Stefano Starano
00lunedì 21 aprile 2008 20:47
un periodo all'ospedale CTO
Prima

Ieri sera ho finalmente riconosciuto un “fratello” (nel senso più vero della parola); non è il primo ma è sempre straordinario riconoscerne uno.
È una donna, si chiama Clara. La conobbi nel maggio-giugno 1982, a San Giorgio a Cremano.
Era di sera e stavo con alcuni amici che volevano uscire insieme. Conoscevano una certa Rosaria e lei voleva uscire con noi. Stava però con altre persone in un’altra auto (in cui c’era anche la sorella maggiore la quale era contraria a che uscisse con noi). Quell’antipatica, nevrastenica e dittatrice suscitò tutto il nostro risentimento, e per come ero (e sono) io, quella era una causa da lottarci fino alla morte: la libertà di qualsiasi tipo e ordine è sempre inalienabile, e da chiunque – ed in qualsiasi forma – venga calpestata, richiede giustizia! Quella sorella maggiore era Clara.
Avrei dovuto odiarla ma c’era qualcosa in me, come un “vedere” in modo doveroso – una sensazione che non so rendere – che mi spingeva ad agire, a “capire” in un’altra direzione: quasi al contrario! Eppure la cosa era strana perché Rosaria, per quel poco che la conoscevo, mi risultava una con cui puoi veramente stare insieme, con cui si può veramente parlare; con lei l’atmosfera era sottile, diversa: insomma era una in gamba.
Per questa mia visione diversa mi ritrovai improvvisamente in contrasto con i miei amici, non capito: non me ne importava più niente (eppure erano gli amici più vicini in quegli anni). Scesi dalla Fiat 127 e mi avvicinai a questa sorella maggiore rompiscatole e repressiva. La prima cosa che dissi (lei mi aveva già inquadrato come avversario) fu: «Tu hai bisogno di calore.»
«Ah sì? Be’...» finse una pausa di riflessione, «sì, adesso che ci penso fa un po’ freddo qui all’aperto» rispose ironicamente. «Ci vorrebbe una stufa!» continuò sprezzante.
Ed io: «No, non hai bisogno di questo tipo di calore, tu hai bisogno di calore umano.»
Mi ero buttato in avanti in modo decisamente inusuale, rischiavo di essere giudicato un cretino, o peggio uno svitato, gli amici mi guardavano appunto in quel modo. Pensarono a come potevo permettermi di dire ciò con tanta sicurezza senza conoscere la persona – nemmeno di vista – a cui mi ero rivolto. Ma non era tanto inusuale per me agire così, ed ero anche sicuro; ma questa sicurezza non derivava dalla conoscenza o da qualcosa che lei avesse detto: da cosa derivasse non so. Ma ero sicuro di me.
«Sì, è vero.» disse. Rimasi secco, l’aveva detto sul serio.
Le dissi: «Vieni» e ci allontanammo a piedi, da soli. Parlammo a lungo passeggiando nei dintorni.
Queste sono le circostanze nelle quali ci conoscemmo. Una “sorella”, forse una sorella nella notte. Lei veniva da un periodo particolare, difficile, brutto.


Dopo

Nella prima metà di maggio Rosaria si era ricoverata presso il CTO (Centro Traumatologico Ortopedico) di Napoli per operarsi al ginocchio sinistro.
Andai a trovarla, la terza volta rimasi otto ore a conclusione delle quali ci fu una mangiata di pizza napoletana e panini distribuiti dal CTO tra ragazzi ricoverati e amici in visita. Nacque un legame tra tutti noi che si rivelò di un tale affiatamento, di tale una gioia e di un tale sfizio, che ancor oggi tutti se lo ricordano: ho avuto riscontri anche in seguito che questo fu sentito e vissuto da tutti.
Da quel giorno mi ritrovavo quotidianamente al CTO fino a tardi: scherzi, giochi, parapiglia, assurdità goliardiche, divennero all’ordine del giorno. Tutti insieme – e tutti diversi – Rosaria, Paola, Rocco, Gianni, Enzo, Daniela, Angela di Corbara, ci ritrovavamo in quegli androni; oppure nella mia auto ad ascoltare le sigle di “Quelli della notte” di Renzo Arbore che mi ero registrato su una cassetta C-90 (le C-120 erano troppo fragili); le poesie di letteratura italiana recitate dal caro amico lucano Rocco dinanzi a tutto il CTO, personale medico e paramedico compreso, come pegno dei giochi di carte (che facevamo nel fitto bosco che faceva parte dell’ospedale stesso) per non parlare delle canzoni liriche di Rosaria che cantava in un coro… quante cose, quanto insieme, quanti episodi. Qualche volta venivano degli amici di Rosaria con la sorella: Clara appunto. Dopo la prima volta non voleva più venire senza spiegarsi nemmeno lei il perché. Poi invece tornò e capii: si stava innamorando. E s’innamorò, realmente, come mai in vita sua. Si trattava di Gianni, uno di noi, uno dei ricoverati amici di questa compagnia che come Rocco e Rosaria si doveva operare.
