ed eccomi qua, fedele nei secoli come un carabiniere :D
spero di riuscire a spiegare tutto, dato che si tratta di una materia, come abbiamo già visto insieme, complessa e variegata
dunque, come primo punto, torniamo alla fierezza, in rapporto all'orgoglio
come dicevo, fierezza pertiene a ciò che si fa, orgoglio a ciò che si è
se guardi bene, i due esempi che fai sono del tutto analoghi, dici:
- sono fiero di te perché hai avuto il coraggio di andare controcorrente;
- sono fiero di te perché hai sposato un uomo povero ma onesto e lavoratore;
in realtà sono due azioni, "ciò che si fa", andare controcorrente e sposare un uomo povero
l'orgoglio per come lo si intende riguarda "ciò che si è": sono orgoglioso perché sono ricco, sono orgoglioso perchè ho comprato una maserati biturbo (che dà uno status sociale), sono orgoglioso perché il nome del mio casato rappresenta la difesa della patria
in questo senso l'orgoglio non riguarda qualcosa di cui essere fieri, al contrario non riguarda neanche cose che ci diano merito, dove sta il merito se si ereditano fantastiliardi?
sono orgoglioso perché sono stato ammesso all'esame (quando invece si dovrebbe dire, sono fiero di aver studiato e fatto completamente il mio dovere, e questo io lo so, anche se non fossi stato ammesso)
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poi abbiamo il contrasto, che tu sottolinei, fra ironia e sarcasmo
e qui devo darti torto
l'ironia è una figura retorica che si svolge in poche parole, che tende a dare risposte in genere scherzose e leggere, ma che possono essere più o meno pungenti, oppure a sottolineare garbatamente difetti (sempre morali o di linguaggio), per lo più per evitare risposte dirette, che si suppone sarebbero sgarbate
presuppone un interlocutore, un pubblico (che il parlante ama pensare che capisca i suoi doppisensi) e lievi mancanze dell'interlocutore che si risolvono in poche battute, in un testo in una frase, massimo due
il sarcasmo invece presuppone cattiveria, vuole trasmettere una grande incazzatura, può presupporre -ma non necessariamente presente- un interlocutore ma richiede sempre un pubblico
chi usa il sarcasmo vuole apparire profondamente intelligente -e possibilmente solo lui-, usa toni pesanti e aggressivi e il suo fine è quello di insultare, avvilire, umiliare, abbattere, sottomettere
sia l'oggetto del sarcasmo sia i presenti ossia il pubblico
può rivolgersi anche a un oggetto generico, come l'umanità, la politica, piove governo ladro, che imbecilli i giovani d'oggi
la finalità non palese è quella di recuperare ai propri stessi occhi un valore sentito come mancante, in sostanza di compensare un complesso di inferiorità che non dà scampo, in quanto chi agisce cosi è realmente inferiore
abbastanza intelligente da latamente percepirlo, ma non abbastanza da cambiare
abbiamo però altre forme, certamente considerabili forme d'arte, la prima delle quali è
la satira
la satira è una composizione complessa, basata sull'irrisione di una certa situazione politica, storica, sociale ecc ed ha la funzione di mettere in luce, facendo ridere, gli aspetti negativi o assurdi che si vogliono sottolineare
la satira è un'intera opera, in genere teatrale, su cui si svolge tutto l'assunto, presuppone un pubblico ma non necessariamente un interlocutore
e soprattutto non presuppone che l'interlocutore, quando c'è, sia il bersaglio della satira stessa, per lo più funge da alter ego o se vogliamo da spalla del comico, porgendogli la battuta
la satira è antichissima, una delle prime forme di rappresentazione ad esempio nell'antica grecia, partendo come opera religiosa, ed essendo principalmente rappresentata durante le feste di bacco e di pan
ma la letteratura successiva offre una vastissima gamma di componimenti, definiti "satirici", oppure "burleschi.
