DEL RUOLO DELL'INTELLETTUALE: LETTERA AD UN AMICO

ceo1
00venerdì 6 luglio 2007 12:27


Caro Rocco,


rispondo alla tua e-mail del 28 c.m. che ha riaperto in me ferite che forse mai potranno rimarginarsi del tutto.Tu dici che non giova, o, che mal si concilia, l’affermazione, tratta dai miei racconti, che “ a Paceco la pace c’è ma manca il resto”, col fine dei “Quaderni” di aggregare, ricostituire, rinverdire l’identità, ridando orgoglio d’appartenenza alla comunità pacecota.Ed aggiungi, come se io non lo sapessi o l’avessi dimenticato, che il Paese vanta l’attribuzione, nell’anno 1973, del premio Pirandello alla buonanima di Mino Blunda, una biblioteca comunale tra le migliori della Sicilia, una moltitudine di poeti autentici, iniziative culturali di buona qualità, un’agricoltura in qualche settore d’eccellenza….., per arrivare a concludere che la mia affermazione non ha fondamento.Ed allora, mi chiedo e ti chiedo: 1- Non è Paceco fra i comuni a più alto indice di disoccupazione ed emigrazione? 2 – Non è Paceco che ancor oggi patisce la distribuzione razionata dell’acqua potabile? 3- Non è Paceco che è ancora sprovvista del completamento delle fognature e del relativo impianto di depurazione? 4 - Non è Paceco fra i comuni “ ad alta densità mafiosa ? “ 5- Non si trova in territorio del comune di Paceco l’ex discarica di contrada Vosca dove fino a qualche decennio addietro proliferavano diossina e fumi di combustione che il vento di scirocco trasportava fino in Paese, ammorbando l’aria? 6- E del trentennale cantiere, completato solo nel 2004, per dotarsi del piano regolatore e degli strumenti urbanistici per il riassetto del territorio, cosa mi dici?- Considerati da questi punti di vista i problemi della nostra comunità pongono seri motivi di disamina sulla natura di quelli che tu chiami “ iniziative culturali di buona qualità.” Per vero, mi rendo conto che la cultura non è un esercito pronto ad impugnare le armi(alla Camillo Torres) per combattere contro i nemici, veri o presunti che siano, che frenano o impediscono, con l’incultura e la barbarie, la crescita del vivere civile e del progresso. Ma credo, per quanto mi riguarda, che il coraggio delle idee e della loro propagazione non sia stato sufficientemente e comunque adeguatamente sostenuto, e, soprattutto, svincolato dai lacci e laccioli che soffocano la libertà delle persone fino a spingerle a forme di “compromissione” con i poteri forti con i quali suggellano la loro schiavitù e la fine ingloriosa delle stesse idee. Ricordo d’aver letto da ragazzo i quaderni Kennediani di cui tu fosti l’artefice e la massima espressione e di averne tratto, a larghe mani, i cardini di quello che è stato il mio bagaglio di vita, duro da portare ed ahimé tante volte accantonato e forse qualche volta tradito. Di quegli scritti vorrei ricordarne uno, se la memoria non m’inganna, a firma di Salvatore Ingrassia, che trattando della gioventù e citando il Papini affermava che essa è immortale, per limitarne, subito dopo, la portata, con il richiamo del Parini, alla condizione: “….. Se sa essere libera. “ Fu per questo, forse, che, preso dai sacri furori giovanili, partecipai all’occupazione “permanente” ( almeno nelle intenzioni, perché nella realtà durò una sola, lunga notte! ) dei locali comunali di via Torrearsa dov’era, a quel tempo, allogata la biblioteca: minacciata di finire negli scatoloni d’imballaggio per far posto all’ufficio tecnico del comune. Qualche giorno dopo dovetti tranquillizzare mia madre che s’era vista dietro la porta di casa i carabinieri, venuti per notificare a me un ordine di comparizione presso la locale stazione, per il reato d’occupazione di locali pubblici. Subii la dura lavata di capo del maresciallo del tempo e la sua accorata ramanzina. Promisi e fui…..libero! Né è da ricordare l’iniziativa di un agrigentino, negli anni settanta, che, per pochi anni operò nel nostro comune, utilizzando i capannoni dell’ex pastificio Basiricò-Cappello, al chilometro sei di via Marsala, dando lavoro ad una trentina di donne addette alla preparazione, conservazione e confezionamento dei carciofi. Fu costretto a tornarsene da dove era venuto per le richieste di pizzo e le intimidazioni mafiose. Certo, un prodotto d’eccellenza è la nostra cucurbitacea indicata nei libri di geografia economica come “ melone giallo di Paceco “. Ma è notorio che i nostri agricoltori, spinti dall’urgente bisogno di rifarsi delle spese, hanno da sempre svenduto sul campo il loro prodotto ai pugliesi che ne hanno fatto il confezionamento e la conservazione, nel tempo e nello spazio, traendone i veri, consistenti frutti del lucroso commercio. Orbene Rocco, potrei ancora continuare, per molto, indicando fatti, circostanze ed accadimenti che in buona sostanza dipingono un quadro d’insuccessi o d’occasioni mancate. Se l’ho fatto, non è certo per spirito corrosivo, ma propositivo, giacché il possibile, diverso futuro si costruisce sulle esperienze del passato e la conoscenza rigorosamente onesta ed oggettiva del presente, anche se amaro e duro. D’altronde dai rubinetti non esce cultura! Né nelle pentole possiamo cucinare un bel convegno! Né la disoccupazione e l’emigrazione possono essere combattuti con l’invenzione di una bella favoletta! La verità è che, sono ancora fermamente convinto che la nostra Paceco possa superare la lunga fase di stallo di questi decenni ed avviare, con le sue potenzialità, uno sviluppo utile e sostenibile. Penso quindi ad un “protocollo d’intesa” che funga da “patto sociale”, promosso e sostenuto dal mondo della cultura e della scuola, fra i cittadini della nostra comunità, non ultimi i giovani, a qualunque professione e casta appartengano o ordine professionale, arte e mestiere, i partiti politici, le forze sindacali ed il mondo economico. A proposito di quest’ultimo, credo che un ruolo determinante debba essere svolto dalla Cassa Rurale ed Artigiana del Santissimo Crocefisso che, in una veste nuova, apprezzabile ed al passo con le esigenze ed i tempi, funga da garante e da volano per il finanziamento dei progetti meritevoli e socialmente utili, restituendo, in parte, ai Pacecoti ciò che ad essi appartiene in termini di sangue e di sudore della fronte. Capisco che il compito è arduo, ma, rinunciare o delimitare o avvitare su sé stessa o escludere la cultura dal sociale significa non potere avere mai riconosciuto l’onore delle armi! Né basterebbero i meriti ed i riconoscimenti, se non a livello personale, della divulgazione delle conoscenze. Ma a che serve? E soprattutto, a chi serve? Ti chiedo scusa se i miei modi sanguigni possano averti infastidito o arrecato offesa, non era mia intenzione. Consentimi, in ultimo, di salutare
te e la mia Paceco con una citazione da “ La Luna e i falò “ di Cesare Pavese : “ Un Paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.”
T’abbraccio,
enzo
Roma, 31.05.07




















ELIPIOVEX
00venerdì 6 luglio 2007 17:50
non ho capito: la tua è una lettera di denuncia pubblica sulla situazione del tuo paese, una lettera vera che ci vuoi far conoscere oppure è un testo di fantasia. Perché leggendo non si capisce [SM=x142849]
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