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Una sera intossicato dagli eventi

Ultimo Aggiornamento: 22/05/2015 12:31
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22/05/2015 12:31
 
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Viaggio senza meta su questa Terra intossicato dagli eventi, e il grigio dell’asfalto si fonde alla fievole luce dai lampioni, un auto mi attraversa, è una creatura spaventosa, di chi sono queste gambe che muovono sotto i miei occhi? Queste braccia oscillano, mi accompagnano, vogano al mio fianco, tutto accade fuori ma io sono qui dentro, qui in alto, sono un pensiero, etereo, osservo, immagino anch’io d’aver posseduto una volta un corpo, ma questi arti, questa carne, non sono miei…
Avanzo nella scura curiosa nebbia di neon, asfalto e cemento, viaggiando su questa nave di carne che mi trasporta, le acque calme e deserte della strada oscura ondeggiano lentamente, respirano, si dilatano e si ritirano, prendono fiato, essa mi accoglie nei suoi polmoni, buffa, intensa strada che l’uomo creò a sua immagine, palpitante, solenne, umida, misteriosa strada, questa barca naviga dolcemente per il tuo Acheronte.
Ma l’immagine di una realtà più confacente alla materia si impossessa di me per un doloroso momento, la mia barca si fonde col mio essere in un istante di spiazzante verità mettendo in dubbio il mio universo, l’idea di questo viaggio che si protrae troppo a lungo, che sia ormai smarrita la strada di ritorno, la destinazione è troppo splendente da afferrare e in questo limbo si palesa l’idea di essere folle…
Sono pazzo?…felice, isterico ma pazzo! La mia barca torna ad essere una barca ma adesso le acque si lamentano, il torrente è in piena, discendo una rapida con i miei remi che si agitano velocemente tra le rocce, sorrido alla mia nuova follia, percorro la strada veloce e ansioso, scorgo quella che in tempi umani chiamavo casa, non ci faccio caso e continuo a remare, la meta è perduta, sono alla deriva, sono Ulisse e ho rinunciato alla mia Itaca, troppo ammaliato dal canto delle sirene e nessuno mi ha legato all’albero maestro.
Forse la follia è quello che ho sempre cercato, la meta ultima della mia esistenza, sono una pecora smarrita che non vuole essere trovata, non sono mai stato interessato alle mete imposte da questo mondo sistematico, obiettivi privi di valore, inutili traguardi materiali, disgustato dall’impeto utilitario nel quale sono stato incasellato, quando quell’uomo scellerato mi strappò dal calore dell’utero materno ed esalando il mio primo respiro mi ritrovai coperto d’acciaio e cemento, piansi, e il piato di quel terribile giorno ritorna adesso con lo stesso significato, rinasco oggi in un nuovo mondo, un mondo estremamente più vero, traboccante di significato, e le lacrime solcano le mie gote costeggiando il mio folle sorriso che si protrae nell’eternità.
Abbiamo inventato la pazzia per illuderci di essere sani, additando il saggio perché inutile all’inutile società, ed egli messo all’angolo si è convinto di essere folle.
Percorro questa strada che divide paradiso e inferno conscio della mia nuova natura e mentre penso che questo viaggio non avrà mai fine, scorgo all’orizzonte come un mozzo che scorge la terraferma dalla sua coffa, la fine della strada, una ringhiera verde smeraldo che si affaccia sull’enorme gravina che divide in due la città, mi fermo a contemplare quell’enorme ferita nella terra, una cascata di roccia che cade nell’abisso e da quello risale per quaranta metri verso il cielo, coperta a chiazze verdi di vegetazione e dalla quale, sul punto più alto si erge il vecchio castello in equilibrio sul vuoto , mi affaccio ad osservare quelle grotte che una volta ospitavano antichi maghi e creature leggendarie e penso di porre fine al mio viaggio, basta un salto da quelle rocce, un tuffo in quel baratro per poi, come la roccia, risalire verso il cielo, ma in un'altra forma, nella forma che ho sempre, silenziosamente, desiderato.
Ma l’altra realtà torna ancora con rinnovata violenza facendo tremare le mie ossa, prendo coscienza del mio corpo ancora una volta, quelle gambe sono le mie gambe, queste braccia non sono remi, questo stomaco dolorante è il mio stomaco dolorante, è il richiamo della nuda realtà materiale che rigetta quella spirituale che dallo stomaco risale e fuoriesce dalla mia bocca bruciando la mia gola e facendomi piangere come in ogni passaggio da un mondo ad un altro, il pianto è la chiave della porta di ogni universo, il rito di passaggio necessario… e mentre guardo il vecchio mondo palesarsi ed il nuovo affondare nella terra, un torpore pervade la mia guancia e all’orizzonte, dietro la torre di pietra dell’antico castello, il sole timido dà il suo primo sguardo a questo mondo, è il nuovo giorno che ritorna e la vita che rinasce…
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