La setta della giada (fantasy in versi)

Tsuraar
00venerdì 18 dicembre 2015 01:35
www.wattpad.com/196623361-la-setta-della-giada-il-veli...
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Era notte e
tutto era nero,
in quattro presero un veliero nero,
sull’onde veleggiava leggero.
Sottocoperta, appena un cero.
Fiammella traballante, fumosa.
Caravella scricchiolante, ondosa.
Ognuno dei quattro attorno al cero
avevano un pensiero
“di vivere io spero”.
Via da una fine tragica
su un’imbarcazione magica,
via da ingiusti editti,
i loro cuori battevano zitti.
Eran cuori di maghi,
di certezze al più un paio,
sperduti come aghi
abbandonati in un pagliaio.
Di tal pagliaio, a poco a poco,
il destino è prender fuoco,
prender fuoco in un agone:
dei templari una legione
dei maghi bianchi, sol carbone.

Magia antica,
chi la sfida langue,
magia vietata,
magia di sangue.
Accovacciati incappucciati
discorron preoccupati,
cullati e sballottati,
dei lor tremuli fati.
«Dove stiamo andando
sballottati tra onda e onda?»
«Per lo meno stiamo andando,
per lo meno non si affonda»
«Farò un altro incantesimo,
le forze mie non lésino.
Verso terre sconosciute,
le canzoni tramandate a tal riguardo sono mute»
«Un demone vermiglio
dentro me mi dà consiglio:
gran periglio è oltrepassare l’orizzonte
e fare un miglio»
«Che dovremmo fare,
forse ritornare?
Vada come vada
siam la setta della giada,
rimettiam piede nel regno
e passeranno a fil di spada,
passeranno così noi
taglieranno gole e poi
la mia salma assieme a voi
sarà pasto d’avvoltoi».
«Non pensiamo alla città.
Chi di noi più la vedrà?
Finché non spioverà
suonerò col mio sitar.
La bacchetta in mano loro
è sol un po’ di legno.
Noi con le scorciatoie,
e a volte un po’ d’ingegno,
loro senza gioie
fanno a gara a chi è più degno»
(Bog)
00venerdì 18 dicembre 2015 19:07
Complimenti, a tratti mi hai fatto venire in mente l'Ulisse descritto da Dante.
Interessante e ben scritta.

Ciao.
Tsuraar
00giovedì 24 dicembre 2015 06:11
Edit
(eh addirittura Dante, gli ridarò una lettura. - continuazione del racconto)
ho modificato quasi tutto il brano per motivi di metrica
...
Era notte e

tutto era nero,

in quattro presero un veliero,

come il cielo anch'esso nero

sull'onde via leggero.

In coperta, appena un cero.

Tutti e quattro col pensiero

"di vivere io spero

e vendicarmi per davvero"


Fiammella traballante, fumosa.

Caravella scricchiolante, ondosa.


Via da una fine tragica

su un'imbarcazione magica,

via da ingiusti editti,

i loro cuori battevano zitti.


Cuori di maghi,

di certezze al più un paio,

sperduti come aghi

abbandonati in un pagliaio.

Tal pagliaio, a poco a poco,

per destino prese fuoco,

prese fuoco in un agone:

dei templari una legione

dei maghi bianchi, sol carbone.

I quattro mai stanchi

non eran maghi bianchi.


Magia antica,

chi la sfida langue,

magia vietata,

magia di sangue.


Accovacciati incappucciati

discorron preoccupati,

cullati e sballottati,

dei lor tremuli fati.


«Dove stiamo andando

sballottati tra onda e onda?»

«Per lo meno stiamo andando,

per lo meno non si affonda»

«Farò un altro incantesimo,

le forze mie non lésino.

...

Vedo terre sconosciute,

le canzoni tramandate a tal riguardo sono mute»

«Un demone vermiglio

dentro me mi dà consiglio:

gran periglio è oltrepassare l'orizzonte

e fare un miglio»

«Che dovremmo fare,

forse ritornare?

Vada come vada

siam la setta della giada,

rimettiam piede nel regno

e passeranno a fil di spada,

passeranno così noi,

taglieranno gole e poi

la mia salma assieme a voi

sarà pasto d'avvoltoi».

«Non pensiamo alla città.

Chi di noi più la vedrà?

Finché non spioverà

suonerò col mio sitar.


La bacchetta in mano loro

è sol un po' di legno.

Noi con le scorciatoie,

e a volte un po' d'ingegno,

loro senza gioie

fanno a gara a chi è più degno»

...

Passarono dei giorni

dormendo sotto pelli,

loro ancora adorni

dei lor più bei gioielli.

Tenendosi le mani

sfruttarono gli arcani

e concentrandosi leggeano

le intenzioni dell'oceano.

Approdi 'sì lontani

gli aspettavano un domani.

La più giovane di essi

lasciò gli altri genuflessi,

uscì sul nero ponte

mano destra sulla fronte.


«Niente terra in vista.

Il destino, quanto dista?»

«Spero Dio ci assista»

Scherzò un'altra alle sue spalle,

dilatate le pupille nelle iridi sue gialle.

«Ci colpisca con un fulmine,

il Sommo pusillanime!

Le templari sono asine,

han demenza senza un argine»

«Guarda avanti, forse è un'isola!»

«Sarà invece una nuvola?»

«La speranza non si appisola,

evochiamo una canicola?»

«Ho poche forze, temo.

O' poter blasfemo,

ti rievocheremo

per avere un ciel sereno»

La sua anima fu il mezzo,

ne perse un piccolo pezzo,

sibilò un sussurro,

e il cielo ner da tetro e cupo rese tutto azzurro.

«A gente troppo pia

né potere né magia»


«Ma ai templari ora il tepore

in queste fredde ore

riscalda il loro cuore,

e noi dentro si muore»

«Se il destino ti fa ratto,

puoi solo farti quatto

e fare un altro patto

con quel demone matto»

Intanto i focolari

scoppiettanti dei templari

scaldavan loro i petti

nei notturni lupanari.

«Rosse le bevute,

rosse donne sconosciute,

soldi, dadi e due battute

fanno salda la salute»

«Beltà rare, quale lusso,

ora fammi un bell'inchino,

perché tu sei una plebea

e io sono valvassino»

«Lo farei da quale lato?»

«Ogni lato è l'appropriato»

Con il ventre s'agitava

con movenze sue contorte

ma in quel mentre chi bussava?

Chi bussava così forte?

«A quest'ora c'è il vassallo?!

Che riserbo dia al mio fallo!»

«In quest'orgia io non c'ero,

e dormivo se io c'ero.

Ma un veliero tutto nero

prese il largo oggi invero.

Rintana il tuo tizzone,

è questa la missione.

E adesso, presto, aria.

Sei ancora in missionaria?»

Così andò su un galeone

con un rosso suo flacone,

un flacone non di vino

ma un intruglio clandestino.


«Mari neri e rigidi,

sulle mani ho freddi lividi.

Quando unisci le tue mani

nella posa del candore,

non sai ben se stai pregando

o lottando il tuo rigore»

«Noi li prenderemo,

e in men che non si dica

torneremo al lupanare

dalla rossa nostra amica»
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