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Consigli per chi scrive da poco e vuole migliorarsi

Ultimo Aggiornamento: 23/03/2015 17:30
11/10/2009 15:35
 
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Non pensavo che a quasi 3 anni dalla sua stesura, questo scritto senza troppe pretese potesse ancora suscitare interesse. Oggi lo riscriverei da capo, allungando la premessa e tenendo conto delle critiche che col tempo ha ricevuto. Voglio comunque aggiungere una serie di considerazione che possano aiutare a contestualizzarlo meglio, più un paio d’altri consigli, che forniscano ulteriori spunti di riflessione.

Il poeta non va a scuola: c'è una particolarità inerente alla poesia e al suo avvicinamento ad essa, che la divide dalle altri arti: il poeta si forma da sé, non va a scuola per imparare a padroneggiare gli elementi formali di cui ha bisogno, e molte volte non si affida nemmeno a persone più esperte per avere una prima sbozzatura (al contrario per esempio dei pittori o dei registi, che fanno una lunga gavetta prima nelle accademie e poi come collaboratori di artisti più esperti). Non è stato sempre così, a dire il vero: fino al romanticismo esistevano circoli di scrittura e accademie, dove i giovani venivano inseriti e seguiti, impadronendosi degli elementi stilistici attraverso la frequentazione dei maestri... poi c'è stata la critica romantica delle accademie, e l'idea che il "genio" non ha bisogno di essere educato, poiché ha già in se stesso tutto quello che gli serve per sfornare capolavori, e ciò si aggiunga la critica romantica all'educazione e alla cultura, viste come nemici irriducibili della spontaneità e della naturale "creatività" dell'uomo. Queste idee col tempo si sono diffuse anche a livello popolare, ma hanno avuto il loro vero e proprio boom solo ora a mio parere, con la creazione dei blog e dei forum, dove ognuno può rendere pubblico il suo prodotto artistico senza i filtri della critica e molte volte senza aver alcuna esperienza pregressa nell'arte in cui si cimenta, nonché gratuitamente (e la cosa non è di poco conto, visto che per auto-pubblicarsi fino a poco tempo fa si spendevano bei soldi). Questo ha i suo pro e i suoi contro, sottolineo solo i più evidenti: se l'allargamento della possibilità di accesso al pubblico porta potenzialmente ad un aumento esponenziale dei talenti che prima venivano sommersi dall'impossibilità di adeguati canali pubblicitari, dall’altra ha creato una diffusa mediocrità (non nel senso dispregiativo, ma etimologico di media aritmetica) che ha generato quella definizione paradossale di “poesia da forum” (che ora ha anche riviste cartacee sue proprie diffuse in libreria!) , vero e proprio genere ormai distinto dalla poesia tradizionale, con peculiarità proprie che vale la pena di elencare: un disinteresse per la cura formale che si unisce a un tradizionalismo arcaistico (ad esempio l’uso molto frequente di tronche e arcaismi pre-manzoniani, che nella poesia contemporanea “alta” sono scomparsi), assenza di innovazione tematica e predilezione per la poesia intimistica, sentimentale, auto-referenziale –cioè che parla degli eventi auto-biografici del poeta, come una specie di diario in versi- con l’abbandono quasi totale della poesia civile e sociale, che nella nostra storia poetica hanno avuto sempre un grande seguito.

Il ritorno dell’elitarismo: questo processo sta portando per reazione alcune penne nate sul web a ritornare alla “scrematura” dei concorsi e delle case editrici “serie”, cioè quelle che non vogliono soldi per pubblicare ma si affidano alle vendite per coprire le spese e guadagnare, e che quindi hanno tutto l’interesse che il prodotto pubblicato sia di valore (sia contenutistico che formale), altrimenti ci perdono. Dall’altra parte, in opposizione ai blog e ai forum aperti, stanno nascendo spazi dove per poter pubblicare bisogna far giudicare i propri scritti da poeti più “esperti” e di “fama”, in modo che si formino delle sorte di aree protette dove un certo valore formale viene salvaguardato, anche se non pochi criticano questa scelta perché vi scorgono principi ”anti-democratici” e il ritorno di un nuovo “conformismo accademico”. Qualunque sia il giudizio che si voglia dare a questo fenomeno, è tuttavia interessante notare come sia numericamente in crescita.

Scrivere per se stessi e per pubblicare: c’è una sorta di confusione, che continuamente si ripresenta, fra l’idea che si scrive per se stessi e quella che ciò che si scrive per sé sia arte, nel senso migliore della parola: questo è dovuto al fatto che spesso si confonde l’uso terapeutico della scrittura, con l’arte dello scrivere, che sono due cose molto diverse. Se molti psicologi e psicoterapeuti invitano i loro pazienti a scrivere per ritrovare un equilibrio psicologico di fronte a ciò che gli ha turbati, ciò non fa automaticamente di questi scritti arte, ma solamente una terapia alternativa e non invasiva: se a chi scrive con l’obbiettivo di star meglio è quanto meno stupido fare appunti di forma, a chi scrive per essere letto dagli altri è necessario una cura sulla forma e l’esposizione maggiore, e deve quindi anche accettare le critiche che gli vengono rivolte su questi punti, non si può trincerarsi dietro al fatto che scrive solo per sé (allora perché pubblichi cercando il consenso altrui?) o che le esperienze che ha vissuto sono solo sue (e allora perché le racconti?), oppure che hanno un valore che gli altri non possono comprendere (e qui valgono le 2 precedenti domande). La cosa migliore quando si scrive per pubblicare è partire con uno stato d’animo di umiltà nei confronti del lettore, e di accettazione delle possibili critiche a cui ci espone il fatto di mettere in piazza il nostro intimo, senza per questo rinunciare al giusto orgoglio di fronte alla propria creatura.

Leggere agli altri per migliorarsi: il miglior metodo che ho sperimentato per capire se il mio scritto funziona oppure no, è leggere ad alta voce ad altri ciò che ho prodotto, cosa non semplice perché espone personalmente molto di più di una pagina letta sullo schermo, e perché mette a nudo impietosamente i nostri limiti compositivi: ad esempio uno scritto pieno di “che” alla lettura risulta fastidioso, così versi troppo prolissi e scollegati annoiano l’ascoltatore irrimediabilmente, facendoci perdere la voglia di proseguire nell’esposizione.

Scrivere di getto: la cosa migliore è lasciare riposare i nostri scritti, in modo da riprenderli in mano a mente lucida qualche giorno dopo, con un attenzione più critica verso ciò che ci proponevano scrivendo e il risultato effettivamente ottenuto… l’abitudine che molti hanno assunto di scrivere direttamente sulla pagina per la pubblicazione non è solo scorretta, ma anche dannosa per il risultato finale (cioè il consenso del lettore): spesso si compiono ridicoli errori di grammatica ed ortografia, oppure si utilizzano immagini che paiono buone al momento ma che ad una seconda lettura non reggono. Col tempo e l’esperienza, credo sia obbligatorio assumere una certa distanza critica verso i propri prodotti, sia per migliorarsi (con la gratificazione che questo produce) sia per rispetto del lettore che comunque ci dedica tempo e risorse mentali per comprenderci.

Ecco, queste sono le cose che al momento aggiungerei al post di partenza. Grazie per gli interventi e l’interesse che continuamente mi portate, a presto




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