Avventure vicentine

florentia89
00domenica 27 aprile 2008 07:23
L'imprevisto della vita. Parte uno di tre
Espongo la prima parte, di tre, di un racconto più vasto. Sono quelle più significative. Al termine della terza, vedrò se ampliarne o meno la presentazione. Allora:

Ho pensato di parlare di un fatto sostanzialmente vero, come sempre, a parte ovvie enfatizzazioni e immaginazioni, che sia anche uno specchio della vita di tutti e mia, in età non più di prima giovinezza ma di maturità, concernente tempi non tanto remoti, anche se non recentissimi. Meschino pensare che il mondo consista solo in ciò che noi si possa toccare, udire, vedere. Ciò rappresenta solo una delle realtà che ci circondano.

Serata particolare

Ci fu un giorno che ebbi un incontro imprevisto. Era inverno, mi trovavo al nord per lavoro, a Vicenza. Serata uggiosa, umida.
Una sosta al bar dell’hotel, ove sono appena giunto, e penso di uscire a sgranchirmi un po’ le gambe, dopo ore di guida.
Quanto è triste per me questa città, in pratica sconosciuta, anche se l’ho visitata altre volte, però fugacemente e per impegni professionali.
Nella serata tarda le vie sono pressoché deserte, qualche mezzo pubblico, qualche auto, nessun taxi, luce scarsa, freddo, silenzio.
Vicino l’hotel un cine-teatro, con le luci esterne accese, attenuate da una leggera foschia, invita a entrare per vedere qualcosa che dovrebbe interessare pochi. Fuori non c’è anima viva, mi figuro l’interno riservato a fantasmi assonnati e annoiati.
Differenza abissale con la Milano di lavoro la quale, pur non paragonabile alla mia Roma, ove la vita pulsa e avvince, un bel movimento serale e notturno ce l’ha anch’essa.
Dopo poco decido di rientrare ma devo essermi allontanato troppo e aver sbagliato qualche via. Ho perso l’orientamento, non trovo l’hotel.
Ho l’impressione di spaziare in zone non amiche, che mi inglobano e rifiutano al tempo stesso. Eppure non dovrebbe essere lontano. Ecco! giro di qui, mi pare, non mi pare, ma l’hotel non viene fuori. Penso di chiedere a qualcuno, sempre che l’incontri.
Cerco un taxi che non c’è, una cabina telefonica inesistente, una luce amica. Sono inquieto con me stesso perché cosciente di essere in zona, magari a cento metri dalla meta.
Ma non esiste un bar aperto nelle serate invernali vicentine?
Mi rassegno a insistere sul tentativo di ritorno utilizzando le mie facoltà mentali e fisiche, quando vedo una donna sbucare dalla semioscurità, traversare la strada, e dirigersi verso ove mi trovo.
…”Signora mi scusi, può indirizzarmi all’hotel XX che non trovo? Sono certo di esserci vicino, ma non riesco a rientrare”….
….”Non è molto lontano, è a due o tre vie da qui e la direzione è questa (l’opposta a quella che pensavo), se vuole facciamo la strada assieme, anch’io vado nei pressi, richiederà non più di pochi minuti”…
Così accetto l’offerta di accompagno, anche perché ho freddo, l’umidità mi penetra, sono contrariato e stanco.
La giornata è stata impegnativa, sono partito da Milano, sede della società di cui faccio parte e che dirigo per l’area nord. Ho visitato due uffici a Bergamo e Brescia, sono passato poi in Veneto, appunto a Vicenza, sempre di mia competenza, città per me nuova per il lavoro attuale, ove domani avrò un incontro con un ufficiale dell’Aeronautica da poco in congedo, o a riposo (guai dire in pensione), che ha deciso di dedicarsi non più ad aerei ed elicotteri, bensì al settore finanziario-industriale. Me ne hanno parlato bene e deciderò se accettarne la nomina a agente per la quale, se io d’accordo, ho già il placet del Capo romano e del Direttore Commerciale.
Domattina dovrò anche ricordarmi di far controllare l’auto, ora nel garage dell’hotel, che ha mostrato alcune difficoltà all’accensione (o carburazione? o altro? vedremo).
La signora cammina spedita accanto me e così, per rompere il silenzio, gli dico di esser stato fortunato ad incontrarla; lei mi chiede cosa faccia a Vicenza, di che mi occupi, se ho famiglia. Gli rispondo che vivo a Varese, la città giardino della Lombardia, mi occupo di finanza e assicurazioni industriali con una multinazionale, ne dirigo la sede di Milano, ho uffici in più parti del nord e ne aprirò uno a Vicenza, anche se è Veneto e non Lombardia.
Provo a chiedere com’è che a quell’ora tarda lei si trovi sola in giro, mi risponde che è stata chiamata per un’emergenza e sta rientrando.
L’hotel appare infine in fondo alla via, la signora rallenta.
L’ho osservata strada facendo. Lungi l’idea possa essere una donna “notturna”, a luci rosse, come per qualche momento avevo pur pensato. E’ di un’età giovanile, non ben definibile, sui trenta o poco più a mio giudizio. Vestita di scuro, forse nero, riservata, ben curata, longilinea, agile a muoversi, direi bella.
I suoi tratti però sono strani, come se il viso fosse di cera, effetto certo della poca luce giallastra. Gli occhi, da me incrociati un paio di volte, mi paiono chiari, forse troppo, sarà per l’illuminazione anomala e scarsa. Indossa un soprabito elegante, che tiene aperto, sembra che il freddo pungente non la preoccupi. Giunti all’Hotel mi dice:
…”Lei è arrivato, non è stato difficile ha visto? io proseguo di poco, ho avuto piacere a conoscerla e esserle stata utile”…
Io la ringrazio, mi porge la mano, mi sembra la trattenga un attimo più del consueto. Poi, fatti un paio di passi, penso:
… “col freddo che fa perché non offrirle qualcosa di caldo al bar dell’hotel che, malgrado l’ora, vedo ancora aperto?”…
Mi giro e dietro di me non c’è nessuno. D’altronde la via è ampia e dritta, con vie traverse non proprio prossime.
Resto perplesso, guardo meglio, ma dell’accompagnatrice nessuna traccia. Mi convinco, poco in verità, che sia entrata in qualche portone.
Entro nell’hotel, mi fermo qualche minuto al bar a bere una tonica e ritirare una minerale per la notte, prendo le chiavi all’office e:
...”ah dottore! era al bar, non l’avevo vista, c’è un biglietto per lei, l’ha lasciato attimi fa’ una signora, eccolo”…
Non mi rendo ancora conto di cosa stia succedendo. L’apro, leggo:
“Faccia attenzione ai prossimi sei mesi, soprattutto i primi tre“
Nessuna firma. Il Maitre mi descrive la signora, si! è lei, quella che mi ha accompagnato per le vie deserte.
Dormo un sonno agitato. Lascio accesa l’abat-jour.
“stia attento ai prossimi sei mesi, specie i primi tre”, perché mai? Chi è che l’ha scritto? E come ha fatto la signora, se è stata lei, a entrare nell’hotel senza io la vedessi o lei notasse me?
Strada facendo le avevo solo accennato qualcosa sulla famiglia e il lavoro, cosa ne aveva dedotto per consigliarmi così?
La notte passa. Il mio orologio-sveglia da polso mi avverte che sono le sette mattutine e, benché dovrebbe esserci già un barlume di luce, è quasi buio per il tempo coperto e la pioggerella insistente.
Mi alzo, toilette, mi preparo, faccio la prima colazione e attendo nella sitting-room l’ufficiale a riposo che devo incontrare.
Poco dopo questi arriva accompagnato da un figlio giovanissimo, alle prime armi. L’incontro è lungo, dobbiamo definire condizioni e convinzioni reciproche, garanzie, accordi, formazione, competenze.
Non si conclude nella giornata in quanto restano da visionare i locali, controllare i documenti, incontrare una persona che, nel caso, dovrà collaborare con una sub-agenzia.
Mentre padre e figlio sono miei ospiti in un veloce lunch di lavoro al ristorante dell’hotel, non posso esimermi dal che la sera io sia ospite in casa loro. Cena gradevole, cibi eccellenti, persone compite.
Pur se i piatti veneti possano sembrare apparentemente leggeri, e io cerchi di limitarmi, resta che al termine del pasto mi senta pieno e con il capo pesante per un po’ di vino tosto in più del solito.
Mi ero quasi dimenticato il fatto della sera prima, che per ora avevo archiviato come frutto di fatalità, caso, banalità. Comunque ne accenno qualcosa, cercando di dargli scarsa importanza. Anche loro mi pare non gli diano peso; poi mi accompagnano in hotel, ci vedremo l’indomani sul tardi, in quanto prima devo redigere una relazione e inviarla a Roma per telex, nonché è necessario senta i miei sostituti di Milano che avranno bisogno di qualche disposizione.
Giunto in albergo m’informano che il meccanico, il quale mi ha sistemato l’auto, tornerà domattina per controllare qualcosa nelle luci..
Attendo che padre e figlio si siano allontanati e, anche se sono passate le ventitre, esco per fare due passi, in effetti con il desiderio inconscio di imbattermi di nuovo con l’enigmatica signora della notte.
Il tempo non è cambiato, cielo coperto, mezzo nevischio, strade deserte. Salvo l’illuminazione stradale, d’altronde poca, non splendida, le altre luci sono spente. Così al vicino cinema, altrettanto per i bar, negozi, portoni di palazzi. Mi sembra di girare in una città di spettri.
Faccio riferimento all’insegna minore dell’hotel, lasciata accesa, per non allontanarmi troppo e poco dopo rientro.
Mi sento così teso che, rigirandomi nel letto, per poco non ne cado, malgrado che esso, anche se “singolo”, sia alquanto ampio. Mi avevano detto: ”dottore, le diamo un letto alla francese, starà più comodo” (nulla di piccante! solo per precisarmi che il letto della stanza era ad una piazza e mezza).
Il mattino sveglia alle sette, toilette, prima colazione.
Il tempo fuori è più fosco del giorno prima. Do uno sguardo ai titoli di un quotidiano, mi pare “L’Arena”, e passo nella sitting, ove avevo lasciato un blocco e una penna.
Sono raggiunto dal Maitre, lo stesso dell’altra notte:
…”dottore, nella hall c’è una signora che l’attende, è giunta da poco, le ho telefonato in camera ma lei non ha risposto; ho visto che stava finendo la colazione, allora l’ho pregata d’attendere”…
Ho un tuffo al cuore. Chi mi cercherà? Non ho appuntamenti, salvo quello programmato sul tardi, e poi a Vicenza, fino ad oggi da me poco visitata e nota, non ho conoscenti, amici o parenti. Che sia la Signora dell’altra notte? Mi avvio alla hall e ad attendermi trovo la moglie del futuro agente, che la sera prima mi aveva ospitato. Dice:
….“Scusi dottore se la disturbo così presto, mi sono prima informata se lei fosse desto, e poi magari avrà da fare”….
….”Signora Anna, non si preoccupi, a che debbo il piacere di averla qui? C’è stato qualche problema?”…
….”no dottore, sono venuta per risentire da lei, sempre che voglia, ciò che le è occorso al suo arrivo, magari con più particolari. Non è il caso che mio marito sappia dell’incontro, almeno per ora”…
Io allora ripeto ogni cosa, completandola con maggiori dettagli legati soprattutto alle impressioni personali. Infine:
…”devo parlarle dottore, ma non so se lei mi potrà comprendere”…
…” Dica pure, farò del mio meglio per seguirla”….
….“allora, deve sapere che ………………………..”…
E qui mi intrattiene su una storia strana, accettabile con riserve e difficoltà da chiunque. Mi accenna che, nulla di sicuro, sembrerebbe si veda in giro, a volte e di notte, una signora particolare, che molti sanno esserci ma nessuno pare abbia visto veramente, la quale circoli nelle ore tarde, avvicinando in qualche modo chi lei decida, dando consigli, responsi più o meno graditi, aiutando se possibile.
…”signora, sta parlando di una presenza irreale?”…
…”si e no dottore, non lo sappiamo, ma da come ha descritto l’incontro ho capito che lei forse potrebbe averla incontrata. Può mostrarmi, se non ha difficoltà, il biglietto lasciato?”…
Salgo in camera, apro il cassetto del bureau ove ho posto alcune cose, ma il cartoncino non c’è, eppure sono certo di avercelo messo.
Per scrupolo controllo il portafoglio, l’interno dell’agenda, del notes, della ventiquattro ore, le tasche, non c’è.