Poco tempo dopo si misero insieme. Fu una sera, e quella sera – più tardi – lui pianse perché “era la prima volta in vita sua a mettersi con una ragazza” ed aveva un terrore folle di perderla. Sì, anche lui era innamorato. Aveva solo diciannove anni contro i venticinque di Clara e questo lo spaventava. In realtà era succube di una madre così possessiva ed oppressiva che non era mai riuscito a mettersi con nessuna, non aveva proseguito gli studi e dava il “voi” o il “lei” agli amici. Era timidissimo, gentile, dolce ma “bambino”: qualità apparentemente contrastanti.
Il 6 giugno 1985 venne il turno di Gianni: si doveva operare.
Clara andava a trovarlo come semplice amica, la madre era sempre lì ed impedì a noi di vederlo – cacciandoci dalla stanza tra cui Enzo (il più vecchio e migliore amico di Gianni) per ben due volte perché “gli toglievamo l’aria”. Enzo si dovette trattenere dal reagire; era stato l’unico amico che lo aveva fatto un po’ uscire di casa e con cui avevano diviso molti momenti della loro vita.
In ogni caso, dopo l’operazione, Gianni sarebbe andato a casa e per i quattro mesi successivi, in cui sarebbe rimasto ingessato, non avrebbe più potuto vedere Clara. La madre, infatti, disse che “quella ragazza non avrebbe messo piede nella mia casa”.
Fu così che una sera Clara mi chiese se potevamo andare insieme al CTO sul tardi, così poteva darsi che la madre se ne fosse andata. La sera dell’11 giugno 1985 io e Clara, separandoci da Fausta (troppo stanca dell’ufficio per seguirci in quell’impresa che si preannunciava per niente breve e rilassante) partimmo alla volta del Centro Traumatologico Ortopedico di Napoli, in viale dei Colli Aminei.
Sembravamo due agenti speciali che avevano il compito di penetrare una base nemica; l’orario di visita era dalle 13 alle 16. Entriamo dall’accesso del Pronto Soccorso che ormai sapevo a memoria, come tutto il resto dell’ospedale (che praticamente era diventato casa mia). Arrivai su con Clara che si stringeva a me, mano nella mano, per le scale. Quasi non le reggevano le gambe; si sentì svenire per l’emozione e per la paura di incontrare la madre di lui. Gianni le aveva fatto sapere, tramite Paola (un’altra ricoverata) che loro non si dovevano più vedere perché “la madre non voleva”. Clara si sentiva proprio “fusa”, si chiedeva qual’era la posizione di Gianni in tutto questo.
Entrai nella camera di Gianni da solo, c’era solo il fratello con lui. Diedi il segnale di “via libera” a Clara e lei entrò. Finalmente avrebbero potuto chiarirsi da soli dopo parecchi giorni in cui non avevano potuto più avere più contatti.
Cercai di dare a parlare al fratello, Dino, per dar modo ai miei due amici di parlare liberamente. Dino sembrava rispondere normalmente alle mie domande, poi d’improvviso disse: «Ragazzi, avvicinatevi perché ho sentito qualcosa e voglio parlarvi. Anche tu Stefano.»
Aveva scoperto il nostro gioco.
Iniziò a raccontarci tutta una storia che aveva avuto con una ragazza di nome Anna, di molto più grande di lui, con la quale aveva avuto un’esperienza traumatica: egli continuava a pagare amaramente, ancora dopo tanti anni e con infiniti tormenti, inducendolo ad ulteriori sbagli. In Clara aveva rivisto questa ragazza e temeva che si ripetesse la drammatica esperienza con Gianni. Per nessun motivo, disse rivolgendosi a Clara, si sarebbero dovuti più vedere né sentire.
Per Clara fu il crollo di ogni possibilità.
