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MARZO PERO'

Ultimo Aggiornamento: 05/05/2015 01:14
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02/05/2015 12:44
 
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cripaf:

Peppino mi guarda come la sconfitta in persona
non sa nulla di allitterazioni e metafore
non sa che un verso deve avere un ritmo
l’esistenza delle nuvole invece è un problema reale

Se piove nessuno verrà a lavare la macchina
Peppino non capisce perché gli parlo di blog
e non aprirà mai un computer per leggere una poesia
vorrebbe che qualcuno gli facesse una magia
per cacciare le nuvole ed aprirgli il cielo

Ma febbraio si tiene stretta la pioggia
non cede alle lusinghe della mimosa
mettersi da parte, nemmeno per sogno

Anche i mesi sono attaccati al poco che hanno
e Peppino non ha il suo guadagno

Marzo però sta già nella testa
primavera e fiori ai poeti
lavaggio tutti i giorni traduce Peppino
fottendosene di rime e significanti.




Ecco, Franco, questa tua l'avrei mandata a un concorso di poesia, il che significa che è una delle tue preferite.
Certamente è una poesia in verso libero: con Franco non ha senso parlare di metrica, perché se individuassimo dei versi metrici sarebbero del tutto casuali; tuttavia io la classifico poesia a tutti gli effetti, con una sua scorrevolezza di lettura, e contenutisticamente parlando, ci vedo due temi: uno è l'antipoetica se per poetica s'intende la pedissequa fedeltà alle regole sillabiche, ritmiche ecc. ecc. di stampo tradizionalista; l'altro tema è quello della realtà oggettiva, di per se stessa antilirica e antipoetica, iper-realistica, greve e anche grave per chi non sa come arrivare in fondo al mese...
Poesia di stampo pasoliniano, dunque, e chissà quanti altri agganci potrebbero trovarvi altre persone fresche di studi e bravi nel fare parallelli tra Poeti...

Franco come Pasolini? Non voglio fare paragoni azzardati, però vi ho trovato qualche somiglianza che me l'ha ricordato in qualche modo, basta leggere questo interessante articolo del Corriere della sera su Pasolini:

"Non costruire la vita come fosse un'opera d'arte, ma l'opera d'arte come fosse la vita: questo è Pier Paolo Pasolini, e questa è la sua poesia. Dunque nessun estetismo, gratuità, finzione, superficialità, gioco. Questo è semmai d'Annunzio, con i suoi limiti e i suoi risultati poetici, anche importanti. Piuttosto, Pasolini percorre lo stesso canale d'indeterminazione reciproca tra letteratura e vita ma nel senso opposto, che è quello del vitalismo, di un atto di poesia che si vorrebbe diretto, intenso, capace di verità, autentico come appunto la vita stessa. Pasolini fa sempre maledettamente sul serio, a cominciare dall'assunzione della sua responsabilità di poeta: verso gli altri, verso se stesso, verso i suoi singoli e sempre integralmente etici gesti di scrittura. Fa così sul serio che la poesia, che pure costituisce per lui il principale dispositivo per pensare e dire la realtà (la poesia è l'unico pezzo dell'organismo Pasolini che non si può togliere senza compromettere il tutto), viene sempre in qualche misura avvertita come inadempiente e, dunque, come colpevole rispetto a qualcosa che resta comunque inespresso. E per un poeta che sull'esaustività del dire, sulla ricerca di una totale estroversione ed effabilità della lingua poetica ha giocato quasi tutte le sue carte, si tratta senza dubbio di una specie di rovello tragico, di cupo controcanto sotteso a ogni verso, come un pugnale piantato nella schiena, a tradimento. Rispetto alla parola poetica la vita - tutta quanta la vita, perché Pasolini niente di meno che questo ha voluto - è destinata a rimanere sempre un passo più in là.

Così, per quanto nel suo vasto sperimentare lo scrittore abbia ora chiuso ora aperto al massimo le sue paratie espressive, dalla filologia lirica in friulano della Meglio gioventù, alle terzine neodantesche e neopascoliane delle Ceneri di Gramsci (la poesia in caccia della prosa), al quasi informale di Trasumanar e organizzar (la prosa in caccia della poesia), i versi di Pasolini portano comunque con sé una frustrazione, il dolore per una impossibilità. A fronte di un desiderio così inappagabile - l'evidenza della realtà, quello che sono gli uomini, quello che io sono, il mio corpo, i miei pensieri, il mio Paese col suo volto piagato e il suo retaggio di storia -, davvero non c'è parola che basti, che non si bruci in se stessa, come nel tempo di una performance. Non resta che inseguirla, la vita, rinnovando e ridefinendo come fosse sempre la prima volta quel sacro e maledetto gesto del dire tutto che è medicina e droga insieme, a ogni nuova parola, nuovo verso, nuova poesia, nuovo libro.