Scendo nella hall, vedo il maitre della sera d’arrivo e gli chiedo se nella stanza, o in terra, l’addetta alla pulizia abbia trovato un biglietto con scritto qualcosa.
…” che biglietto dottore? Come? quello che le avrei dato io?
… “mi scusi, non ricordo, non è che sbagli persona?”…
Sono perplesso, intimorito. Dico alla signora che il cartoncino è sparito e il maitre non rammenta di avermelo consegnato.
Eppure ricordo tutto molto bene.
Che sia uno scherzo della mente? No, è impossibile.
La signora allora prosegue, mentre le offro qualcosa di caldo dal bar:
…”dottore, naturalmente faccia come vuole. Che lei creda o meno a queste storie le costerà poco porre attenzione a ciò che farà, o in che sarà coinvolto nei prossimi mesi, in particolare nei primi tre, come mi dice indicato nel messaggio. E questo a valere per gli eventi suoi, della famiglia, di altri che per lei contano, del lavoro. Non è sicuro, ma lei potrebbe aver avuta la ventura e la fortuna d’incontrare colei che alcuni di qui chiamano la “Dama in Nero” la quale, esistente o meno, è comunque una presenza benevola, di aiuto. Se la Dama ha detto di porre attenzione, le dia fiducia, lo faccia”….
…”Sembra sia una esponente del partito di allora, quello della Repubblica, e abbia collaborato con fascisti e tedeschi nonché, finita la guerra, sia stata seviziata e uccisa in malo modo. Dicono che sia morta senza alcuno che l’abbia aiutata, difesa, o ne abbia avuto compassione.
Da allora ogni tanto si mostrerebbe per offrire un po’ di quel sostegno che lei non ebbe, o per avvicinare chi ritenga opportuno. Si dice pure che il suo corpo sia in qualche luogo non conosciuto e la sua presenza odierna, nell’angoscia della fine, abbia cancellato ove esso si trovi, e non possa aver riposo finché non sia sistemato convenientemente, magari accanto i suoi familiari. Fino ad allora vagherebbe in una perenne opera di aiuto ad altri e ricerca affannosa di se stessa “…
….”Se il suo incontro non è stato un cumulo di coincidenze, fatalità, immaginazione, d’altronde impossibili per lei, persona accorta e concreta, potrebbe aver beneficiato di una opportunità particolare. Non sciupi il tutto, consideri che la Dama se ha scelto lei un motivo lo avrà , e se vuole si farà risentire, magari rivedere, ne sono certa”…
… ”Signora, sono perplesso, ma non incredulo del tutto come possa pensare. Lei è addentro in queste cose e mondi strani? Anch’io le ho conosciute un po’, con mia madre e alcuni altri, ma non credevo finissero per coinvolgermi in qualche maniera”….
…”si dottore, penso di esserci addentro. Sappia, e mio marito lo sa, per questo l’ho pregata di mantenere per ora un certo riserbo, che la mia bisnonna materna era una “gitana” con doti paranormali e medianiche eccezionali, ben conosciuta nella seconda metà del secolo scorso, nominata dalla stampa e seguita da eminenti studiosi. Poi i suoi numerosi figli, e i figli dei figli, cambiarono vita, come mia madre che sposò un agricoltore del ferrarese e io uno di queste parti, un vicentino, ufficiale dell’Aeronautica.
Sono certa di aver ereditato qualcosa dalla mia ava tanto che ieri, in casa, ho provato la sensazione come lei avesse necessità di una protezione. L’ho percepita ancor più quando le ho porto la mano e lei l’ha accostata alle labbra. Ah! pure la Dama le ha trattenuta la mano?”
…”dottore, non mi consideri fuori di senno o di logica, ma penso che lei, ci creda o no, possa essere soggetto ad una influenza infausta provocata da parte da qualche persona o entità malevola, che l’avversi in maniera preoccupante, profonda”.
…”dice di non crederci? anche se potrebbe esserci qualcuno che proprio “bene” non le vuole?…. Faccia uno sforzo. Ci creda un po’, non rifiuti ogni cosa a priori. Gli abissi dell’animo sono infiniti. Stia quindi attento, anch’io ho sentita la spinta ad aiutarla. Indossi questo “breve” sotto la maglia. Posso metterglielo io? ecco, slacci il collo della camicia, lo allarghi, fatto”…
Il “breve”, anche scapolare, è un sacchetto di tela con all’interno un’immagine di un santo o angelo, una medaglietta, una formula di protezione, qualcosa d’altro, non può essere aperto e quando se ne voglia disfare lo si deve bruciare. Dico ciò non tanto per avallarne l’efficacia, non è da me, quanto per precisare le credenze che soprattutto le donne (e mia madre) gli attribuivano.
…”ogni sera reciti l’invocazione nel retro di questa immagine, prenderà due minuti, le porterà bene, la proteggerà, è potente creda”…
…”Ora la lascio, tra non molto saranno qui mio marito e mio figlio. So che vi rivedrete e ci rivedremo. Dovesse avere bisogno mi telefoni o mi parli direttamente, anch’io in questi mesi pregherò per lei”...
Inutile negare sia un bel po’ scioccato da questi eventi discutibili, che pur non mi sento di rifiutare a priori.
Ma quali sono i confini tra la realtà e l’irrealtà?
Ci definiamo i figli della ragione, del raziocinio e poi, al primo impatto con fatti strani entriamo in crisi o, peggio, li rifiutiamo senza considerare che analizzarli sarebbe un bene, mentre decidere che essi non esistano è solo negarne l’oggettività, in quanto o si tratta di astrusità, falsità, oppure sono veritieri, e se tali dovessero essere perché rifiutarli?, potrebbero magari comprendersi meglio.
Ah! i meandri della psiche umana, ah! la limitatezza del nostro mondo tridimensionale, troppo angusto, limitato a larghezza, altezza, profondità, mentre per accettare la dimensione “tempo” sono dovuti passare millenni e non è che si sia accettata con convinzione!
E ancora nulla o pochissimo sappiamo su tante dimensioni, spazi, vuoti, forze attive, passive, poteri della mente.
Mi auguro quindi che questo capitolo generi in chi legge un pensiero sulla piccolezza sia nostra, sia di ciò che pensiamo di conoscere e che, con presunzione, riteniamo essere l’unica realtà che ci circonda.
auroraageno
00domenica 27 aprile 2008 15:33