Rimanemmo ad ascoltare Dino che ci confidò – in maniera assai drammatica – che non aveva mai rivelato questi fatti a nessuno, nemmeno in famiglia, nemmeno a Gianni.
Prima che Dino ci chiamasse per raccontarci la storia, Gianni aveva avuto il tempo di dire a Clara cose per lei sconvolgenti come “ridammi l’anello che ti ho regalato e riprenditi ciò che mi hai dato”. La triste realtà era che Gianni contro la madre non sapeva e non voleva reagire.
Lei però aveva avuto il tempo di rispondere: «Se vuoi ti ridò tutto ma non posso credere che una persona che fino a ieri mi ha consegnato un bigliettino con su scritto “ti amo” all’improvviso cambi sentimenti. La verità è che tua madre ti ha fatto il lavaggio del cervello e ti ha convinto.»
Lui negò questo ma lei non gli credette per niente. Ora però, che si trovava contro anche il fratello maggiore (e si vedeva chiaramente che aveva molta influenza su Gianni) non aveva più alcuna speranza. Pianse. Io in silenzio, non potevo dir nulla. Poi alzò gli occhi e guardò quelli di Dino: «Tu hai visto in me Anna ma io non sono Anna. Fra di voi c’è stato sesso, forse lei voleva solo questo da te, ma io sono stata con un solo ragazzo nella mia vita e non c’è stato niente fra di noi.»
Si asciugò il viso e si soffiò il naso, non riusciva quasi più a parlare dalle lacrime.
«L’ho incontrato proprio stamattina» continuò, «ricordo che mi lasciò per una che, immagino, doveva essere come la tua Anna.» Fece una pausa tra un singhiozzo e l’altro. Poi riprese affranta ma più calma: «Nel rivederlo stamattina ho capito che non è felice anche se si è sposato.»
Poi, sempre continuando ma con più vigore disse: «Ma io Gianni lo amo, e tu non sai quanto ho sofferto in questi giorni per non esser potuta stare con lui, per non aver potuto parlargli da sola… Non ho nessuna intenzione di fargli del male, credimi, io non sono Anna, non sono una ragazza “esperta” anche se ho 25 anni, e non mi puoi definire “calcolatrice” solo perché sono adulta.
Ma Dino non cedeva, era convinto più che mai che lei volesse abbindolarlo; era deciso, duro, fermo, anche se si comportava in maniera gentile. Ormai il ghiaccio s’era rotto, le maschere tolte, le carte scoperte.
«Io ho capito subito che siete venuti a quest’ora per evitare d’incontrare mia madre, e tu Stefano non sapevi più a quale stupidaggine appigliarti per darmi da parlare, per distrarmi da loro.»
Fece una pausa, sospirò fra sé e sé, guardò lei con una smorfia che voleva essere un sorriso sardonico e disse: «Tu sei una che ci sa fare, Clara, io l’ho capito subito quando ti ho vista.»
Allora risposi io: «Non era tanto per evitare tua madre, Dino, quanto per farli parlare da soli. Ed io come amico di entrambi, “dovevo” esser loro complice.»
Lui mi guardò in un modo strano, come se mi vedesse per la prima volta.
«Sì, vedo una luce diversa nei tuoi occhi, ora non mi racconti più frottole.»
Ci accompagnò giù all’ingresso rinnovando i suoi timori: «Gianni non è pronto per questa esperienza ed ho paura che tu lo possa plagiare» disse rivolgendosi a Clara.
«No!» replicò lei, «ti giuro che non ho nessuna intenzione di convincerlo a rimanere con me. Se lui non vorrà, me ne andrò dalla sua vita: lui è libero di fare la sua scelta.»
A un certo punto, inaspettatamente, si abbracciarono. Lei era sfinita e pianse fra le braccia di Dino che, con sguardo doloroso e stupito, le disse: «Come lo ami!».
Poi dichiarò: «Se vi amate io sarò vostro complice, anche a costo di mettermi contro mia madre. Farò in modo che vi telefoniate quando lei non c’è, e troverò altri sistemi affinché possiate vedervi. Questi quattro mesi vi serviranno per fare il punto della situazione fra di voi, e se fra di voi funziona, la cosa andrà avanti: se son rose fioriranno. Ricordate che potrete sempre contare su di me.»
Tutto era cambiato, dal momento in cui eravamo entrati di nascosto nel CTO, al momento in cui ne siamo usciti, la situazione si era completamente capovolta. Ed io ne ero stato testimone.


