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La Memoria

Ultimo Aggiornamento: 28/01/2017 19:29
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La Memoria

Non ne siamo usciti indenni. È la frase ripetuta sempre uguale, con la stessa tonalità di voce da una donna curva solo nel fisico, ma che non si è mai fatta piegare dagli eventi. Non ne siamo usciti indenni. È la frase ricorrente delle domeniche passate nella mia isola felice: intorno a un tavolo da cui non ci si alza senza aver mangiato primo, secondo, contorno e frutta, dal posto centrale di un divano in pelle che in ogni altro posto non mi piacerebbe ma lì è proprio bello, da una piccola cucina in cui ogni settimana, estate o inverno che sia, viene preparata la salsa fresca. È arrivato molto spesso il momento in cui questa frase viene pronunciata. Non ne siamo usciti indenni: un attimo di gelo in mezzo al tepore in cui veniamo sempre accolti.
In questi giorni tra un digiuno fatto anche in ricordo delle vittime della Shoà di cui non si sa il giorno di morte e il luogo di uccisione e l’imminente giorno della memoria istituzionale, mi viene da pensare al concetto di memoria. Io non ho bisogno di un giorno della memoria: mi basta guardarmi accanto ogni domenica a pranzo, sentire la stessa voce che mi augura la buona notte ogni sera, alzare la testa in un ripostiglio sempre gelido e vedere materiale di ragazzi mai diventati adulti per ricordare o, più precisamente, non dimenticare. Memoria per me è da sempre qualcosa di collegato alla scoperta. Da bambina sentivo frasi che mi facevano capire che c’era qualcosa di non detto e io, anima curiosa, mi interrogavo su ciò che sentivo. «ve lo racconterò magari dopo che avrete fatto il bat-mizvà» mi è stato detto più di una volta: «a dodici anni sarò grande» pensavo. La mattina di quella domenica mi sembrava di dover dimostrare al mondo, e a qualcuno in particolare, che ero diventata grande, che avevo fatto miei i rudimenti per poter essere considerata in grado di custodire un segreto. La scoperta era prossima. Nel mio abito panna e rosa ho risposto con la mia voce acuta a tutte le domande a cui mi lasciavano rispondere durante l’esamino che ha preceduto la mia effettiva maggiorità religiosa. Ho sempre voluto credere di aver reso orgoglioso mio papà, che si aggirava stranamente sorridente all’interno del luogo in cui, sotto al suo telo da preghiera tenuto fermo dalla sua grande mano ho ricevuto innumerevoli benedizioni. Ero diventata grande.
Non è andata così, non ho saputo a dodici anni ciò che era successo alla mia famiglia: la mia curiosità non ha mai vinto contro la paura di toccare cicatrici, segni di ferite non sanguinanti ma ancora e sempre dolorose. Ci sono voluti due lustri per capire, mettendo insieme i pezzi: una frase detta dando per scontato che si sapesse tutto, qualche parola in più detta durante uno sfogo, una riflessione fatta ad alta voce, i pochissimi racconti fatti perché «queste cose mettono tristezza… ma è la storia della vostra famiglia, è giusto che sappiate» mi hanno permesso di avere una visione (quasi) completa di ciò che ha vissuto la mia famiglia.
Memoria per me è diventato sinonimo di scoperta e di voglia di perseverare: si apprende, si conosce, si fa propria la storia, personale e non, solo se si vuole e ci vuole costanza e determinazione per elaborare e agire di conseguenza. Solo così la memoria non diventa un fine, ma uno strumento per evitare che il passato sia futuro.
«Evviva la libertà» si sente ripetere spesso dalla stessa persona che mi siede accanto ogni domenica a pranzo, custode di un passato pieno di privazioni e atrocità che le ha segnato la vita in modo irrimediabile.
Ecco cosa è la memoria per me e cosa vorrei fosse per molti: prima desiderio di scoperta e poi strumento necessario per custodire gelosamente la nostra libertà.
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28/01/2017 19:29
 
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Grazie per il tuo scritto! Ci giunge proprio in occasione del Giorno della Memoria perche' il mondo non dimentichi mai e s'impegni a far si' che non possa mai piu' accadere una simile atrocita'.


...

Giovanna
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