Oh, io sono sicura che ci sia una dimensione (non saprei come chiamarla) collegata alla nostra. Credo sì, all'esistenza di una realtà impalpabile forse, ma vicina a noi. Forse quella dei nostri morti, quella di chi ha lasciato qui le spoglie mortali, ma di cui è vivo lo spirito. Ma non ne so nulla, alcune esperienze fatte in passato, anche non lontano, mi fanno pensare a queste cose e dar credito a certe sensazioni.

In quanto all'esperienza fatta da te, Francesco, di Vicenza, mi dispiace... è la mia città natale. Da molti anni, ormai, di sera diventa deserta. Mi hanno detto che ora, nelle vie del centro specialmente, è "occupata" da inquietanti presenze che ne rovinano la possibilità di viverci.

Eppure non è sempre così, sai. Di giorno non lo è affatto. Il contrario.

Be', grazie anche di questa lettura molto interessante, Francesco...
Ah... io non ho mai sentito parlare della Dama in Nero. Mah...

Un caro saluto

aurora

ELIPIOVEX
00lunedì 28 aprile 2008 13:31
Cara Aurora... stavo proprio per chiedere ad un'altra mia amica di Vicenza [SM=x142839] della cosa perché Francesco mi ha incuriosito.
Invece mi piacerebbe leggere il racconto dei tre mesi successivi all'incontro della dama
florentia89
00lunedì 28 aprile 2008 21:18
rispondo a voi
La mini-rsp di cui sopra mi è scappata imprevista e prego chi può farlo di cancellarla. A me non è stato permesso. Così per queste due prime righe.
Circa la Dama o la Signora in Nero, entità sulla quale girarono voci nel dopoguerra non proprio a Vicenza, quanto in un piccolo centro vicinissimo, c'è che quanto ho accennato e chiarirò meglio nel 2° e 3° inserto (in effetti le parti del lungo racconto sono dieci-dodici) si riferisce ad un fatto che io definisco, come i miei altri, "sostanzialmente vero", nel senso che mi prendo libertà espositive nel principio applicato di trasmettere a chi legge non tanto cavillosità personali, temporali, di dettaglio a volte impossibili, inopportune, non determinanti, quanto emozioni, interesse, panoramiche generali di tempi, vicende, persone.
Il tal senso deve intendersi lquesto nserto e quelli che seguiranno.
Su questo episodio non potete immaginare quanta realtà esso comprenda in se, ed è fra quelli che, salvo dettagli, espone eventi tragici avvenuti, nonché le conseguenze ulteriori affrontate da elementi di buona volontà.
Che io abbia collaborato in qualcosa che possa considerarsi particolare, non dico anomala, è cosa nota a chi mi conosce e lo noterete anche voi in successivi post, posto non lo abbiate già fatto.
florentia89
00lunedì 28 aprile 2008 21:27
Delirio
Mi sono spinto al nord lombardo, una delle aree di lavoro per me più disagevoli e lontane. Sono a Sondrio, un centro al quale mi sono poco abituato, eppure è la classica città ordinata, pulita, riconoscibile in cento aspetti specifici, ove si respira l’aria pungente alpina dei monti e il contatto con le genti circostanti..
Ho trovato freddo, più di quelli milanese e varesino, ai quali mi sono ormai abituato (più volte abbiamo toccato i tredici-quattordici gradi sotto zero senza ne sia stata una tragedia, in quanto è un freddo secco, non umido, senza vento gelido).
A Sondrio incontro il Direttore della Banca locale, un industriale del legno, alcuni uffici pubblici. Mi assiste il corrispondente del posto con il quale dedichiamo una giornata al controllo delle aree esterne, spingendoci fino ai pressi del confine Svizzero. Infine saluti, impegno a rivederci fra un mese, o prima se necessario. E poi, per ogni emergenza, oltre i telefoni ci sono quelle meraviglie chiamate telex. I fax sono ancora in embrione, i cellulari lontani da venire.
Non ci sono nemmeno schede telefoniche, fatto è che giro con in tasca e in auto un bel po’ di gettoni pesanti e ingombranti.
Mi accingo a tornare nel sud lombardo (un sud c’è sempre).
Visiterò Cremona, ove ho rapporti con uno dei maggiori complessi nazionali lattiero-caseari, toccherò Mantova.
Visito il complesso caseario, risolvo parecchi problemi in sospeso.
Poi acquisto nel loro spaccio un grosso spicchio di grana da tavola, pari a un quinto – un sesto di forma, cioè quattro – cinque chili, in quanto in casa stiamo cercando di limitare il consumo della carne, se non di abolirla, sostituendo fettine e bistecche con scaglie di padano.
Ne acquisterò anche un pezzo stagionato, atto ad essere grattugiato, così mia moglie sarà contenta.
Comunque il mio tentativo di riservare il grana fresco ai piatti del desinare è tempo perso, perché finirà che anch’esso venga grattugiato, al pari del fratello più maturo.
La visita cremonese mi porta anche dal mio fornitore di mostarda.
Nel suo negozio ne ha cento qualità diverse in barili o recipienti appositi, riservando quella in vasi e vasetti di vetro ai clienti poco buongustai, ai turisti, agli incompetenti. In famiglia ci siamo abituati al consumo di questa specialità forte di sapori, splendida di colori, che ben accompagna i robusti bolliti che mia moglie prepara con maestria.
Questo modo di cucina, ben diverso dal romano, è una variante non compresa dagli amici e parenti che ci fanno visita.
Vedersi nel piatto interessanti pezzi di grana al posto della carne costituisce per loro un secondo piatto sottovalutato.
…“Come! Il grana si sparge sui maccheroni, solo qualche volta se ne può mangiare un poco alla fine del pasto, però come complemento..”..
Insomma le donne ospiti finiranno sempre per considerare illogico il mangiarlo anziché farlo cadere a neve su spaghetti e similari.
Quanto alla mostarda e al bollito la cosa è peggiore. Il bollito per loro è il “lesso” comune, un piatto di poco pregio, un residuo del brodo, composto da pezzi di carne filacciosi, di scarso pregio. Non capiscono che un buon bollito è un’arte di eccellenza. Per la mostarda poi siamo agli antipodi dei gusti.
Un mio cognato quasi si strozza quando, allettato da una pera verde lucente, ne ingurgita una parte, strabuzza gli occhi e rischia un accidente. Altrettanto per moglie e figlio che si erano fatti attrarre da quel vassoio variopinto della specialità cremonese, che in casa consumavamo abitualmente.
Il discorso dedicato al settore culinario è anch’esso importante quale indice di vita, usi, equilibri sociali. E ciò a valere specie per me, che ho sempre considerato i pasti come un “rito” quasi religioso, e un vero peccato l’ingerire un pranzo in due minuti d’orologio.
Basta però con la cucina. Lascio Cremona e punto a Vicenza, poi oltre. Telefono in sede per vedere se ci sono novità, ci sono eccome! Devo chiamare Roma per avere dettagli.
…”Dottore, è necessario raggiunga Trieste, abbiamo una problema con la Dogana italiana e soprattutto Iugoslava. E’ fermo nell’area di sosta slovena un autoarticolato con componenti e apparati per il volo e la nostra maggiore cliente sta subendo danni notevoli. C’è il sospetto che gli slavi, forse per conto altrui, stiano cercando cavilli per mettere le mani sul carico. Noi, cioè lei, abbiamo garantito l'operazione dal punto di vista finanziario, obbligazioni, diritti, svincoli. Ricorderà il certificato stock in transit emesso”..
Variazione immediata del tragitto, imbocco l’autostrada a sinistra per il Veneto, non a destra per la Lombardia, e via, verso Trieste.
