Addio (Ludovico Celti)

Ti ho visto senza sapere cosa dire, senza sapere come restare e come andarmene. Ti ho visto di un pallore, che non conoscevo, ti ho visto lieve ed ingombrante per riuscire a stare tutto dentro di me. Ho lasciato che il mormorio si placasse e mi sono avvicinato. Lo so, non volevi i fiori, non avresti voluto cerimonie, ma è difficile andarsene senza rompere il silenzio. Ti parlo quindi, con quel silenzio così difficile da trovare e così implacabile nell'architettura della nostra vita. Sono passato e ripassato davanti a te con gli occhi spietati e il cuore ghiacciato. Non potevo piangere di fronte a te, non potevo lasciarmi andare. Sono salito sulla scala contando per la prima volta i gradini, solo 9; solo un'infinità di ricordi. Poco a poco, lieve lieve, ho aperto le braccia e ti ho ascoltato. Tu mi hai spiegato quello che era successo. Tu mi hai raccontato la tua vita per la seconda volta; sapevi che la prima ero distratto dinanzi a quella scodella di vino, sotto il pergolato della signora Maria. Questa volta invece ho teso tutto me stesso verso di te, ho perfino trattenuto il fiato per non dimenticare nulla. Mi hai raccontato di nuovo di te. Delle tue passeggiate l'ungo l'argine maestro, dove del fiume riuscivi a cogliere la dimensione più intima, la meno consueta e praticata, senza tramonti e affreschi barocchi, ma la sua vera energia vitale. Ora di nuovo il tuo linguaggio è chiaro e tutto affiora, persino le parole dimenticate, le passeggiate annoiate, il mio assenso abbozzato d'allora diviene oggi un abbraccio ideale. [...]
Eccoti qui disteso sulla vita mentre esci di scena. Il tuo addio lieve è il segno della profondità con la quale hai vissuto, la pienezza con la quale hai condiviso, il rigore con il quale ti sei confrontato. Esco da quel luogo della memoria e i miei capelli sfiorano gli aghi dell'abete: non mi possono pungere perchè con me c'è la tua presenza vigile, la tua ombra sicuro riferimento.