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Consigli per chi scrive da poco e vuole migliorarsi

Ultimo Aggiornamento: 23/03/2015 17:30
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@ Moonrose

Premetto che tendo a speculare su qualsiasi cosa, e quindi credo di allontanarmi dal discorso su' neofiti.

Sono daccordo con te quando si dice: bisogna trovare l'equilibrio tra metrica ed "emozione" qualsiasi cosa significhi, ma spesso mi sono ritrovato a confrontarmi con nozioni diverse di equilibrio rispetto alla mia che mi hanno enigmato: cos'è, in realtà, mi chiedo questo equilibrio? Il non ricadere in artifici seicenteschi, non usare proprio le rime? Non ricadere in stilemi medioevali? Non fare digressioni stile Marino donde ti ci puoi perdere nella lettura? Non erano, forse, queste pratiche, esse stesse delle necessità o contingenze che formavano uno stile? E' anche vero che quando si avanza la nozione di stile molti vi si nascondo dietro vilmente con la trita frase: ognuno ha il suo stile; spesso ho visto usare pessimi anacoluti illeggibili e diffusissimi nel parlato in piena descrizione, e, chi si azzardava educatamente ad accennare una critica veniva apostrofato dopo che il marrano, guardata velocemente la nozione di anacoluto su wikipedia la copia-incolla diligentemente replicando con molti protervi smile alla fine: guarda che anche Manzoni e Macchiavelli li usavano e poi ognuno ha il suo stile!
Per me l'equilibrio si raggiunge quando si ha padronanza assoluta, se l'assolutezza fosse raggiungibile, di un determinato metro che, ricordo, non è solo quantità sillabica ma anche incipit ritmico e, per illuminare ciò che dico, suggerisco un analogia: non è forse vero che nella prosa ci sono determinate regole sintattiche, forse più aperte della metrica, che comunque costringono una persona a servirsi di determinati precetti, quindi, credo in senso lato, limitanti? Però io nelle prose, spesso, ho visto una maggiore consapevolezza sintattica(ed io avvicino ora la sintattica alla metrica), eppure, mi ha comunque emozionato. Si può raggiungere una destrezza simile anche nell'esercizio metrico? Io penso di si, poichè esse sono regole per comporre, come le regole sintattiche aiutano a scrivere, ma il problema è che ci vuole esercizio infinito, autocritica, conoscenza e voglia di conoscere.
Altra cosa che mi trova più in disaccordo è il discorso della banalità, che cos'è banale in poesia? La chiarezza, la semplicità, lo scrivere senza pretese di un contenuto esistenziale, o il voler' solo narrare una storia o "pingere un quadro?" E' banale un luogo canonico come: così trapassa al tapassar' d'un giorno/ de la vita mortale il fiore e 'l verde? Oppure la dittologia: canuto e bianco, oppure di un verso è banale il lessico? C'è differenza nel scrivere palazzo-palagio nonostante che ,semanticamente, essi descrivino la medesima cosa? Se fossero diversi, palazzo sarebbe banale? Alcuni rispondono diplomaticamente: dipende come lo si usa, altri si espongono in un giudizio. Io, onestamente, quando mi si chiede un giudizio, solitamente, discerno due risposte: quella da filosofo liberale, e quella da classicista, molto più severa. La mia "alma" classicista non comprende, non stima molti poeti contemporanei pur avendoli letti, nelle ore più buie della mia esperienza consideravo banale anche una struttura grammaticale che non prevedesse una certa arcaicità, come anteporre il complemento di specificazione all'oggetto, o consideravo e considero l'accusativo di relazione sublimissimo per guardare con sospetto altre forme; l'alma classicista non comprende, con mia somma sofferenza, la beltà della contemporaneità che molti decantano, e a stento riesce a scorgere l'emozioni solo ne' classicismi dell'arte e petrarchismi sparsisi per il mondo, ma ciò, che io abbia una opinione, mi da il diritto di disprezzare o imporre disprezzo o dire, come fece spesso croce prima di me, questo è arte questo no? Ovviamente NO.
La mia parte filosofica, per contro, non riesce a comprendere proposizioni come: la poesia è anima, è pura emozione e,considerando impossibile trovare alchimie d'ingegno le quali riescano a inscrivere in una sequenza determinata di parole qualsivoglia tipo di emozione, quella parte di me, non crede sia possibile discernere l'arte in base o meno ad una presunta emozione immanente dentro a un verso, o semplicemente dire: "qui c'è un emozione", perchè lo stesso concetto, credo, sia contraddittorio, e in molte delle mie discussioni, alla fine di ore e ore di discussione, mi sono sentito dire: "l'emozione... cos'è, non so, è emozione, la si percepisce e basta", e ciò informativamente non mi dice niente, relegando il tutto a una soggettività ch'impedisce qualsiasi giudizio condivisibile da più di, quante, due, tre, quattro persone?
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