non voglio spaziare sui “maritozzi”, ma una premessa ci voleva, anche perché in questa vicenda essi entrano.
Torno al racconto che non è affatto leggero. Giulio era uno dei nostri, cioè del giro della GIL, dell’oratorio, della scuola. Egli faceva capo a un gruppo di ragazzi appartenenti ai balilla della 26° legione, quelli con il fazzoletto azzurro di seta, mentre il nostro, con preminenza di balilla della 54°, aveva fazzoletti più proletari, di semplice cotone. Era un bel ragazzotto sui tredici anni e, mi pare, frequentasse l’Istituto Duca d’Aosta.
A parte la scuola, i balilla, la parrocchia, si guadagnava qualcosa facendo dei servizi saltuari di consegne per un panificio sito vicino la sua casa, utilizzando se necessario la bici del laboratorio.
Questo gli consentiva di ingollare più o meno di nascosto qualcosa di pane, pizza e “maritozzi”, unico prodotto dolce del panificio.
Ecco il fatto. Un giorno Giulio deve consegnare due scatoloni di “maritozzi” a un istituto religioso. C’era già la tessera per il pane, pasta, zucchero e altre cose, pertanto i “maritozzi”, assimilabili al pane di lusso, non potevano prodursi liberamente visto che erano pur fatti con farina e zucchero. Però le deroghe erano parecchie, come vari istituti religiosi che ottenevano dal Vaticano assegnazioni extra.
Giulio sistema i due contenitori, uno sul portapacchi anteriore, l’altro sul posteriore, inforca la bici e parte spedito, anche perché il volume era forse parecchio ma non il peso, penso sui venti chili, o poco più.
Imbocca la via Enna, strada in discesa, i freni gli fanno poco, prende una modesta buca, un sobbalzo, perde l’equilibrio, sbanda, e con un volo catastrofico finisce a lato della strada, batte la testa contro il bordo del marciapiedi, ci resta secco. Tutto in un attimo. La gente accorre, non ci crede, vorrebbero far qualcosa ma si vede che è inutile, il viso, il sangue, l’aspetto scomposto, dicono inequivocabilmente che Giulio ci ha lasciati. Quanti lo circondano si dispongono a una certa distanza, in attesa dell’arrivo di qualche autorità.
Giungeranno presto i vigili, un dottore che ne attesterà il decesso, si attenderà per il magistrato che ne ordini la rimozione. Frattanto qualcuno gli stende sopra un panno bianco, forse un asciugamano, nemmeno sufficiente in quanto si intravedono i capelli e una parte del viso. L’incidente è avvenuto a nemmeno cinquanta metri dalla parrocchia così accorre il viceparroco, lo benedice e si pone per un po’ in ginocchio vicino a lui. Inutile dire che tre quarti dei presenti siamo noi suoi amici, camerati, conoscenti, che osserviamo angosciati e interdetti il triste spettacolo.
E ora mi si consenta una digressione più venale rispetto la morte lì incombente. Giulio giaceva circondato da una miriade di “maritozzi” saltati fuori dai contenitori portati sulla bicicletta lì vicina e in terra.
Quanti erano? duecento? trecento? più? Comunque sembrò che il duro destino fosse mitigato da qualche angelo che ritenne spargergli attorno un letto di quelle delicatezze che gli piacevano tanto.
E’ poi da notare che con la “fame” di noi ragazzi, già percepita in concreto, vedere quel mare di bendidio sulla strada ci stringeva il cuore. Così, Giulio a parte, i “maritozzi” cominciarono a sparire, prima quelli sparsi più lontano, e erano parecchi coloro che se ne infilarono uno, due, tre, in tasca e sudavano freddo per il non poterli addentare senza indugi. Poi pian piano sparirono i più vicini al corpo di Giulio, finché una signora lì presente, affermando che non era decoroso vedere il povero ragazzo in mezzo agli ultimi “maritozzi”, gli tolse quelli adiacenti ponendoli in una borsa. Ne prese parecchi e in un baleno sparì. Un paio d’ore dopo giunse il giudice, il corpo fu portato via, il viceparroco si allontanò, e di “maritozzi” in terra ne rimasero solo qualcuno dei più rovinati e calpestati.
Non considerate quanto avvenuto come mancanza di rispetto verso il ragazzo che non c’era più, ma il 1941 fu un anno durissimo in tutti i sensi. Chi li raccolse non pensò affatto di offendere la sacralità della giovane morte, sicuro che in analoga situazione, con Giulio presente, qualche “maritozzo” lo avrebbe preso anche lui, nulla togliendo al dolore e stupore per la perdita inaspettata di un amico.
Ai funerali i balilla gli resero onore, sulla cassa spiccava il fazzoletto di seta e il fez, ci fu l’appello col “Presente” alla voce e un pensiero che, dissero, veniva dal Duce in persona.
Nessuno si scordò più di Giulio, me compreso.
Direte, perché era un buon balilla? amico? forse si, ma soprattutto per la kermesse occulta dei maritozzi seminati in strada e spariti in un nulla misterioso. Che anni di guerra! non li auguro a nessuno.