Riflessioni

Quella sera mi sono reso conto di una cosa. Se io ho “scoperto” questa nuova dimensione di Clara non è semplicemente perché siamo stati complici in questa situazione, la sua mano nella mia “mano bella e che non è neanche sudata”; non è solo perché lei ha voluto che io ci fossi e che dividessi con lei questo momento decisivo; non è solo perché Dino le ha parlato in quel modo (anzi, “ci” ha parlato) dicendoci cose mai confidate a nessuno; non è soltanto perché lei nel tragitto, andando al CTO mi ha parlato di un bambino che da piccola le aveva sorriso in chiesa e che lei non ha mai dimenticato, e in cui rivedeva Gianni, anzi era convinta proprio di aver ritrovato “lui”: che cosa irrazionale, vero? Io le ho detto che sapevo ciò che sentiva, quello “era” Gianni. Le nozioni di spazio e di tempo, di fantasia e di realtà, sono residui buoni per mentalità chiuse, meschine, ristrette e – a dir poco – arretrate, non per tipi come noi. Lei condivideva con me che queste amicizie del CTO, Gianni, gli altri, era come “se fossero state così da sempre”: era come se fossimo sempre stati amici, era come se fosse sempre stata innamorata di Gianni. Cose assurde, forse, ma riservate a pochi. Naturalmente io e lei, in questo genere di cose, c’eravamo dentro fino al collo. E questo non solo perché siamo stati nei giorni successivi insieme ad un nuovo Gianni, un Gianni senza alcun imbarazzo, senza inibizioni in mia presenza (ed in presenza di tutto il resto dei degenti), non solo per le “tenerezze” fra lui e Clara – e Gianni non ne era il tipo.
Se io ho scoperto o riscoperto questa dimensione, se ho scoperto questa “sorella dell’anima” più che amica, è perché lei è riuscita a far fluire la “Forza”, quell’Amore, quella luce interiore – che se ne rendesse conto o no – che sola fa camminare l’Universo. È questa forza che ha prodotto il cambiamento in Dino, il cambiamento radicale del suo atteggiamento verso di lei. Questa Forza ha cambiato Gianni, un Gianni che da quel momento non si è fatto più condizionare dalla madre (anzi, ha desiderato che non venisse più a trovarlo in ospedale); questa Forza ha fatto che chiedesse a Clara di firmare sul gesso perché tanto “non me ne frega niente se mia madre lo scopre…”. A proposito, le ha rimesso l’anello che si era ripreso, ma sull’anulare sinistro (stava sull’indice).
Clara è poi andata da Rocco con cui c’era stato uno sgradevole precedente; Rocco piange abbracciandola: la vera Clara, la Clara nuova, è uscita fuori. Si è finalmente “mostrata” per ciò che è (e che in nuce era sempre stata): meravigliosa, unica, insostituibile.
Quante amicizie ha riscoperto Clara, come è cambiata la sua vita, non sapete. Il fatto ha poi investito come un alone aureo anche Enzo, l’amico di Gianni, facendo nascere una fortissima amicizia e solidarietà con lei tanto che lotterà dalla parte di Clara in questa causa, persino contro la madre di lui (che non aveva mai osato sfidare o contraddire apertamente). E che dire delle telefonate quotidiane di Daniela, l’unione fra noi tutti, tra Enzo, Daniela, me e gli altri…
Auspico a chi legge questo resoconto (per forza di cose parziale) di avere la possibilità di stare con noi, insieme a Daniela, a Enzo, a Clara ed agli altri. Per conoscerci, per sapere, per vivere. Anche tu, lettore, hai da dare la tua storia o meglio, la tua vita, le tue mille storie. Perché in realtà, chiunque ha una storia, mille storie, da offrire.
Ed ogni storia è una storia infinita, in cui ci sarebbero da raccontare i vari risvolti, i lati profondi ed inesplorati, le emozioni, le sensazioni sconosciute: troppo. Per questo è necessario sintetizzare i fatti al 90%, come ho fatto in questa narrazione, perché non è possibile descriverli tutti.
misterx78
00martedì 22 aprile 2008 03:39
Della serie: tra quel pasticciaccio brutto di via Merulana fino alla Coscienza di Zeno...
Mi sono nate parecchie domande al fine di capire. Ho riletto più volte alcuni punti ma si notano delle inconcludenze logico-sintattiche che ora non sto a riprendere.
