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Fabio Pusterla: "Le terre emerse"

Ultimo Aggiornamento: 08/03/2011 08:03
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Consiglio la raccolta pubblicata da Einaudi del poeta italo-svizzero Fabio Pusterla (classe 1957), la cui poetica è per certi versi unica nel panorama della lirica italiana. I temi centrali di Pusterla sono quelli comuni alla gran parte della poesia post anni 70: la continuità fra vivi e morti, il confronto scontro con il nichilismo, lo sfasamento fra lingua e cosa, l'impossibilità di attingere ad una qualsiasi forma di trascendenza. Le peculiarità del poeta ticinese sono: una visione del continuità delle generazioni vista sia come continuità culturale (da qui le non infrequenti poesie sociali e politiche) sia biologica, in quanto l'uomo si trova inserito nella spirale evolutiva della natura, di cui è stretto parente tanto da poter chiamare antenata l'alga, la salgemma, ecc. un'ossessione (presente soprattutto nelle prime raccolte) di nominare con il proprio nome scientifico gli elementi naturali, quasi che la forza della parola potesse giungere fino all'evocazione magica, per poi constatare che questo nome non è che un etichetta, a cui l'oggetto rimane indifferente. Eccovi alcuni testi:

Allievi


Li incontro sulle piazze
o in qualche bar, li riconosco
quasi sempre, e penso cosa diventano,
adesso, tutti quegli occhi, quelle dita.
Carburatori cravatte. Certi timidi,
altri perfino odiosi. E i devastati,
quelli che leccano l'asfalto.
E infine anch'io,
che ho in mano cetrioli e carta igenica.


Senza titolo

E poi qualcuno va, tutto è più vuoto.
Se ci ritroveremo sarà per non conoscerci,
diversi nei millenni, nella storia
faticosa di tutti; e intanto arretrano
i ghiacciai, s'inghiotte il mare
lo stretto, ed il passaggio
è già troppo profondo, impronunciabile,
sepolto nel passato del tuo viaggio. Se ci ritroveremo
non ci sarà memoria per me, insetto,
per te, fatto farfalla tropicale.
D'altra parte, lo sai, non ci vedremo
più. Nessun colombo verrà, nessuna pista
a ricucire lo strappo, la deriva
di morte.


Dum Vacat

Ma spiove, è notte, o sera;
anonima la strada,
solitaria nell'andare tra le altre
che da lei si dipartono a ogni incrocio.
Dagli ultimi semafori
lampi, scatti metallici
aranciati. Poi macerie o depositi,
assi divelte, latrati.
Muri d'alberi neri, cespugli e rare case
illuminate? Una distesa
di freddo guarda immobile
il tuo asfalto bagnato


A Nina che ha paura

Gli scricchiolii notturni e quel silenzio
irreale: foglie, voci lontane, uno sciacquio
forse grossi pesci nel lago. Anche la luna
che passa ha la sua voce
lunare, di capra gialla. Ed è il tuo turno,
stavolta, di vegliare
su me, sul mio respiro
che ogni poco svanisce nel buio.
Ma non pensarci, se puoi,
non preoccupartene;
so troppo bene cos'è svegliarsi di notte,
tendere invano l'orecchio, maledire
il nulla che ci attornia,
un muro inerte.

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17/02/2011 21:02
 
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Ho letto con attenzione e ti ringrazio per la disponibilità perchè è nel con-
fronto che impariamo, possiamo non condividere ma dobbiamo tenere conto di altri sguardi sulla vita e sulla morte. [SM=x142887]
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08/03/2011 08:03
 
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Lo trovo assolutamente discorsivo, aritmico con ritorni a capo assolutamente casuali e trovo scorretto l'uso della punteggiatura.
Il suo pensiero in genere mi arriva superficialmente descrittivo con poche punte di emozionabilità.
Secondo me queste non sono poesie ma pensieri liberi, non speciali.

Giancarlo


...

- Quando le parole hanno la musica dentro e la strofa è canto, allora il pensiero è diventato poesia.- (Cobite)
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