Vivere e Morire

VIVERE E MORIRE


Immagino la vita, continuamente, senza posa.

Osservo un film dove qualcuno ama, soffre, si annoia; lo osservo davanti allo specchio muto del futuro che non conosco, mentre una fragile membrana di nylon copre, protegge, separa in ombre e correnti gli esterni dagli interni.

Immagino la realtà che non ho, e la immagino come mia, nel divincolarsi di un presente dove è sempre un bianco mezzogiorno, e il tempo si è fermato a guarderci, come si guarda un qualsiasi folle che parla da solo in mezzo alla strada.

Vivo queste realtà fatue ma autentiche come tracce tratteggiate che si snodano parallele alle traiettorie confuse della vita oblunga che abito, sguazzando maldestro nello spettacolo dei miei pensieri e di quelli che attribuisco agli altri. Vivo e vedo e sento e fuggo, spesso senza lasciare tracce e quasi sempre senza afferrare nulla con le mani, per portarlo via.

Ma per portarlo dove?

Il dove è un luogo in fuga che sprofonda nel dopo, il lungo dopo che sovrasta questa pianura dipinta come una carta geografica in cui piccolissimo mi guardo intorno. Potrebbe esserci un dove quadrato dove chiudere le bisce che mi strisciano nei nervi quando sento di perdere il mio tempo come sabbia tra le dita? Potrebbe esserci un luogo oscuro, morbido e profondo, dove soffocare lentamente di felicità caramellata... E illudersi di morire, dietro allo splendido sipario di velluto rosso, solo per un minuto... solo uno,... perfavore.

Ma poi subito il pavimento di vecchie assi del palcoscenico si romperebbe, per lasciarci di nuovo cadere, volando a cavallo dei nostri occhi stupiti, nel deserto dei duecento soffi di vento spinosi.

Da dove il viaggio, ogni volta più sublime, ricomincia.