Poligrafo, manierista, versatile, polimorfo, dotato di uno stupefacente talento mimetico di forme e linguaggi poetici, si può dire che Pasolini non abbia posseduto un suo modo esclusivo d'espressione, un suo stile. A meno che non si voglia attribuirglieli tutti. Al tavolo di lavoro qualsiasi schema formale viene assunto strumentalmente per raggiungere quel qualcosa d'altro che ho chiamato vita o realtà, e che la letteratura non è. Anche il poemetto narrativo e didascalico - architettato sull'impalcatura dei grandi assi tematici politico-civili, ma animato e reso incandescente da dentro, cioè dall'insistenza e dall'umanità dell'intonazione dell'io-personaggio (il candore assieme alla colpa, di cui ha parlato ad esempio Zanzotto), dall'irresistibile capacità di «toccare» posseduta dalla sua voce -, anche questo poemetto, dicevo, in cui può riconoscersi forse il principale marchio della fabbrica pasoliniana, non è che una macchina (da presa, alla lettera, come poi nel cinema), un congegno transitivo, una trappola azionata per catturare ed esibire quanto più io e quanta più realtà possibili. Le sue forme espressive, tutte quante, portano con sé qualcosa di aleatorio, di più o meno felicemente tentato. Lo stile per Pasolini non è mai un'entità organica, un fatto inevitabile. Inevitabili sono semmai gli argomenti, l'urgenza radicale della realtà, la pressione del mondo che si vede. Più che una lingua poetica, ha inventato un modo di fare poesia. Ho scritto così, sembra dire in ogni suo testo, ma avrei potuto dire le stesse cose altrimenti, prenderle per un altro verso, scrivere un'altra poesia. Il patto sacro - la Legge! - di reciprocità tra forma e contenuto che è alla base della poesia, con questo poeta viene messo in causa all'origine".
(fonte web: www.corriere.it/cultura/eventi/2011/secolo-poesia/notizie/galaverni-pasolini-poesia-specchio-vita_6bf87432-56ed-11e1-a6d2-3f65acf5f7... )


Ecco, le parti evidenziate coincidono molto con il tipo ti poesia che Franco re-inventa sull'input della realtà che lui osserva.
Se troviamo nei suoi versi assonanze e consonanze, esse non sono cercate, non sono volute, sono note gradevoli casuali come di chi suonasse ad orecchio e non perché ha studiato la musica.

Resta da vedere se un giorno deciderà di affrontare uesta sfida a se stesso, perché il ritmo e la metrica sono comunque uno strumento in più. La cosa che non sanno, coloro che non scrivono in metrica, è che imparare a farlo è difficile all'inizio, ma poi lo si introietta come una cosa naturale che viene da sé.
La mia stima, non solo come amica, ma anche poeticamente parlando, non viene certo a mancargli, ma questo non toglie che la mia proposta era e sarà volta a una semplificazione, laddove mi blocca l'ermetismo di metafore non decodificabili da chi non conosce fatti e antefatti a cui si riferisce.

Ho colto nella figura di Peppino una sua verità molto comune nei ceti economicamente svantaggiati, anche nel mondo contadino in cui sono vissuta mi sono sentita dire "La poesia non dà pane", sapere cosa sia il ritmo di un endecasillabo o le figure retoriche che usano i poeti non cambia la vita a chi non ha neanche tempo e voglia di elevarsi con il proprio animo al di là dei limiti della vita materiale: Peppino è stanco di una vita che ad alcuni restringe l'orizzonte al buco di un imbuto, perciò non ha speranza nel domani, solo uno strenuo senso di fatalismo onirico:

vorrebbe che qualcuno gli facesse una magia
per cacciare le nuvole ed aprirgli il cielo


sa che:

Anche i mesi sono attaccati al poco che hanno
e Peppino non ha il suo guadagno

Marzo però sta già nella testa
primavera e fiori ai poeti
lavaggio tutti i giorni traduce Peppino
fottendosene di rime e significanti.





E bravo Franco, come non condividere i tuoi versi?
Belli nel contenuto, e la forma è congrua con questo senso antilirico della vita, fatto invece di necessità e ristrettezze.

Volendo uscire dal contesto del commento puramente analitico, possiamo dire senz'altro che la realtà politica e socio-economica, alla cui crisi non si vede la fine, "facilita" questo tipo di scrittura, perché la forbice che vede agli antipodi ricchi e poveri si allarga sempre di più, con lauti stipendi ai politici e ai vertici da una parte e le briciole che restano a chi ha un misero lavoro o neanche quello dall'altra parte...


(Versi di Pasolini):

Siamo stanchi di diventare giovani seri,
o contenti per forza, o criminali, o nevrotici:
vogliamo ridere, essere innocenti, aspettare qualcosa dalla vita, chiedere, ignorare.
Non vogliamo essere subito già così senza sogni.

Altre poesie di P.P.P. le trovate qua:

www.poesie.reportonline.it/poesie-di-pier-paolo-pasolini/in...


Ciao.




[Modificato da Rosy.S 02/05/2015 12:45]
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