Breve sosta all’Autogrill, telefonata a mia moglie in quanto penso l’assenza si prolunghi per un paio di giorni.
Arrivo a Trieste il pomeriggio. Uffici doganali già chiusi, tutto rinviato all’indomani. Durante il tragitto il freddo si è fatto sentire e non so quanto sia valso combatterlo col riscaldamento dell’auto al massimo. Fatto è che la sera la fronte brucia e ho brividi. Mi metto a letto, consumo esageratamente latte bollente, miele, cognac, aspirina.
Altre volte ha funzionato, spero anche stavolta.
Il mattino non posso dire di star meglio, ma in dogana devo andare.
Il direttore, che conosco, mi spiega le difficoltà in atto le quali, più che nostre, sono con quelli di la’, che stanno accampando cavilli a non finire di irregolarità varie. Col direttore ci rechiamo negli uffici sloveni e fatichiamo a fargli capire una serie di disposizioni CEE sul transito di questi bestioni della strada. Norme alle quali anche loro avevano aderito. E poi il carico piombato! escluso da controlli diretti! componenti aeronautici! un motore a getto! altre parti misteriose! almeno per loro. E se ci fossero armi o missili come qualche voce sembrerebbe aver suggerito? Infine con la collaborazione di un loro addetto, già nostro impiegato prima della divisione territoriale, riusciamo a che il mezzo non sia sbollato e le varie procedure siano accettate, così sul far della sera il lungo TIR può passare la frontiera e puntare verso lo stabilimento madre.
Chiaro, fossi stato un dirigente pubblico, avrei potuto dire: …“calma, che importa? L’impiccio è in Iugoslavia, non in Italia, che il cliente alzi il sedere e risolva le grane con gli slavi”. Resta che sono un privato, pronto a dare la collaborazione alla clientela in difficoltà.
Sarà anche per questo che di clienti ne ho e abbiamo parecchi, anche importanti, potenti finanziariamente e industrialmente.
Io però sto malissimo. Potrei chiamare un dottore, ma ancora non sono convinto di questa necessità. Che sarà poi? mi sono preso solo un bel raffreddore che con riposo, caldo, latte corretto generosamente, miele, qualche pasticca, in un giorno o due e passerà.
Rientro in Hotel, il collaboratore triestino che mi ha accompagnato fa’ venire comunque il suo medico e questi diagnostica una forte bronchite, da controllare bene, che potrebbe degenerare in pleurite o polmonite, e prescrive alcune medicine e soprattutto riposo, da’ anche il benestare ai soliti latte bollente, cognac, miele. Stabilisce che per ora non possa rientrare a Milano, sia coi miei mezzi, sia accompagnato, e ciò finché non sia passata la fase acuta. Ma anche ciò l’avevo previsto.
Allora resterò in hotel per uno-due giorni e non mi muoverò se non starò meglio. La notte la febbre tocca i quaranta. Controllo più volte la temperatura, sono preoccupato.
Mi faccio forza e telefono a casa, non voglio impensierirli. Gli dico che per un paio di giorni non mi sentiranno in quanto sarò in Slovenia, con un mare di grane da risolvere. Per quanto concerne la voce roca ho solo un po’ di raffreddore, cosa di poco conto.
La testa mi si spacca, la copro con una specie di turbante, mi assopisco e poco dopo sento un contatto gradevole e fresco sulla mia mano destra. Apro gli occhi, li richiudo, li riapro e, senza che ciò generi in me apprensione alcuna, mi sembra di vedere seduta accanto la Dama in Nero, Chiara X, la signora della notte vicentina, con una parvenza di sorriso. Non parla, mi tiene la mano, anch’io la guardo, l’ho riconosciuta, non ne ho timore. Mi infonde tranquillità e cado in un torpore profondo. Poi riapro gli occhi febbricitanti e lei è sempre li, calma, sicura, con viso ben disposto verso di me.
Non so quanto tempo sia stato in quella condizione, forse ore, forse pochi attimi, forse niente, con la fronte che scotta e la testa dolente.
Lei si avvede del cerchio che mi stringe il capo e allora, con delicatezza, trasferisce la mano sulla fronte. Torna in me il torpore, mi addormento di nuovo. Devo aver riposato parecchio perché il mattino mi sveglio sul tardi madido di sudore. Le condizioni sono però migliorate. Mi alzo con difficoltà, faccio una doccia calda, ne avevo bisogno, mi cambio del tutto, e la mia mente si ricorda di qualcosa; si! la Dama che mi ha assistito la notte! forse anche il mattino! La rivedo tenermi la mano, sfiorarmi la fronte, guardarmi con comprensione. Ma questo è impossibile! di certo è stato un sogno! E poi perché non ha parlato? O mi sbaglio? Si, mi sbaglio! qualcosa l’ha detta, perché pian piano tornano in mente parole sussurrate come:
…”grazie per quanto fai per me, ti proteggerò giorno per giorno” …
Giorno per giorno! come? in che maniera? con chi? Questi pensieri si affollano, vanno e vengono.
Telefono a Milano, sapevano della mia indisposizione, sistemo varie cose via filo e mi trattengo in hotel un altro giorno. Infine antibiotici, antipiretici, cognac e altro fanno un discreto effetto e decido di rientrare, sia pur con cautela, con un unico tragitto a velocità ridotta fino a Milano, poi Varese. Strada facendo, se mi sentirò, mi fermerò per un’ora a Vicenza dalla signora Anna e marito.
Così sarà. Gli racconto tutto sul presunto contatto con la Dama in Nero, frutto certamente dei miei deliri, ma lei mi invita a non sottovalutare un bel niente, perché potrebbe essere non si tratti di uno scherzo della mente dolorante e in fiamme.
Mi affaccio brevemente agli uffici di Milano ove mi trovano sofferente (quante storie per un po’ di febbre), e poi a Varese.
Inutile pensare di farla franca con mia moglie. Si accorge subito che qualcosa di serio c’era stato, pur se in hotel avevo fatto lavare e stirare la biancheria sudata. Oltretutto qualche residuo di alterazione persiste e il mal di gola non è passato del tutto.
Encomiabile e strano l’atteggiamento di Nerone. Mi dicono che durante la mia assenza non aveva abbandonato il rifugio nel garage. Le sue manifestazioni di soddisfazione nel rivedermi non si contano.
Ci parlo un po’: …”ciao Nerone, sono giorni che non ci incontriamo eh? Sono stato malissimo, ho lavorato ugualmente, non potevo non farlo, e poi sai, potrei avere incontrato Chiara, la Dama in Nero come la chiamano. Però devo averlo immaginato, avevo la febbre alta. E che bello se fosse una realtà”...
Nerone ascoltò gorgogliando qualcosa, si strofinò sul mio petto e spalle, mi rifilò un morso più consistente del consueto, annusò a lungo il dorso della mano e lo leccò con la linguetta di carta vetrata.
Poggiò poi il testone sulla mia fronte, come faceva con qualche bambino, trattenendolo un bel po’, facendomi percepire il suo fremito di contentezza e comprensione.
La fronte e la mano non avevano ancora smaltita l’impressione della mano virtuale della Dama vicentina. Il contatto con Nerone mi aveva riportato a quei momenti stupendi di conforto e assistenza.
Quante illusioni e divagazioni per qualcosa che potrebbe essere solo il frutto della mente! Resterà che, irreale o meno, l’incontro triestino comportò per me un appagamento e una tranquillità che mi aiuteranno a superare il semestre che sta concludendo il suo ciclo, magari aiutato da qualcuno o, più probabilmente, da qualcuna.

auroraageno
00martedì 29 aprile 2008 08:36
E così la Dama in nero si è rifatta... "viva"! Che bella esperienza, Francesco.

