mosquito4
00domenica 22 febbraio 2004 16:53
Aveva deciso di partire, di mollare tutto e di andarsene via lontano per un po’ di tempo. Aveva deciso che avrebbe vagato senza meta per la penisola, o magari avrebbe sconfinato in qualche campagna straniera. Aveva deciso di preparare la valigia con poche cose e salutare, forse per sempre, il suo studio ormai vuoto e riodinato; come se fosse stato messo in attesa di un’altra persona. Di Cristina rimanevano solo poche tracce testimoni del suo passaggio: le tele graffiate raccolte e riposte con la faccia al muro, il vassoio asciugato e rimesso nell’armadio senza un’anta. Erano passati solo due giorni da quando lo stanzone era stato chiuso a chiave, solo due giorni dal suicidio di suo padre; avevano pensato a tutto i parenti, riguardo al funerale, per tenere Cristina il più lontano possibile dal dolore che non riusciva a provare. Un’infinità di ricordi erano stati cancellati, due giorni prima. Solo pochi sogni non erano andati bruciati. Cristina li aveva risparmiati, erano alcuni paesaggi a cui teneva molto e per dipingere i quali non aveva usato alcun impulso espressivo, ma ci aveva messo una vena impressionista. Non avevano niente a che fare con le angoscie esistenziali provate nella sua adolescenza, né con le lacrime causate dalla crudeltà di un padre che si credeva troppo nobile per avere eredi femmine. Chiuse la valigia e la appoggiò per terra, si diresse verso lo specchio, la sua immagine non aveva caratteri aristocratici. La sua stanza era molto ampia, ma non sapeva cosa farsene di tutto quello spazio. Una breve occhiata allo specchio e poi uscì trascinando la valigia a rotelle. Non chiuse la porta. Prima di scendere si diresse verso la stanza di suo padre. Rimase ad osservare la sua assenza silenziosa. Era arrivato fino alla finestra, trascinando dal letto il peso della sua vecchiaia. Si riuscivano a udire i passeri dal cortile su cui si affacciava la finestra. Il sole filtrava dalle persiane e disegnava linee ondulate sul letto che cadevano e si rendevano parallele al pavimento. La polvere rendeva visibile il percorso dei raggi solari. Lo specchio sembrava ancora riflettere l’immagine del padre, come una pellicola fotografica rimasta impressionata e che piano piano fa sbiadire l’immagine per catturare altra luce. In un’illusione creata dalla sua immaginazione vedeva i suoi capelli grigi, il volto pallido e quei baffi sottili… L’amore e l’odio per quella persona si alternavano producendo strani giochi di luce e di emozioni dentro Cristina.
Che buio c’era in quella stanza.
La ragazza entrò e dopo alcuni passi si trovò davanti alla finestra. I passeri continuavano a giocare e ridere di quel giorno, si udivano anche le cicale rintanate sui pini. La sua mano sfiorava lentamente la superficie d’ottone della maniglia della finestra; gli spessi muri della villa sulla collina mantenevano fresche le stanze e quando Cristina aprì i vetri caldi irruppe nella camera una vampata di piacevole calore solare. Quando spalancò le persiane la quantità di luce le fece male agli occhi, udì alcuni insetti volare via. I passeri erano fuggiti, le cicale tacevano, ma ripresero subito i loro sistri funebri.
Il cortile si apriva sotto di lei. Non era poi così ampio: c’era dell’erba che riusciva a infiltrarsi nelle fessure tra i lastroni di cemento che pavimentavano una piccola area popolata da un tavolo e da poltroncine di legno e ferro. A destra si prolungava l’ala che ospitava lo studio. A sinistra il piccolo prato abitato dallo stagno con le tortore sempre presenti, la catena del cane ormai inutile (Cristina l’aveva regalato alle sue cugine) penzolava dal muro della finestra a cui era affacciata Cristina. Oltre la staccionata il poggio cadeva bruscamente e poi addolciva il suo fianco ospitando pini, qualche ulivo ed erba secca e vipere. L’orizzonte era occupato dalla valletta stretta e secca che si apriva su una piccola baia sul mar Ligure.
- Ti sei buttato da qui. Mormorò Cristina.
- Non sono venuta al tuo funerale.
Le campane suonavano.
Pausa.
- Sei un codardo.
Il verso di un gabbiano.
Si voltò, prese la valigia ed uscì dalla stanza. La camera era diversa, adesso: lo specchio non rifletteva che l’ambiente circostante e la luce ripuliva la mente dai ricordi. A volte odio e amore si uniscono a formare un sentimento unico simile all’indifferenza.






mimosa46
00domenica 22 febbraio 2004 18:36

rimango sempre sospesa nell'attesa del seguito...hai una dovizia nel descrivere i particolari, che possono sembrare superflui, mentre invece rendono la scena come un film..."entro" e "vedo".

splendido [SM=x142871]

Lucia [SM=x142909]
fiordineve
00lunedì 23 febbraio 2004 23:02


Ecco spiegato il disagio interiore di Cristina; la mancanza d'amore di un padre (e io lo so benissimo) ti danneggia lo spirito e ti imprime una ferita che non si cicatrizzerà mai.
mosquito4
00martedì 24 febbraio 2004 08:07
grazie M.anto, non sapevo come andare avanti col racconto. però mi dispiace scrivere cose di questo genere... non mi appartengono realmente.

Davide
danzandosottolaluna
00giovedì 26 febbraio 2004 22:11


e qui sta l'Arte...
nella finzione che passa per reale...

Grande, tu[SM=x142886]



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