La poesia "comico-giocosa" medievale nasce proprio come rifiuto e rovesciamento delle convenzioni della poesia cortese e dello “stil novo”: i valori della cortesia e dell'amore vengono capovolti e ridicolizzati; i sentimenti elevati cedono il posto ad argomenti volgari, terreni o addirittura blasfemi; il desiderio sessuale prende il posto dell'amore spirituale e nobilitante, la donna plebea, sensuale e rozza soppianta la dama gentile e idealizzata, l'elogio del vizio sostituisce quello della virtù.
In particolare riprende la cosiddetta “lode” della donna brutta o vituperium in vetulam (invettiva contro la vecchia), vero e proprio capovolgimento dell'elogio della figura femminile bella, giovane e cortese, alla quale subentra una ben poco ortodossa vecchia, figura di uno spietato realismo.
Secondo me la tua poesia potrebbe rientrare in questo filone, nato per contrastare il dolce stilnovo ma tuttora vivente, basti leggersi un po' di Dario Fo.
Oppure Brandolino di Eco.
Ma ecco come Berni descrive la sua donna:
Francesco Berni (1497-1535)
“Alla sua donna”
Chiome d'argento fino, irte, ed attorte
Senz'arte intorno ad un bel viso d'oro;
Fronte crespa, u' mirando, io mi scoloro,
Dove spunta i suoi strali Amore e Morte;
Occhi di perle vaghi, luci torte
Da ogni obbietto disuguale a loro;
Ciglia di neve; e quelle ond'io m'accoro,
Dita e man dolcemente grosse e corte;
Labbra di latte; bocca ampia, celeste;
Denti d'ebano, rari e pellegrini;
Inaudita, ineffabile armonia;
Costumi alteri e gravi; a voi, divini
Servi d'Amor, palese fo che queste
Son le bellezze de la donna mia.
Ne avevo una anche più bella, che mi sono dannata inutilmente a ritrovare, che parlava di perle nei capelli che altro non erano che uova di pidocchi
ma deliziosa invero, a prima vista ingannava ...
Però ritrovo persino Shakespeare =
My mistress' eyes are nothing like the sun
My mistress' eyes are nothing like the sun;
coral is far more red, than her lips red:
if snow be white, why then her breasts are dun;
if hairs be wires, black wires grow on her head.
I have seen roses damask'd, red and white,
but no such roses see I in her cheeks;
and in some perfumes is there more delight
than in the breath that from my mistress reeks.
I love to hear her speak, yet well I know
that music hath a far more pleasing sound.
I grant I never saw a goddess go,—
my mistress, when she walks, treads on the ground.
And yet by heaven, I think my love as rare,
as any she belied with false compare.
William Shakespeare (1564-1616)
Ma ecco come Cecco Angiolieri descrive se stesso (il che dimostra che il bersaglio della satira non è necessariamente un'altra persona):
Tre cose solamente mi so ’n grado,
le quali posso non ben men fornire:
ciò è la donna, la taverna e ’l dado;
queste mi fanno ’l cuor lieto sentire.
Ma sì me le conven usar di rado,
ché la mie borsa mi mett’al mentire;
e quando mi sovvien, tutto mi sbrado,
ch’i’ perdo per moneta ’l mie disire.
E dico: – Dato li sia d’una lancia! –
Ciò a mi’ padre, che mi tien sì magro,
che tornare’ senza logro di Francia.
Trarl’un denai’ di man serìa più agro,
la man di pasqua che si dà la mancia,
che far pigliar la gru ad un bozzagro.
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ed ecco che dunque, visto ciò che abbiamo visto, la tua poesia (poetria, come direbbe Cecco) può rientrare agevolmente nella satira, e in questa nella poesia comico-giocosa.
Ed ecco quindi il tuo comico-giocoso, che ha una precisa identità e dignità letteraria:
perché l'ironia e l'autoironia vere sono la serietà del pensiero privato del suo peso e fatto leggerezza, e quindi intelligenza.