Non sono riuscito a capire chi è il vero protagonista della storia? Clara? L'io narrante? Chi ama chi e chi è soggiogato da chi? Le conclusioni a cui arrivi sono attuali o sono ricordi di conclusioni passate? Si tratta di un diario già scritto o di un ricordo? E' invenzione o realtà?
La cosa positiva pare essere la presenza del 'cuore'. Ho sentito quel calore spensierato di giovani che vivono le prime storie d'amore credendo che siano eterne. Mi hai fatto ripensare a certe situazioni più adolescenziali che altro dove ci si sente protagonisti di qualcosa di grande e all'interno di un 'caldo' gruppo. Dove l'altro ci preoccupa. Dove ci interessano i sentimenti altrui. Cose che abbiamo dimenticato tutti un pò. Chissà dove l'abbiamo messe quelle robe. In quale Cassetto, direbbe Allevi. Oppure registrate su un vecchio nastro da 90 perché più duro di uno da 120. Perduto tra le unghie di un gatto dispettoso che è l'ipocrisia di essere adulti. E quanto era più bello ascoltare quattro stupide canzonette con il cattivo eco interno di una 127 ma in compagnia di persone che sarebbero state amiche per noi per sempre piuttosto del più moderno degli hi-fi fissando una pioggia grossa e rumorosa che batte sulla strada grigia... Da soli... In una casa vuota. Vuota, magari, di due persone...
Il racconto in stile diario si salva per le immagini di purezza, spesso tipica del Sud, dove l'amicizia è ancora vista come una cosa importante, ma anche dappertutto nei primi 20 anni. Perde parecchio, come ho già accennato, la morfologia, la sintassi spesso, l'uso errato dei tempi dei verbi che non ti fanno capire il senso del discorso e altro... Capisco il forte istinto ma senza regole il messaggio si filtra male e se non hai gli occhi allenati a leggere risulta davvero dura capirlo...
E' un pò una metafora della vita la scrittura. Non basta quello che hai dentro(stesura istintiva) devi saperlo comunicare(regole di stesura).
Nel frattempo mi sono arrivati da qualche zona remota del cervello collegata al cuore alcune immagini.
Grazie degli spunti.
Un gruppo di amici che dopo una situazione dolorosa, quale quella di un ospedale, scoprono l'amore. Il tutto ambientato negli anni '80.
E' il riassunto di quello che scrivi. Ma può essere la trama di un romanzo. Soprattutto se intrecci vari subplot dei vari personaggi. E magari il protagonista, alla fine, scopre di avere imparato, tramite le sue amicizie, a riconoscere il vero amore, la vera delusione, il vero pianto, la vera ostinazione... C'è tutto in quello che esponi. Come in ogni racconto. Ma va saputo esporre meglio...
ELIPIOVEX
00martedì 22 aprile 2008 23:17
Secondo me devi tener presente Stefano che quello che hai nella testa è chiaro solo a te. Al lettore devi spiegare le cose altrimenti non sempre riesce a seguirti fino in fondo.
La storia di Clara comunque mi è piaciuta.
Che ne è stato di Clara e Gianni? Si sono sposati alla fine oppure è stata una storia passeggera?
Stefano Starano
00mercoledì 23 aprile 2008 15:29
Misrex78 ed Elvioplex
Direi che il protagonita è Clara, narrata da Stefano.
Clara è inannamorata di Gianni e Gianni di Clara. Gianni era soggiogato dalla madre (il fratello poi era una figura "forte" per Gianni, quindi comunque lo influenzava).
Le conclusioni, scritte contestualmente al racconto, sono del 1985. Si tratta di un diario già scritto.
Il registratore K7 della Philips, portatile, era più sicuro con le C-90 (perché le C-120, essendo "lunghe" erano più fragili e soggette a rompersi).
La 127 Fiat fu poco apprezzata nei primissimi tempi perché un po' bruttina ma fu una vera innovazione tecnologica per motore e per ammortizzatori (data la bassa cilindrata 900 cm). Divenne poi molto richiesta.
Tu, Misterx78, apprezzi tantissimo il contenuto dei miei scritti tanto da dirmi che possono essere degli spunti per scrivere un vero racconto.
Grazie, grazie di cuore.
Gianni e Clara si sono lasciati (Clara lasciò Gianni non molto tempo dopo).
Clara ora è sposata e vive a Monfalcone (Veneto o Friuli? Non ricordo) e non vuole più vedermi o sentirmi (per altri motivi che ora non sto a raccontarvi).
Grazie anche a te cara (Elvioplex).
Stefano


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