Sai, l'ho notato anche negli altri tuoi racconti... mi ha colpito il compiacimento che provi ricordando l'importanza del tuo lavoro, dei contatti, la grande attività e mobilità, la tua vita insomma...
E' bello sentirsi così appagati del proprio vissuto.

Grazie... [SM=x142887]

aurora

florentia89
00martedì 29 aprile 2008 18:24
Torna Chiara - Parte tre di tre

Ci incontriamo di nuovo a Vicenza dalla signora Anna. Ci sono io, il marito, il parroco, col quale ero rimasto in contatto.
Discutiamo come agire. Il problema è semplice e difficile al tempo stesso. Non è da tutti i giorni bussare in casa di qualcuno e dirgli che nella loro cantina potrebbe esserci il corpo di una persona uccisa qualche decennio prima. E ciò con gente di stretta osservanza comunista. E se l’angolo murato fosse stato aperto in tempi successivi? E, pur se non aperto, non dovesse contenere nulla?
E se quanto scritto nella lettera e detto a voce fosse qualcosa di poco preciso, non dico poco veritiero?
Pensiamo anzitutto di non interessare inizialmente la forza pubblica. Si potrebbero drammatizzare situazioni passate e persone di allora, creare complicazioni. Lo faremo in un secondo tempo.
Proveremo, sempre riesca, a rendere il ritrovamento il meno traumatico possibile. Non scartiamo nemmeno l’eventualità che con le autorità comunali e partitiche del posto possa accadere che ogni cosa sia messa sbrigativamente a tacere.
Ci sarebbe poi la polizia mortuaria, ma la conosciamo bene. I loro interventi sbrigativi, poco rispettosi, fanno sorgere il dubbio che il corpo di Chiara, o quello che ne resta, finisca in qualche istituto di medicina legale e magari corra il rischio di sparire di nuovo.
Escludiamo anche la curia vescovile, potrebbe dimostrarsi timorosa e titubante per non inimicarsi uomini e organizzazioni di oggi.
Restiamo noi a tentarne un recupero ben fatto, provando ad agire con spirito di comprensione e pacificazione. Siamo certi che dell’eventuale ritrovamento sarebbero soddisfatti anche i resistenziali di allora, specie quelli che evitarono a Chiara di finire nelle fosse comuni.
Limiteremo la comunicazione pubblica, che pur ci dovrà essere, escluderemo condanne per gli uni e gli altri. Poi, a cose concluse, non potremo fermare gli scoop, restando il nostro impegno a non prestarci per interventi più o meno sensazionalistici.
Il parroco c’informa sugli occupanti della cascina, che sono i Ciocchi di sempre, da due-tre generazioni e forse più.
Il “patriarca” di oggi è anch’egli uno dei resistenziali d’una volta.
I conduttori della cascina, del podere, delle stalle, sono oggi due figli con le famiglie, mentre qualche figlio o figlia sono sistemati altrove.
Il parroco si offre da tramite per organizzare un incontro, che dovrò condurre io, in quanto loro coi preti parlano poco. Rinviamo tutto di qualche giorno, infine i Ciocchi accettano di vederci, in quanto ci sarà pure la signora Anna e il parroco, chiedendosi come mai tante persone, compreso un prete, desiderino parlare con loro.
Arriviamo al cascinale ove il figlio maggiore, sospettoso e sbrigativo, vorrebbe liquidare il tutto in cinque minuti. Gli chiedo un incontro plenario, ove sia presente il capo-famiglia, l’altro fratello, e le mogli. Finirà che prima uno, poi l’altro, ci saranno tutti.
Si affaccerà qualche ragazzino che verrà poi affidato ad una anziana di casa. Il parroco è conosciuto, specie dalle signore le quali, malgrado le idee maschili, avevano fatto battezzare i figli, mentre il figlio minore si era addirittura sposato in chiesa, diversamente dal maggiore.
Il parroco ci presenta affermando che dovevamo trattare un problema passato e desideravamo farlo con la prudenza che il caso richiedeva.
Il “patriarca” era già sul chi vive in quanto qualcosa gli diceva che avremmo toccato i suoi tempi, azioni, persone.
Anche la signora Anna, rivolgendosi con garbo a tutti, in particolare alle signore, accennò che avrebbero dovuto dimostrare comprensione in quanto, per quello che io avrei chiarito, si era scelto un intervento diretto, escludendo altre persone o autorità. Ciò generò un irrigidimento negli uomini e una curiosità apprensiva nelle donne.
Che a volte nel loro cascinale, un tempo occupato dai partigiani, fosse nascosto un deposito di armi, un tesoro, la borsa del Duce che stavano ancora cercando? Il “decano” ci assicurò che se avessimo pensato a qualcosa del genere sarebbe un errore, in quanto lui della cascina, che rioccupò nel 45, ne conosceva ogni centimetro quadrato.
Poi iniziai io, ma si era fatto il tardi delle campagne, che per noi è la fine del pomeriggio e per loro è ora di cena. Allora la signora Anna, d’accordo con le altre, propose di rimandare l’incontro a dopo il break per desinare, visto che ci avevano invitati ad essere loro ospiti. Questo perché io avrei dovuto fargli un discorso il quale, pur telegrafico, avrebbe richiesto un certo tempo. Inutile dire che la pausa sarà accettata di malavoglia da parte degli uomini.
Col desinare, polenta bianca al posto del pane, formaggio fresco, gallina bollita, patate, vino rosso, mele, ci fu’ la variante che io ingollai un piatto di polenta postomi accanto da non poterne più, non volendo fare sgarbi di rifiuto, e invece mi diranno poi, con un sorriso benevolo, trattarsi di uno dei piatti collettivi e non riservato solo a me!
Così, finito il desinare, attorno al grande tavolo, con una brocca di vino e qualche bicchiere fra noi, affronto il problema.
…”Allora, abbiamo avuto modo di conoscerci un po’ e dobbiamo parlare di un evento e chiedervi un agire di conseguenza”…
Parlo con tutti ma il mio sguardo è rivolto al “decano”, così si rendono conto che parlo di cose e fatti suoi, non loro.
…”Potrei dirvi in cinquanta parole che in casa vostra potrebbero esserci armi, documenti, e così via, ma ciò non sarebbe sufficiente. Prenderò le cose un po’ alla larga, comprenderete meglio e giungeremo alla conclusione dovuta.” …
Furono d’accordo, specie le donne, i cui occhi brillavano di curiosità. …”Allora comincio da oggi. Vi espongo un qualcosa di personale accaduto a me, che sono del centro-Italia, non delle vostre parti, circa un fatto che ignoravo, e non è che conosca bene ancora oggi”…
E gli racconto in parte l’excursus dell’incontro vicentino, vero o meno, della Dama in Nero, delle sue colleganze con i tempi di allora e oggi, nulla nascondendo ma cercando di ammorbidirne l’impatto.
Le donne di casa erano diventate quattro. Espressero più volte il loro stupore, si segnarono con la croce. Gli uomini evitarono interventi, consci che la vicenda li avrebbe comunque coinvolti. Il più pensieroso era il papà, al quale si erano dischiusi tempi non dimenticati.
Passo così al fatto specifico, rivolgendomi a lui:
…”Lei che è stato nella resistenza ricorderà la scomparsa in paese di Chiara X, ispettrice durante la RSI, che avvenne a guerra finita.
Lui annuì, forse ne sapeva qualcosa, comunque proseguii:
…”Ebbene, ci fu qualcuno che allora ruppe il muro di omertà che si era creato. Si seppe che Chiara X venne fatta fuori in malo modo. Stessa fine fece il vostro “Duca”, su cui non si è voluto mai indagare a sufficienza. Il corpo di Chiara, dopo alcune peripezie, è sparito e non è stato più trovato. C’è chi dice che la sua presenza non possa aver pace fintanto i resti non trovino un riposo degno”…
Le donne seguivano il discorso ansiose. Gli uomini con scetticismo.
Poi il figlio maggiore ruppe il silenzio e disse:
…”Bene, a parte le cose strane da lei dette, che non stanno né in cielo né in terra, mi sa dire che c’entriamo noi?”… Replicai:
…”C’è che Chiara, la ragazza che fece parlare di se in paese e attorno, dovrebbe essere in questo cascinale, in casa vostra”…
Le donne sobbalzarono, dissero giaculatorie.
Gli uomini si alzarono, allertati da cose che rifiutavano ma sapevano poter essere vere. Lo sguardo che mi stavano rivolgendo non era ostico, ma nemmeno amichevole, come mi fossi permesso di rompere uno status ormai definito e accettato. Proseguii:
…“Furono tempi duri che lei, uomo della resistenza (mi rivolgo al padre), e io ragazzino nella Repubblica, vivemmo con sofferenza. C’è poi che non avrei mai creduto di trovarmici dentro, pur se ho preso a cuore il problema”...
…”Dov’è Chiara? dovrebbe essere, anzi è, salvo imprevisti, sotto la volta della scala che da questa cucina porta in cantina, è stata inserita in un pertugio e lì murata con qualche mattone e calcina”…
Allora il padre, pallidissimo, poggiò la fronte sulle mani, pensò a qualcosa di lontano, poi, quasi urlando, disse a voce concitata:
…”E’ vero! ricordo! Nel sottoscala c’era un angolo ove quand’ero ragazzo si teneva qualche “carega” (sedia) e un po’ di legna. Oggi non c’è più, perché? chi l’ha eliminato? Io conclusi:
…”noi abbiamo pubblicato un annuncio di ricorrenza e ricordo. C’è stato qualcuno, che lei conosce ma non dirò chi sia, il quale si è rivolto al parroco. Ne è venuta fuori una dichiarazione-confessione e una lettera, che vi leggerò solo in una piccola parte di interesse comune che ho evidenziato. Chi l’ha scritta fu presente allo scempio e fece parte del gruppo che ammazzava poveri cristi, forse c’era anche lei”…
Lessi lentamente poche parole, marcando il finale che indicava con esattezza il luogo ove Chiara si trovava. Ci furono da loro interruzioni, dubbi, ne venne che i tempi si erano allungati e s’era fatta notte.
Noi avevamo già deciso di pernottare in loco, pure se avevamo sperato di concludere quel giorno stesso e non il successivo. Saremmo stati ospiti del parroco che disponeva di una canonica, e in qualche modo ci saremmo adattati, coadiuvati dalla sua assistente.
Dovevamo però chiudere almeno una prima fase e chiesi al decano:
…”Senta, senza che al momento si tocchi nulla, perché non diamo uno sguardo a questo benedetto sottoscala?”…
Lui annuì e dalla cucina scendemmo nel vano sottostante. Una luce c’era, ma era poca, distante, non agevole. Sotto la scala il punto che ci interessava si trovava praticamente al buio.
Venne fuori una grossa lampada di ermergenza, usata per i loro lavori, così con quella luce demmo uno sguardo. No! non c’era più traccia dello spazio d’una volta. Il muro era indubbiamente liscio e indistinguibile dagli altri attorno.
Il “patriarca” disse: …“si! era qui, c’era! e se non fosse stato per oggi l’avrei dimenticato. Quando l’avranno murato? Di certo nel periodo dopo il fronte, quando qui ci furono i partigiani”…
Ci sarà poi il ritorno di tutti da un provvisorio sfollamento. La vita riprenderà. Il duro lavoro anche. Ma a quell’angolo nessuno fece più caso, né allora, né successivamente.
Il figlio maggiore osservò il muro, lo toccò, lo batté con le nocche e il fondo di una bottiglia di vino. Ne venne un chiaro rumore di vuoto, come un cupo colpo di tamburo.
Tutti erano silenti. Le donne avevano le lacrime agli occhi. Una di loro salì e ridiscese con un lumino di cera che accese, lo pose in terra, assieme a un’immagine della madonna.
Il padre chiese a me e la signora Anna di pernottare da loro, mentre il parroco sarebbe tornato l’indomani. Nel frattempo avremmo deciso che fare. Accettammo. Tornammo di sopra, mentre la signora anziana rimase a far compagnia a Chiara, forse al nulla.
A noi e tutti prepararono del latte caldo in quanto ci eravamo infreddoliti, mentre una signora rifece il suo letto, sfrattando il marito, per ospitare la signora Anna, mentre io e il consorte ci accomoderemo in una stanza di servizio, ove erano alcune brande per i lavoratori ingaggiati nei momenti di bisogno.
Il mattino presto trovai il padre in piedi, aveva riposato poco, disse:
…”Parliamo un po’ fra noi…”…
Così, oltre qualche ricordo del tempo suo e mio, e considerazioni sui figli e tempi di oggi, ben diversi da quelli d’una volta in cui i padri erano più rispettati, toccammo il problema di Chiara, sempre l’avessimo trovata. Decidemmo così alcune cose. Anzitutto di avvertire le autorità a cose fatte, in quanto la presenza di un corpo in casa di un ex partigiano avrebbe condotto a perplessità difficili da fugare, malgrado amnistie e colpi di spugna sul passato.
Poi che non avrei resa pubblica la lettera in mie mani in quanto, anche senza fare nomi, avrei messo in difficoltà alcuni del paese, o i loro figli, nonché in cattiva luce la resistenza per un episodio che essa avrebbe voluto non si fosse mai verificato.
Infine far gestire il ritrovamento solo dal parroco e da lui, l’anziano di casa, facendolo figurare conseguente al puro caso, per motivi di lavoro e ristrutturazione, con noi che dovremmo allontanarci subito, pur rimanendo in contatto per eventuali collaborazioni.
Nel frattempo si è levata la signora Anna, la ragguaglio sui nostri intendimenti che la trovano consenziente. Il decano afferma che, se Chiara verrà trovata, si interesserà affinché ci siano funerali pubblici, con intervento anche di ex partigiani, a titolo di rincrescimento, dissociazione, riappacificazione.
Latte, caffè, pane di casa, burro, e facciamo un po’ di colazione, servita in scodelle fonde, quelle per la minestra, come loro usano. Poi il figlio maggiore prende una prolunga elettrica con una lampada più consistente della prima, la cassetta dei ferri, e giù tutti in cantina, ove il lumino della sera prima, o un altro, arde sempre, con l’anziana rannicchiata in una sedia. Probabile non si sia mossa per la notte.
Onde creare una certa realtà d’intervento il figlio maggiore cercherà di fissare sulla parete un grosso gancio ove appendere attrezzature agricole, così, con mossa decisa, incide il punto ove dovrebbe fissarlo e giù una martellata, un’altra, un’altra, un’altra, un’altra ancora, per creare il foro di fissaggio.
Qualcosa si muove. Un ultimo colpo e un mattone cade all’interno.
Anche quelli circostanti si sono un po’ staccati, senza cadere, e possono essere rimossi, accantonandoli in terra.
Aperta la breccia si attende cosa faccia il vecchio. Egli allora, afferrata l’impugnatura della lampada e tenendola avanzata col braccio, si affaccia all’apertura trattenendosi qualche attimo in silenzio. Poi ritira la luce, si gira, ci guarda e lentamente dice:
…”ostrega, c’è, c’è, benedeta madona, c’è”…
Anche i figli e le signore si affacciano per qualche attimo in quello spazio il quale, dopo tanti anni di buio, è ora inondato di luce. Poi, con un cenno di consenso, permettono a noi di dare uno sguardo.
Mi affaccio con il cuore in gola, il corpo c’è, ben riconoscibile e, se così può dirsi, discretamente conservato, anche in considerazione che nel cubicolo non c’è umidità e non ci sono stati roditori o parassiti. Si evidenzia bene la presenza. Chiara è rannicchiata, un braccio è aperto.
Ciò sembra in contrasto con quanto indicato nella lettera, ove si dice che era stata posta supina. La conclusione è che Chiara, in fase di chiusura del pertugio, venne adattata onde poterla sistemare in quel buco angusto. Il partigiano-zio la vide prima della chiusura e ritenne fosse rimasta come lui rammentava.
Il parroco, sopravvenuto, benedirà la salma, nulla verrà toccato, e comincerà la scena guidata del ritrovamento casuale.
Io e la signora Anna ci allontaneremo, come non giunti mai sul posto. Prima di partire rivolgo un saluto a Chiara e gli sussurro:
…”Ce l’abbiamo fatta, visto? Ci incontreremo, ciao”…
Chiara era tornata.
Il ritrovamento si cercò di tenerlo sottotono. Gli addetti ufficiali vennero tutti. Il corpo fu rimosso e riconosciuto dai familiari anche per delle cose personali, due anelli, resti vistosi degli abiti, un portafoglio corroso, ove qualcosa di un documento confermerà anch’esso l’identità. L’anziana madre avrà la felicità di riavere la figlia, che non gli fecero però vedere, lasciandogli l’illusione che fosse rimasta come un tempo, come sempre.
Ci sarà una cerimonia funebre con la presenza delle autorità.
Anche il partigiano-zio pentito, compilatore della lettera, ne rimarrà soddisfatto e parteciperà alle esequie (restando fuori dalla vicenda).
Io lo visiterò, gli renderò la lettera e la bruceremo.
Chiara l’immaginai nella nuova sistemazione, ci ragionai, ci parlai.
La signora Anna e il marito rimarranno entusiasti dell’esito ottenuto.
La Dama in Nero non la incontreranno più nel vicentino. Nerone se ne andrà inaspettatamente e sparirà nel nulla.
Io riterrò che Chiara, la signora della mia serata vicentina fredda, umida, uggiosa, sia in qualche modo ancora accanto me.
auroraageno
00mercoledì 30 aprile 2008 09:01

La parte del racconto dove appare per la prima volta la lettera del parente, non è scritta qui. Forse nel mezzo erano annotate altre cose e tu hai estrapolato la terza parte, Francesco?
Comunque sia, è comprensibilissimo tutto.

Ho letto come si legge un romanzo avvincente. Col fiato sospeso.

Bellissima storia, anche se triste. Ma è accaduta realmente...

Grazie, Francesco. Non dimenticherò facilmente questa vicenda.

aurora

ELIPIOVEX
00mercoledì 30 aprile 2008 13:42
Mi accodo agli applausi!
Ho trovato la storia appassionante!
ELIPIOVEX
00mercoledì 30 aprile 2008 20:56
ho unito le tre parti perché cominciano ad esserci un po' troppe storie a puntate e si mescolano tra loro creando confusione.
Spero che la cosa sia gradita.
florentia89
00mercoledì 30 aprile 2008 21:32
Sta bene, però ascoltate la mia necessità:
Fate in modo che io possa correggere i miei scritti, come fossi un moderatore, magari di me stesso.
Ciò si rende opportuno in quanto i miei post di norma non sono brevi e, nel rileggerli, mi avvedo spesso che, malgrado il controllo preventivo effettuato, residuino degli errori di battitura, ortografici e simili.
Fatemi sapere se potete fare ciò.
Saluti
ELIPIOVEX
00mercoledì 30 aprile 2008 21:48
Gli autori hanno un'ora di tempo per correggere i propri post.
Di più non si può fare mi dispiace (non esistono moderatori di singole cartelle). Se vuoi Francesco ti correggo qualche svista mentre leggo [SM=x142888]
florentia89
00giovedì 1 maggio 2008 08:37
ok, ho capito
Bene, se è così cercherò di far eventuali correzioni entro un'ora. In caso di impossibilità e vera necessità ti interpellerò. Ok?
Ciao
ELIPIOVEX
00giovedì 1 maggio 2008 14:50
Volentieri Francesco!
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